Il settore del fine dining in Italia prosegue la sua crescita sostenuta, registrando un incremento del 17% rispetto all'anno precedente nei ricavi complessivi degli chef stellati. Almeno per quanto riguarda le attività più note, ma che, proprio per questo, non possono essere rappresentativi di tutto il comparto. Se infatti le principali dieci realtà del settore hanno totalizzato un fatturato di circa 209 milioni di euro nel 2023 (in aumento rispetto ai 178 milioni del 2022), gli altri locali impegnati nell’alta ristorazione si interrogano su quale possa essere la strada giusta per proseguire nella propria attività.
Fine dining, il fatturato dei big
A trainare la classifica per volumi di ricavi, secondo i dati diffusi da Pambianco, è il gruppo Da Vittorio, che ha raggiunto un fatturato di 87 milioni di euro, con una crescita del 30% anno su anno. La crescita è stata favorita dall’ampliamento delle attività di catering e ristorazione, segnando un'importante espansione di questo player nel panorama del fine dining italiano e internazionale. Al secondo posto si colloca il Gruppo Cannavacciuolo, che ha chiuso il 2023 con ricavi per 24 milioni di euro, in aumento del 4%. La crescita del gruppo è stata sostenuta dal successo delle attività stellate, tra cui Villa Crespi (tre stelle Michelin) e il Bistrot di Torino (una stella), oltre che dall’espansione del comparto hospitality con la catena Laqua Collection. Tra le novità più rilevanti, spicca l’apertura del Le Cattedrali Relais by Laqua Collection ad Asti, collegato al nuovo ristorante Cannavacciuolo Le Cattedrali.
La famiglia Cerea alla guida del Gruppo DaVittorio, il primo per fatturato nel fine dining
Nel contesto dei principali attori del settore, si confermano in crescita anche la Famiglia Alajmo, con un incremento del 6% e ricavi per 19 milioni di euro, e il gruppo Francescana di Massimo Bottura, che ha chiuso il 2023 a 18,7 milioni di euro, segnando un +10% rispetto al 2022. Anche nomi come Enrico Bartolini e Carlo Cracco registrano risultati positivi, rispettivamente con aumenti del 16% (fatturato a 15,9 milioni di euro) e del 4% (12,3 milioni di euro). Un risultato notevole è stato ottenuto anche da Niko Romito, che ha incrementato i ricavi del 26% raggiungendo 9,6 milioni di euro. Altri protagonisti, come Giancarlo Perbellini (fatturato di 8,6 milioni, +4%) e l'Enoteca Pinchiorri (7 milioni di euro, +25%), si distinguono per le performance positive, che confermano un’ampia crescita nel settore. Da segnalare infine la crescita del gruppo di Enrico Crippa, che con il tristellato Piazza Duomo e il ristorante La Piola ha raggiunto i 6,6 milioni di euro, con un incremento del 10%.
Fine dining e fatturato: la classifica
- DaVittorio 87 milioni di euro
- Cannavacciuolo 24 milioni di euro
- Alajmo 19 milioni di euro
- Bottura 18,7 milioni di euro
- Bartolini 15,9 milioni di euro
- Cracco 12,3 milioni di euro
- Romito 9,6 milioni di euro
- Perbellini 8,6 milioni di euro
- Pinchiorri 7 milioni di euro
- Crippa 6,6 milioni di euro
Fine dining, quanto costa mangiare in un ristorante tristellato
Da Villa Crespi, dove Antonino Cannavacciuolo propone un menù degustazione "Itinerario" a 485 euro, a Milano, dove Enrico Bartolini offre la "Mudec Experience" a 375 euro, la qualità ha il suo prezzo. A Bergamo, Da Vittorio offre menu degustazione che partono da 450 euro, mentre Massimo Bottura all'Osteria Francescana propone un viaggio autunnale di 350 euro per quindici portate. A Roma, La Pergola di Heinz Beck richiede 350 euro per dieci portate, mentre a Firenze, l'Enoteca Pinchiorri offre un raffinato menù "Espressione" a 350 euro, e ad Alba (Cn), con il menu "Viaggio Crippa" di Enrico Crippa a 290 euro. A Senigallia (An), il ristorante Uliassi presenta tre menu da 260 euro ciascuno, mentre Niko Romito a Castel di Sangro (Aq) propone un'esperienza a 210 euro.
Fine dining, un modello da ripensare
Il fine dining italiano, pur in un contesto di difficoltà, ha l’opportunità di reinventarsi e di abbracciare modelli più inclusivi e sostenibili, che possano mantenere viva l’essenza della cucina d’eccellenza senza allontanarsi dal pubblico. Il futuro dipenderà dalla capacità del settore di evolversi, valorizzando le tradizioni e le eccellenze italiane senza perdere di vista le esigenze di un mercato in continua trasformazione. I dati indicano un calo della domanda in Italia, che contrasta con il successo del settore in altri Paesi europei, dove il fine dining riesce ancora a rispondere efficacemente alle richieste del mercato.
Per molti ristoratori sarà necessario trovare un equilibrio tra qualità e accessibilità
La situazione attuale impone un ripensamento dei modelli di business dell’alta ristorazione in Italia. Se da un lato il prestigio delle stelle Michelin e l’esclusività dell’esperienza restano aspetti fondamentali, dall’altro è chiaro che per molti ristoratori sarà necessario trovare un equilibrio tra qualità e accessibilità. Innovare e sperimentare, anche a costo di rinunciare a riconoscimenti importanti, potrebbe rappresentare una strada percorribile per rispondere alle sfide economiche e attirare una nuova generazione di clienti. È il caso, ad esempio, del ristorante Giglio di Lucca che ha deciso di rinunciare alla stella Michelin. Come dichiarato dagli stessi titolari, lo scontrino da quando hanno ripudiato la stella Michelin si è mediamente dimezzato.
Fine dining, una questione di prezzi
La decisione del ristorante di Lucca riflette la necessità di rispondere alle esigenze della clientela locale e di adottare una gestione più sostenibile e flessibile. Il Giglio ha scelto di concentrarsi su un’offerta che privilegi la qualità della cucina senza i vincoli stringenti che spesso accompagnano il mondo stellato. Secondo il management del ristorante, la decisione nasce dall’esigenza di avvicinarsi ai clienti e di proporre una gastronomia raffinata ma accessibile, un modello che potrebbe attirare anche altri locali in difficoltà.
Tutto ciò apre un interrogativo anche sulla sostenibilità di menu e carte dal target alto che possono anziché attirare solo una clientela selezionata, allontanare chi - pur avendone la possibilità - non è solito accostarsi a certe tavole. La questione del prezzo, però rimane aperta tra chi sostiene che il costo elevato rafforzi l’idea di esclusività, facendo percepire l’esperienza come un lusso riservato a pochi e chi, invece, ritiene che la rigidità dei prezzi possa trasformarsi in un ostacolo, soprattutto per attrarre nuove generazioni di consumatori, meno disposte a spendere cifre significative per un’esperienza unica. Senza però mai dimenticare che certi prezzi sono il risultato non solo della qualità di materie prime e professionalità nel prepararle e servirle, ma anche frutto dei costi di gestione sempre più elevati che i ristoratori devono sostenere.