Il caffè a Napoli è intreccio costante, ancorché garbato, di riti e miti. A dare dignità artistica al caffè fatto in casa ci pensò il grande Eduardo De Filippo in 'Questi fantasmi”, con la famosa scena al balcone dove racconta al fantomatico dirimpettaio come si fa il caffè con la macchinetta napoletana. Non vi è ospite per cui varcando la soglia di casa non scatti immediato il cerimoniale della 'tazzulella” di caffè.
Ma al di là del mito di Eduardo, i riti quotidiani del caffè si svolgono nel consumo fuori casa, al bar. Il bar a cui ci si affeziona diviene il 'proprio” bar allorquando al mattino si raggiunge il banco, senza passare per la cassa, si risponde al saluto del barista e, orgogliosamente muti, ovvero senza proferire comanda, solerte arriva il proprio caffè, quello personalizzato secondo le proprie esigenze che inizialmente, in fase di noviziato, bisognava esternare quotidianamente.
E sì, perché a Napoli il caffè è spiccatamente personalizzato. In tazza oppure in vetro (i puristi inorridiscono all'idea del vetro...). Tazza calda oppure tazza fredda (le tazze di norma sono tenute in caldo in quanto poggiano sopra la macchina). Lungo, normale o corto. Al mattino macchiato oppure no. E se macchiato, con latte freddo oppure caldo. E dopo pranzo corretto o 'liscio”. E se corretto, con grappa, amaro, anice, sambuca o altro. Ecco, il vero barista deve avere questa memoria matriciale per ogni cliente.
E poi l'acqua. Il bicchiere d'acqua che arriva in concomitanza di piattino e cucchiaino. Naturale o gassata, fredda di frigo o ambiente. Ma quando e perché si beve un sorso d'acqua quando si sorbisce il caffè? Due correnti di pensiero: prima del caffè perché ha funzione di 'netting” del palato, pulisce la bocca da impuri sapori pregressi, fosse anche l'ultima briciolina del cornetto appena consumato; dopo il caffè, a spegnere sul nascere una sete che insorge dopo aver sorbito il caffè bollente, di esso lasciando traccia tenue ma non prevaricante.
Quando il cliente è nel 'suo” bar, paga dopo aver consumato e non prima, piccolo segnale tacito di complicità tra cassiere e cliente, per la serie 'mi fido, fidati”. Non vi è incontro per strada, schedulato o casuale che sia, che non abbia piacevole inizio davanti ad una tazza di caffè. Non vi è argomento di cui si possa conversare senza fortificarne opinioni al tavolo di un bar al cospetto delle tazze di caffè (e relativi bicchieri d'acqua).
E non vi è fumatore che, finito il suo caffè, non proceda al rito dell'accensione di una sigaretta, sovente affermando: 'ne fumo tre al giorno, dopo il caffè”. Quanto il tempo che a Napoli intercorre tra l'uscire di casa e trovarsi al bar per il caffè? Al massimo dieci minuti. Sono dieci minuti di limbo, perché la giornata inizia veramente dopo la prima tazza di caffè!
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