I romani amano il caffè. Non ne prendono 50 tazze come Rousseau al giorno ma non perdono occasione di proporlo per un incontro d'affari o d'amore, oppure per godersi il ponentino ai tavolini di un bar. Ma è col caffè di casa, quello della moka disegnata dall'ingegner Alfonso Bialetti nel 1933 in stile Déco, che tutti cominciano la giornata. Qualche purista usa ancora la napoletana che si capovolge, stile Eduardo De Filippo, ma è ormai roba da mercatino. Poi il rito si replica al bar, ma allora la richiesta si amplia: lo si vuole ristretto o lungo, macchiato freddo o macchiato caldo, oppure cappuccino, mocaccino, marocchino o al ginseng, ma sempre con un occhio alla miscela e alla marca. C'è sempre un barista attento dietro l'angolo e se sbaglia a fare il caffè sarà tradito anche dal cliente più fedele.
A Roma tre secoli fa fu il Papa-Re ad autorizzare l'apertura delle prime 'botteghe del caffè”, dove si serviva l'esotica bevanda, guardata con sospetto perché nera e amara. Erano il Caffè Turco a Campo Marzio, la Bottega del Caffè Veneziano a Piazza Sciarra e poi, dal 1750, il Caffè Greco di via Condotti, l'unico sopravvissuto al tempo e il più blasonato. è quasi un museo con opere degli illustri frequentatori, da Stendhal a Schopenhauer, e in tempi più recenti da Guttuso e Carlo Levi. Insomma, la passione dei viaggiatori del Gran Tour non tardò a contagiare i romani. Il resto è storia. è ai tavolini dei bar di via Veneto che è nata la Dolce vita, e l'arte e la letteratura debbono molto all'espresso - la consumazione ancora oggi più economica - servito nei due celebri caffè dirimpettai di piazza del Popolo: Rosati e Canova. Dove sedersi era una scelta di campo: di qua gli artisti e di là della piazza gli intellettuali e i cinematografari.
La città dilatata oggi offre una miriade di locali e ristoranti dove c'è anche la carta dei caffè che non contempla più solo le due principale qualità (l'Arabica e la Robusta) o un loro blend, e anche il bar sotto casa si sta adeguando. Resiste inossidabile il rito nei locali storici che sono spesso anche torrefattori, come il Sant'Eustacchio, davanti al Senato. C'è sempre la fila, a qualsiasi ora. Servono un caffè corto, densissimo e schiumoso, già zuccherato, a meno che non si precisi prima che lo si vuole amaro. Segretissima la miscela, ed è inutile spiare i gesti dei camerieri dietro il bancone. Si sa solo che a renderlo speciale è una macchina torrefattrice datata anni Trenta, a legna e non a carbone, per regolare meglio il calore, proprio come raccomandava l'Artusi ai suoi tempi, quando la tostatura si faceva in casa. Questo caffè divenuto leggenda proviene dal commercio equo e solidale.
è un principio virtuoso vantato da alcuni grandi marchi del caffè, come Vergnano che ha installato a Eataly un magnifico box con un'ampia offerta di miscele, almeno sei. Gli acquisti vengono fatti dai campesinos senza intermediari e il prodotto viene lavorato dai detenuti del carcere di Torino. Al banco costa un euro, ma per gustare una pregiata qualità di montagna ne servono 3. Anche Illy è presente in questo mega bazar della qualità con ben 4 miscele.
Non sembra proprio che sotto al Cupolone la crisi e il prezzo della tazzina in salita abbiano frenato questa passione collettiva. Indubbio tuttavia che i cahiers de doléances (quaderni delle lamentele) dei pubblici esercizi abbiano basi reali, fondate più che sul caffè sul calo degli altri consumi del fuori casa. Sul mercato mondiale il caffè, questo prodotto che segna il più alto volume di scambi dopo il petrolio, sentirebbe molto la crisi con un -1,8% nel 2011 secondo l'Ico, International coffee organization.
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