Lo so il titolo di questo servizio non ha fantasia, ma purtroppo a volte non si può dire altro, e partire da sensazioni diffuse e soprattutto molto vicine alla realtà. Viviamo in un momento opaco in cui si distingue con difficoltà il bianco dal nero, ci stiamo abituando a vedere e a ragionare senza più riferimenti e senza idee su un percorso conosciuto. Navighiamo a vista, come si dice. Il lavoro è altalenante, si compra il necessario, non si fa più magazzino, si cerca di risparmiare su tutto, anche sul personale e sulla qualità. La sensazione percepita non è premiante, o almeno non è il valore con cui il cliente regola le sue scelte d’acquisto. Un Prosecco da 15 euro sostituisce un buon Franciacorta da 30 euro: per il cliente, apparentemente, sempre bollicine sono.
Certamente, ed è veramente incredibile, ma io sostengo da molto tempo che tutta questa sovraesposizione di cucina e cuochi nei media non stia producendo un effetto positivo di ritorno sulla ristorazione. Normalmente non prendo spunti da altri servizi sui vari argomenti, ma questa volta non posso non citare che anche Gianni Mura su La Repubblica affermava con un giudizio negativo lo stato delle cose: «Tempo di crisi o no, c’è qualcosa di eccessivo nel diluvio di trasmissioni sul cibo, nessuna delle quali fa cultura», facendo riferimento alle vecchie trasmissioni tipo Ave Ninchi, e potremmo aggiungere anche Luigi Veronelli ed altri che appunto parlavano di cibo e di vino, cercando di creare una cultura comune.
E in questa “dittatura” del cuoco in televisione non si può non sottolineare che anche l’eccessiva offerta di congressi, fiere e vari incontri golosi e di gusto, ormai diffusi in ogni provincia, praticamente ogni 15 giorni, come se ci fosse tempo per andare ad ogni invito ricevuto, stia per certi versi stancando. Ed anche qui riprendo un articolo, un giudizio di Roberto Martinelli su Ristorazione e Catering, in cui parla dei «messaggi che non arrivano da Identità Golose», dove in pratica Martinelli denuncia che nonostante il tema di quest’anno di Identità Golose fosse il rispetto, i grandi chef hanno voluto stupire con il vezzo di insegnarci a mangiare con stupore.
Altro che rispetto verso la semplicità, verso il cliente e verso le materie prime: piatti come il sanguinaccio tritato con i corn flakes - solo per citarne uno - sono sì esercizi di creatività, ma lontani da quello che oggi il cliente chiede. Il giudizio di Roberto Martinelli su Identità Golose, senza nulla togliere alla capacità di Paolo Marchi di realizzare un evento sempre formidabile sull’attualità della ristorazione, anzi, afferma che in molte sfaccettature si distacca però da una realtà, come dicevo nel titolo, in crisi.
Perché siamo in crisi? Ho coniato una similitudine con il mondo dell’alta moda italiana, con cui chiudo questo mio articolo, lanciando anche una provocazione. Sappiamo bene che i nostri marchi più fashion, più belli, più famosi dettano legge nel mondo quando si parla di moda e di sfilate. Nei Mall all’estero - i nostri ipermercati - le firme dei nostri grandi stilisti sono ovunque. Ora qualcuno mi vuole spiegare perché nei nostri (sia pure più piccoli) Mall le firme che abbondano sono Zara, H&M o altre catene low cost?
All’estero la nostra Cucina impera, i nostri cuochi si stanno trasferendo armi a pentole ovunque, invece di lottare qui in patria. Giustamente preferiscono andare via, e le nostre strade sono piene di ristoranti che offrono menu a 10 euro: esattamente lo stesso percorso della moda. La qualità e la nostra cultura gastronomica vengono meno, i nostri ristoranti sono sempre più vuoti, ci si telefona tra colleghi e la parola d’ordine è abbassare i prezzi, in molti casi abbassando la qualità. Con il risultato di stupire il cliente con il prezzo, ma in realtà comincia a non capire più nulla.