Bella idea quella di Costantina Vocino, titolare dell'hub culturale ed enoteca Vino Sapiens di Roma, che con Marco Stefanini, presidente dell'Associazione Piwi Italia e responsabile dell'Unità di genetica e miglioramento genetico della vite presso il Centro di ricerca ed innovazione della Fondazione Edmund Mach di San Michele all'Adige (Trento), e sede dell'organizzazione, inaugura un ciclo di incontri e masterclass di approfondimento degli aspetti legati alla sostenibilità vitivinicola. I vitigni Piwi, dal tedesco pilzwiderstandsfähig che letteralmente significa viti resistenti ai funghi, sono incroci naturali tra Vitis vinifera europea e Vitis vinifera sylvestris, cioè tra viti vinifere europee e viti selvatiche americane e asiatiche, capaci di difendersi dalle principali malattie della specie.
Marco Stefanini protagonista con la sua Lectio Magistralis alla Fondazione Edmund Mach
Non sono Ogm, in quanto sono incroci naturali per impollinazione e selezione dei semi delle piante. Incroci e reincroci, in cui la Vitis vinifera è presente al 95% del patrimonio genetico. È proprio la presenza nel Dna delle piante ibridate di un piccolo pool di geni, ottenuti attraverso ripetuti crossing-over (mescolanza) di tratti della molecola di acido desossiribonucleico, che conferisce loro un'alta resistenza alle malattie funginee e, di conseguenza, porta ad una significativa riduzione dell'uso dei pesticidi.
Alla fine dell'Ottocento, malattie funginee, come la peronospera e l'oidio, e parassitarie, come la fillossera, provenienti dall'America, arrivano in Europa e, più tardi, anche in Italia. Fanno danni talmente ingenti che nasce l'esigenza di studiare e introdurre in coltura incroci tra vitigni ibridati resistenti americani con le specie nostrane più bisognose di cure particolari. È solo l'inizio di quel lungo processo migliorativo della vite che giunge sino ad oggi, ma che vede interessati anche altri fattori, quali il cambiamento climatico e la sostenibilità ambientale.
I vini Piwi saranno il futuro del Vigneto Italia?
Anche se il mondo dei vini Piwi comincia a farsi sentire e ad affrancarsi da tanti pregiudizi, c'è ancora molto da fare.
Nel 2021 l'Unione Europea apre all'utilizzo dei vitigni resistenti nelle Denominazioni d'origine. In Italia, però, è il Testo unico della vite e del vino, che contempla l'utilizzo per la vinificazione a Doc di sole uve provenienti da Vitis vinifera al 100%, a creare il primo grande impedimento all'utilizzo dei resistenti. Il nostro Paese è chiamato, dunque, a prendere la decisione di cambiare il T.U. con il coinvolgimento dei produttori e dei consorzi di tutela. Attualmente, le Regioni italiane, competenti nell'aggiornamento degli elenchi ufficiali delle varietà autorizzate per la produzione di vini a Doc e Igt, che si stanno muovendo in tal senso, sono ancora poche. Da nord a sud, Alto Adige e Trentino, Veneto e Friuli Venezia Giulia, Lombardia ed Emilia Romagna, Marche, Abruzzo, Lazio e Campania.
Una delle viti Piwi
Per di più, con le 36 specie di vite resistenti registrate nell'albo delle varietà adatte alla vinificazione, il Belpaese è in netto ritardo nel fornire alla viticoltura alternative valide a mantenere la biodiversità presente al momento rappresentata dai circa 600 vitigni classici in uso. D'altra parte, il cambiamento climatico e la carenza d'acqua spingono verso un aiuto genetico naturale che possa dar modo alla vite di resistere e adattarsi e, al contempo, soddisfare l'esigenza di maggiore sostenibilità ambientale ed economica, grazie alla considerevole riduzione dell'uso dei trattamenti chimici.
Vini Piwi e vini classici: differenze all'assaggio
La masterclass ha il suo focus sulla degustazione alla cieca di 7 vini, 5 da vitigni resistenti e 2 da vitigni classici: serve a testare la percezione del pubblico presente che nulla sa dei vini proposti. Fermo restando che con un solo o pochi assaggi di vini Piwi non si diventa esperti conoscitori del settore, durante la sessione i tastings non lasciano trapelare nette differenze gusto-olfattive tra i due gruppi di campioni.
I primi due sono spumanti, un metodo Martinotti e un metodo classico molto interessanti. Oltre Vino Spumante di Qualità 2018 Extra Brut di Cantine Bortolotti da uve johanniter 55% e bronner 45% dal naso schietto e fragrante con note di frutta estiva matura e acacia, agrumi ed erbe aromatiche fresche, crema pasticcera e pane caldo. Sorso piacevole, teso, rotondo e sapido, bolla molto fine e finale di frutta a guscio. Naran Vino Spumante di Qualità 2018 Extra Brut di Pravis: johanniter in purezza, raffinato e delicato ricorda la scorza di limone e il cedro, la frutta selvatica, il miele e le mandorle tostate. Leggere note di lievito. Avvolgenza, briosità, freschezza e sapidità nel finale rendono delizioso il bere.
Seguono tre bianchi fermi stimolanti. Athol Vino Bianco 2022 di Sartori Wine Farm: solo uve souvignier gris, olfattiva ampia e intensa con sfumature di gelsomino e mango maturo, papaja, pompelmo, pesca percoca. L'assaggio è energico: freschezza persuasiva e ricordo saporito. Soave Classico Doc 2022 di Gini, in cui la garganega al 100% conferisce nitidi e intensi aromi di biancospino, sambuco, ciliegio, pesca bianca e mandorla. Bella beva fresca, bilanciata, distesa. DoFaSol Veneto Bianco Igt 2022 di Ca' da Roman è un blend di uve bronner e johanniter. L'affinamento in legno sulle fecce definisce le caratteristiche di questo vino: vivaci nuance odorose di bergamotto, nespola, caramella mou e aneto accompagnano il gusto potente e burroso con spalla acido-sapida.
Per finire, due vini rossi di annate diverse. Caliere Vino Rosso Biologico 2021 di Terre di Ger da uve merlot khorus e merlot khantus con percezioni olfattive di ribes e lampone, pepe, menta e liquirizia. Sapore intenso e agile, con buona acidità e tannino integrato. Breganze Doc Rosso 2017 di Firmino Miotti, merlot in purezza. Vino da invecchiamento che affina in acciaio e in barrique con profilo olfattivo giocato su sensazioni di ribes rosso e mirtillo, vaniglia e liquirizia. Al palato è ricco, teso e con tannino goloso.