Dopo l'approvazione della manovra finanziaria 'lacrime e sangue” che avrebbe dovuto includere dei tagli ai costi della politica, la questione è tornata alla ribalta e si sono succedute le prese di posizioni e gli allarmi ma i 'costi della politica” non sono stati scalfiti. Il dato certo è che la casta ha detto no. Mesi fa il settimanale L'Espresso parlava dell'ennesimo aumento di stipendio che i parlamentari si erano approvati con un voto senza colore. Il fatto è che, nonostante il 'lodo Calderoli” che prevede il taglio del 5% sugli stipendi di deputati e senatori, la retribuzione annuale dei nostri parlamentari è di quasi il 30-40% più alta dell'intera Ue. Ma come uscirne, al di là dei proclami?
Da uno studio di Matteo Pelegatti, un criterio equo potrebbe essere quello di «commisurare lo stipendio dei parlamentari al benessere economico dei propri cittadini, e quindi ad una misura (per quanto imperfetta) di questo: il Pil pro capite». Qui sotto una rappresentazione grafica.

Nello schema qui sopra si vede come esista una relazione lineare piuttosto precisa tra il Pil pro capite e gli stipendi dei parlamentari europei, con l'eccezione dell'Italia, che si trova ben al di sopra della retta visibile in figura, costruita escludendola. Tale retta indica per l'Italia un valore di circa 51mila euro (le linee tratteggiate mostrano il valore del Pil pro capite e il rispettivo stipendio atteso tramite la retta di regressione). La 'retta di regressione” è stata stimata per mezzo dei minimi quadrati escludendo l'Italia (gli stipendi dei parlamentari sono del 2005 e quindi inferiori agli attuali).
Mentre sul web cresce l'indignazione anti casta, spinta anche dalle gesta del discusso blogger 'Spider Truman”, il Parlamento cerca tuttavia di dare un segnale. I presidenti di Camera e Senato, Gianfranco Fini e Renato Schifani, hanno messo a punto due piani di risparmi che dovrebbero portare nelle casse dello Stato nel triennio 110 milioni su un bilancio di 992 milioni per Montecitorio e 62 milioni su un budget di 545 per Palazzo Madama. I due rami del Parlamento infatti, essendo organi costituzionali, hanno un bilancio autonomo dalle altre amministrazioni statali e i tagli li debbono deliberare di propri iniziativa, seguendo le linee guida della manovra. Le due 'manovre” che Fini e Schifani proporranno per Camera e Senato hanno la stessa struttura, anche se le cifre sono diverse: la Camera infatti avendo più parlamentari (sia attivi che in pensione) e più dipendenti (e pensionati) ha un budget più altro, quindi produce più risparmi in cifre assolute.

Le prime riduzioni arriveranno dalla 'crescita zero” nei prossimi anni delle dotazioni che lo Stato dà a Camera e Senato. Esse infatti dovrebbero essere rivalutate in base al tasso di inflazione. In secondo luogo scatterà per deputati e senatori, ma anche per i dipendenti, il contributo di solidarietà che la manovra ha imposto sulle pensioni d'oro: 5% per quelle oltre i 90mila euro e il 10% per quelle superiori a 150mila euro. Altre risorse alle casse dello Stato arriveranno dal blocco dell'adeguamento automatico delle pensioni dei dipendenti nonché dei vitalizi e delle indennità di senatori e deputati. Infine altre risorse arriveranno da ulteriori tagli alla 'macchina”: per esempio la Camera rescinderà un contratto di affitto di un edificio adiacente a Montecitorio e chiuderà uno dei ristoranti, mentre il Senato sposterà il magazzino. Alla fine i risparmi ammonteranno a 110 milioni per la Camera e 62 per il Senato, a cui andranno aggiunti quelli decisi pochi mesi fa, rispettivamente di 60 e 58 milioni.