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La "partita" dell'enogastronomia non si vince se i cuochi stanno in tv

Un evento sportivo può diventare il motore trainante per dare vita a scambi di opinioni (e non solo) sul mondo dell'enogastronomia e del territorio con l'intento di valorizzare la ristorazione e la cucina. Ma la vera partita, quella della ripresa del Paese, non si può vincere finché i cuochi staranno più in tv che nelle cucine

di Matteo Scibilia
Responsabile scientifico
03 marzo 2013 | 14:35
La
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La "partita" dell'enogastronomia non si vince se i cuochi stanno in tv

Un evento sportivo può diventare il motore trainante per dare vita a scambi di opinioni (e non solo) sul mondo dell'enogastronomia e del territorio con l'intento di valorizzare la ristorazione e la cucina. Ma la vera partita, quella della ripresa del Paese, non si può vincere finché i cuochi staranno più in tv che nelle cucine

di Matteo Scibilia
Responsabile scientifico
03 marzo 2013 | 14:35
 



Prendo spunto da una fantastica esperienza che ho vissuto domenica 6 gennaio a Udine, dove sono stato invitato, per la partita “Udinese-Inter” con esiti poco felici per la squadra milanese, dal settore Turismo della regione Friuli Venezia Giulia, nella persona del suo direttore generale Edi Sommariva, in collaborazione con la Fipe-Confcommercio della stessa regione, e il supporto di Walter Filipputti, veterano del mondo enologico e non solo. Tutti questi personaggi hanno ideato una gara gastronomica, in abbinamento al Campionato di calcio, che però non ha la finalità di un premio vero e proprio: il Campionato del Gusto. Questa gara prende vita tutte le volte che l’Udinese gioca al Friuli di Udine e consiste nnell'invitare un cuoco della città della squadra ospite. Personalmente né avevo mai messo piede in uno stadio né avevo mai visto dal vivo una partita, e non credevo che lo spirito e il tifo calcistico potesse arrivare a tanto. Ma non è di questo che voglio parlare e... per la cronaca l’Inter perse 3 a 0.

Quello che più mi ha entusiasmato è l’aspetto enogastronomico della mia trasferta. Il sabato sera prima della partita ho partecipato a una grande cena al Ristorante il Vitello d’Oro di Udine (tracce storiche del locale nel lontano gennaio del 1849, oggi gestito dalla famiglia Sabinot). In cucina il figlio Massimiliano, Max per gli amici, cuoco talentuoso, che ha impostato una cucina importante con grande attenzione al territorio: gamberi della laguna, tartufo bianco friulano, musetto con brovada fritto nella pasta fillo, radicchio la rosa di Gorizia. Su ogni tavolo, inoltre, era presente una bottiglia di un Olio Extravergine friulano, mentre nella carta dei vini spiccavano grandi bianchi del Collio. La cena si è rivelata ottima soprattutto il fritto di mare, piatto non facile, ma creato in maniera eccelsa al Vitello d’Oro.

È un periodo in cui la cucina è ovunque, in televisione, sui media, sui giornali, i cuochi, appunto, diventano delle celebrità, ma lo sono sul serio? Quanto di tutto questo realmente aiuta e dà una mano al settore?

Trovarsi a Udine nel cuore di una partita di calcio ed essere ai margini della competizione, scoprendo che la stessa cucina era un complemento ad una giornata ricca di tifo e passione sportiva, dove il risotto giallo alla milanese era in competizione, nel gusto, con la trota di Pordenone, arricchita con la crema di ricotta di Marsure, una dop friulana, sapientemente cucinata da Andrea Spina del Ristorante Al Gallo di Pordenone. Vini in abbinamento: lo Chardonnay di Castello di Buttrio, selezionato da Walter Filipputti. Personalmente ero un po’ emozionato, nonostante tutto, la stretta di mano con il Presidente dell’Udinese, la vicinanza dei giocatori delle due squadre, e come oggi si conviene, appunto ad un cuoco, una poltrona vip per assistere alla partita. Credevo di essere li solo per cucinare un buon risotto alla milanese con l’aggiunta creativa del panettone tostato, ma i riflettori non hanno risparmiato neanche me.

Ho percepito una grande attenzione alla gastronomia e all'artigianalità di un territorio, certamente ricco di storia: dal Tiepolo all’influenza austroungarica che si respira e si osserva camminando per il fantastico centro storico di Udine. Il turista a Udine toccare con mano che il cibo è una cosa seria, parte integrante dell’offerta turistica, che gli storici vigneti, degustati ovunque con quel rito chiamato "Tajut" si abbinano ai prosciutti, ai salumi, alle polente, al musetto, alla brovada, al foie gras. A tal proposito ricordo con orgoglio un mio vecchio maestro, Antonello Pessot, titolare dell'allora fattoria dell’Oca Bianca di Chiopris e oggi Jolanda de Colò. Antonello mi insegnò che se oggi i francesi sono bravi nel Foie Gras, il merito fù dei vecchi contadini friulani che, quando emigrarono in Francia insegnarono a "quelli" del Perigord a produrre il famoso fegato grasso. In fondo da tempo sottolineo che un po’ di storia del cibo i cuochi dovrebbero conoscerla. Storia e Cucina, il giusto abbinamento.

Ecco che forse cominciamo a delineare il senso di questa mia lettera. Mettendo a paragone l'esperienza appena raccontata mi sorge una domanda: perchè l’Italia non è così? In Friuli Venezia Giulia l’istituzione è consapevole che la ricchezza del suo territorio è dovunta in gran parte anche all’enogastronomia. Come potrebbe essere in Lombardia, con mezzi credo più corposi, a San Siro, o all’Olimpico di Roma, con ben quattro squadre tra le più importanti del paese? Perché non si cerca di fare come il Friuli? Certamente questa è una mia provocazione, ma se si pensa alla ricchezza artistica del nostro Paese, quanto si potrebbe fare di più?

Tempo fa, partecipai ad un incontro al ministero dei Beni culturali, allora guidato dall’avveduto Sandro Bondi, che chiamò Mario Resca a guidare i Musei italiani, il quale cercò di strutturare una presenza di cucina italiana di qualità all’interno degli stessi Musei. Poco prima di Natale ho parlato con il ministro Lorenzo Ornaghi che mi aveva promesso un interessamento al problema della Cultura della Cucina Italiana. Ma non c’è la fatta neanche lui. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Governi e ministri caduti, progetti avviati e mai terminati, i Musei sono lì e in alcuni casi cadono a pezzi, con le cantine e gli scantinati ricchi di opere che nessuno vedrà e in molti casi miseri panini e caffè nell’offerta ai turisti.

Però i cuochi sono in televisione, ma non sono onestamente di grande aiuto alla cultura della gastronomia del nostro Paese. Sfido in molti casi a replicare alcune ricette a casa dai telespettatori. Di sicuro i tanti Andrea e Max che lavorano nelle loro cucine sono un vero aiuto ai tanti artigiani del nostro settore agroalimentare. L’arte, la cultura e perché no anche il calcio devono camminare insieme all’enogastronomia per rendere migliore e più forte il nostro Paese.

Possiamo e dobbiamo farcela, soprattutto in questo momento di cambiamento politico.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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