Il Brunello ha perso il suo principe e l’Italia uno dei grandi signori del vino. A 91 anni Franco Biondi Santi (nella foto) è morto oggi pomeriggio lasciando un vero vuoto per chi era abituato a vederlo, pur appoggiato ad un bastone, come un esempio di un grande vecchio che non mollava il palcoscenico perché aveva ancora tante storie da raccontare. A chi, come molti collaboratori di Italia a Tavola, ha avuto l’onore di partecipare ad alcune degustazioni da lui guidate, resta il ricordo di eventi che segnano un po’ un percorso professionale e non si può che rendergli pubblicamente grazie.
Franco Biondi Santi era erede di una famiglia di vignaioli. Nella seconda metà dell’800 ad inventare il Brunello era stato il nonno garibaldino, Ferruccio, nella tenuta Il Greppo a Montalcino, tuttora sede dell’azienda di proprietà dei Biondi Santi e dove ancora sono custodite due bottiglie annata 1888, selezionando un clone di Sangiovese e vinificandolo in purezza. Il padre di Franco, Tancredi, tra i più importanti enologi del suo tempo, definì il protocollo di produzione, tanto che fu uno degli ispiratori e promotori del disciplinare, oltre a essere stato l’artefice del Brunello di Montalcino Riserva 1955, l’unico italiano inserito dalla rivista-bibbia Usa “Wine Spectator” tra i 12 migliori vini del Novecento. Bottiglie esibite raramente da Franco, che le prelevava dalla cantinetta speciale chiusa con più catenacci antichi, come quelle più vecchie, come se fossero reliquie.
Franco, dopo qualche esperienza di giovane dalla vita brillante, ha proseguito la storia del celebre vino diventando il custode e il sacerdote della tradizione. Un “gentleman” del Brunello, rimasto filo all’ultimo tra i suoi vigneti, che aveva esteso da 4 ettari - alla morte del padre - agli attuali 25 e curando anche l’ultima vendemmia della sua azienda, producendo vino con la stessa filosofia di chi lo aveva preceduto in famiglia e occupandosi anche del territorio del suo vino: così si era adoperato per il recupero della bellissima abbazia di Sant’Antimo, creando un’associazione ad hoc, e si era battuto, negli anni ‘90, per impedire la costruzione di una discarica presso Montalcino.
Solo nel 2004 era tornato a far parte del Consorzio, promuovendo sempre la difesa del disciplinare. Consorzio che oggi lo ricorda come «uno dei simboli della qualità e dell’eccellenza del vino italiano nel mondo, sicuramente uno dei più importanti artefici del successo del Brunello a livello internazionale: grazie a lui è uno dei marchi più noti e apprezzati del Made in Italy».
Al figlio Jacopo ed ai collaboratori le condoglianze di Italia a Tavola.