Se c'è qualcuno che può interpretare le trasformazioni della ristorazione italiana, è Igles Corelli. Maestro indiscusso della cucina d'autore con cinque stelle Michelin, volto noto di Gambero Rosso Channel e pioniere della cucina circolare, ha attraversato e contribuito a definire i grandi cambiamenti del comparto. Dalla rivoluzione del Trigabolo di Argenta, che ha segnato un'epoca negli anni '80 e '90, fino all'evoluzione della sua filosofia gastronomica, Corelli ha sempre saputo anticipare i trend, senza mai perdere il legame con la materia prima.
Oggi lo chef, dall'alto della sua esperienza, osserva con lucidità il dibattito tra fine dining e osterie, tra alta cucina e ritorno alla semplicità. E il suo punto di vista è chiaro: il fine dining non è in crisi, ma sta vivendo un naturale cambio di passo, proprio come è accaduto con la Nouvelle Cuisine. Il mercato si evolve, le tecniche si consolidano e gli chef italiani, dopo aver imparato dai francesi, dagli spagnoli e dai giapponesi, stanno finalmente riscoprendo l'unicità dei prodotti del nostro Paese.

Lo chef Igles Corelli
Ma la ristorazione stellata è davvero sostenibile? E perché sempre più chef abbandonano il fine dining per format più informali? In questa intervista, Igles Corelli affronta questi temi senza filtri, analizzando le dinamiche economiche del comparto, il peso della materia prima e il futuro della cucina italiana.
Corelli: «Fine dining in crisi? No, sta cambiando passo»
Si dice spesso che l'alta cucina sia in crisi, mentre osterie e trattorie continuano a riempirsi. È davvero così?
Più che di crisi, parlerei di un cambio di passo. Finalmente gli chef italiani stanno capendo che abbiamo i migliori prodotti al mondo e stanno tornando a valorizzarli. Abbiamo imparato le tecniche dai francesi, dagli spagnoli, dai giapponesi, ma ora è tempo di far emergere l'identità italiana. È un'evoluzione naturale: ogni fase storica della cucina lascia in eredità qualcosa di buono. Le tecniche restano, ma si torna alla sostanza. Il problema della crisi non esiste, è semplicemente un passaggio necessario. Il successo delle trattorie è normale, perché il comfort food è più immediato e accessibile: tra una tagliatella e uno scampo essiccato con miele dell'Himalaya, nove persone su dieci scelgono la tagliatella. La novità richiede tempo per essere assimilata.

Molti chef nell'ultimo periodo hanno chiuso i loro ristoranti stellati per dedicarsi a format più semplici e informali. L'alta cucina diventerà una nicchia sempre più ristretta?
Io lo dico da anni: un ristorante stellato, per sopravvivere, dovrebbe alzare i prezzi, perché oggi non riesce a starci dentro. Il problema è che in Italia ci sono troppi locali stellati, ma molti fanno cucina con prodotti che non sono sempre eccellenti. Hanno eliminato le tovaglie dicendo che è più moderno, ma in realtà è solo per risparmiare sui costi. Hanno ridotto la carne e puntano sul vegetale perché costa meno. Il problema è che il modello attuale non è sostenibile: non puoi tenere aperto un ristorante con 20 coperti, tre camerieri, un sommelier, sei cuochi e vendere il tuo lavoro a 150 euro a persona. È fallimentare. La ristorazione stellata è come l'alta moda: non puoi vendere un cappotto in cashmere a 100 euro. Il lusso ha un prezzo. Se un locale fine dining vuole sopravvivere, deve diventare veramente di lusso, altrimenti è destinato a chiudere. Il problema dei costi è enorme: si dice sempre che il personale è sottopagato, ed è vero, ma al ristoratore un dipendente che prende 1.500 euro al mese ne costa 4mila. Se non fai incassi importanti ogni giorno, non puoi sostenere dieci dipendenti. E allora cosa succede? Lo chef è costretto a fare consulenze all'estero, ad aprire altri format, a lasciare il ristorante. E alla fine, il fine dining si svuota.
Corelli: «L'alta cucina sta inserendo nel menu piatti della tradizione per sopravvivere»
Detto ciò, l'alta cucina e la ristorazione tradizionale si stanno avvicinando o restano due strade separate?
Sono due mondi diversi, ma oggi la tecnica della grande ristorazione viene applicata anche nella cucina più semplice. L'alta ristorazione deve puntare su una ricerca costante per restare rilevante, ma il problema è che oggi troppi ristoranti sono in un limbo: non sono abbastanza esclusivi per mantenere prezzi alti, ma sono troppo costosi per il cliente medio. Il personale costa tantissimo, il ristoratore paga tre volte quello che arriva in tasca al dipendente. E allora per far quadrare i conti molti si reinventano, fanno consulenze, aprono bistrot o altri format. Chi può contare su una struttura solida, con investimenti e una famiglia alle spalle, può resistere. Ma chi parte da zero, senza fondi, ha vita difficile.

Corelli: «L'alta cucina torna alla tradizione per necessità, non per scelta»
Oggi molti ristoranti di alta cucina stanno inserendo piatti della tradizione nei loro menu. È un riconoscimento della semplicità o è un modo per sopravvivere?
È una questione di sopravvivenza. Se il ristorante non lavora abbastanza durante la settimana, bisogna trovare un modo per attirare più clienti. E allora si inseriscono piatti più rassicuranti. Ma attenzione: la vera qualità non è nel chilometro zero a tutti i costi, che è una delle più grandi sciocchezze che si raccontano. Il concetto corretto è andare a cercare il meglio, ovunque si trovi. Se voglio fare un grande tortellino, prendo le uova migliori dalla Toscana, la farina migliore dalla Sicilia, il parmigiano migliore dall'Emilia e carne e prosciutto, di un certo livello, da allevamenti di qualità in Piemonte. Questo è il futuro della cucina italiana: piatti identitari, ma con il meglio che l'intera Italia può offrire.
Corelli: «In cucina non conta il chilometro zero, ma la qualità migliore»
Quindi, secondo lei, la cucina del futuro sarà una sintesi di tecnica, ricerca e prodotti italiani di eccellenza?
Esatto. Dobbiamo smetterla di inseguire le mode estere. Ripeto: abbiamo copiato i francesi, gli spagnoli, ora il Giappone... ma perché? Noi abbiamo già tutto quello che serve: ingredienti straordinari, cultura gastronomica, tradizioni fortissime. Il futuro sarà nel saper esaltare la nostra cucina con la tecnica più avanzata, selezionando le materie prime migliori da tutta Italia. Il fegato alla veneziana, per esempio, può diventare un piatto straordinario se lo fai con il fegato migliore dal Piemonte, la cipolla di Acqualagna e il burro di malga. Non si tratta di chilometro zero, ma di qualità assoluta.

Corelli: «Il futuro della cucina italiana? Tradizione e tecnica avanzata»
Chiaro. E se oggi dovesse dare un consiglio a un giovane chef, gli direbbe di aprire un ristorante fine dining o una trattoria/osteria "contemporanea"?
Se vuoi sopravvivere, non aprire subito un ristorante. Aspetta che qualcuno investa su di te. Se hai fondi, puoi puntare in alto, ma devi sapere che servono almeno due anni di resistenza prima di vedere i risultati. Se invece parti senza capitale, meglio una trattoria, poi piano piano puoi evolvere. In Italia un fallimento ti marchia a vita, non è come negli Stati Uniti. Negli anni '90 ogni ristorante stellato aveva una sua identità precisa, oggi tutto è più omologato. Ecco perché chi vuole emergere deve trovare un suo stile, un suo pubblico, un suo modello sostenibile. È un percorso lungo, fatto di sacrifici e notti insonni. Ma chi ci crede davvero, prima o poi trova la sua strada.