Il progetto è di quelli che lasciano basiti ed invece rischia di diventare reale: piatti serviti al ristorante con tanto di etichettatura. è quel che potrebbe accadere se passasse una proposta legislativa europea che vuole estendere anche alla ristorazione l'obbligo di elencare gli ingredienti, pensato per i prodotti alimentari preconfezionati. I menu, unico strumento per un ristoratore dove poter fornire le indicazioni, diventerebbero delle enciclopedie e andrebbero stampati quasi quotidianamente alla minima variazione anche di un solo ingrediente. Secondo Edi Sommariva (nella foto), direttore generale Fipe: «I ristoratori si troverebbero in grande difficoltà ad osservare la legge per non vedersi comminare sanzioni, oppure sarebbero costretti a fare uso di pietanze preconfezionate a scapito della tanto osannata e rispettata tipicità degli alimenti. Una situazione che è in netto contrasto con la domanda di una clientela sempre più esigente nei confronti della qualità, della tipicità e della territorialità. L'imposizione di una etichettatura sui piatti porterà, infatti, ad una offerta di gastronomia sempre più omogenea e dipendente dall'industria alimentare».
Nonostante la normativa debba ancora passare il vaglio dell'Europarlamento e del Consiglio dell'Unione europea, la ristorazione di tutta Europa è insorta in massa. Il 'no” si è levato corale dai rappresentanti dei francesi, irlandesi, spagnoli, italiani e di tutti gli altri paesi aderenti all'Hotrec, la federazione europea di riferimento per la categoria, riuniti nella tavola rotonda dal titolo 'Gli eccessi di burocrazia minacciano la biodiversità in cucina”, ultimo dei quattro convegni organizzati da Fipe a TuttoFood, la fiera milanese dell'agroalimentare.
Ad annunciare battaglia in sede di istituzione europea è stata proprio Margherite Sequaris, Segretario Generale Hotrec: «Le leggi, a maggior ragione quelle europee, dovrebbero venire incontro alle necessità degli operatori per cercare di facilitare il loro lavoro e non di renderlo più complicato». Fipe sostiene che le informazioni che la legge europea vuole mettere nero su bianco vengono trasmesse dai ristoratori disposti per questo a migliorare la loro formazione per un'informazione più accurata nei confronti del cliente. «Anche noi come associazione – sostiene Antonio Longo, presidente del Movimento difesa del cittadino – ci impegniamo a fare la nostra parte per informare sui rischi alimentari legati alle allergie. Non pensiamo che complicazioni burocratiche possono aiutare i consumatori ad orientarsi meglio».
Una posizione rilanciata anche dal Consorzio cuochi di Lombardia. «Non possiamo che essere soddisfatti - spiega il presidente Matteo Scibilia (nella foto) - della presa di posizione della Fipe. Un conto è impegnarsi per garantire la trasparenza assoluta rispetto ai piatti che vengono portati in tavola. Se si dice che si utilizza lardo di Colonnata, questo deve essere, e non un prodotto taroccato cdome purtroppo troppo spesso succede. Un altro discorso è però quello di trasformarci in burocrati da sanzionare se, un giorno, invece del timo che è finito in cucina qualcuno utilizza la maggiorana. Il problema vero è quello di garantire la trasparenza rispetto a cosa si utilizza e la tracciabilità dei fornitori non già di fare l'elenco iperdettagliato dei componenti quasi si trattasse di un farmaco.
Un conto è informare i clienti nel menu su chi sono i fornitori e se in qualche piatto si utilizzano prodotti o additivi che possono creare problemi di allergia o intolleranze, un altro è pensare di fare elenchi inutili e assurdi per ogni ricetta. Il tutto con una condizione ben precisa: se facciamo cucina di territorio o di tradizione è nostro interesse indicare i prodotti e le materie prime di qualità (a partire come detto dai fornitori). Se facciamo invece cucina molecolare dovrebbe essere un obbligo deontologico, prima ancora che di legge, indicare l'eventuale utilizzo di additivi, soprattuto se chimici...»