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Da abbazia ad azienda agricola che produce riso: il Principato di Lucedio

In origine era un'importante abbazia cistercense, mentre oggi è un'azienda agricola con circa 500 ettari che produce riso con sistema a basso impatto ambientale di proprietà della famiglia Salvadori di Wiesenhoff

di Piera Genta
 
12 febbraio 2024 | 16:55

Da abbazia ad azienda agricola che produce riso: il Principato di Lucedio

In origine era un'importante abbazia cistercense, mentre oggi è un'azienda agricola con circa 500 ettari che produce riso con sistema a basso impatto ambientale di proprietà della famiglia Salvadori di Wiesenhoff

di Piera Genta
12 febbraio 2024 | 16:55
 

Siamo nel cuore della campagna vercellese nell'area del parco naturale del Bosco delle Sorti della Partecipanza, in origine il Principato di Lucedio era un'importante abbazia cistercense, oggi un'azienda agricola con circa 500 ettari che produce riso con sistema a basso impatto ambientale di proprietà della famiglia Salvadori di Wiesenhoff che ha saputo conservare gli ambienti medievali che la caratterizzavano, aprendoli al visitatore.

Da abbazia ad azienda agricola che produce riso: il Principato di Lucedio

Il Principato di Lucedio

La storia del Principato di Lucedio

Una storia affascinante che viene raccontata da Rosetta Clara Salvadori Cavalli d'Olivola che con il figlio Paolo dirige questa grande azienda cerealicola, fra le più antiche d'Italia. Fondata nel 1123 dai monaci Cistercensi provenienti dal monastero di La Ferté in Borgogna su terreni donati loro dal marchese Ranieri I del Monferrato della dinastia degli Aleramici. Erano terreni da bonificare, caratterizzati a quel tempo dalla presenza di zone paludose e di boscaglie. Grazie alle loro competenze agronomiche i monaci li trasformarono in area produttiva e nella prima metà del XV secolo introdussero per primi in Italia la coltivazione del riso, da quel momento elemento di fondamentale importanza per l'economia agricola del vercellese e dei territori circostanti. Presto, anche grazie alla posizione strategica lungo la via Francigena, l'abbazia divenne un centro di potere economico e politico. Al culmine del suo splendore verso la fine del Settecento venne secolarizzata per ordine del Papa Pio VI con varie accuse ai monaci tra cui quella di satanismo.

Dai Gonzaga ai Savoia, in seguito all'invasione francese, i possedimenti passarono sotto il controllo del governo napoleonico e fu proprio Bonaparte a concedere Lucedio al cognato Principe Camillo Borghese, allora governatore generale del Piemonte. Nel 1818 nuovo cambio di proprietà: il sistema delle grange (erano sette i nuclei produttivi sparsi sul territorio compreso Lucedio) venne suddiviso in lotti ed assegnati a vari personaggi (tra i quali il padre di Camillo Benso, conte di Cavour). Il lotto con il complesso abbaziale di Lucedio passò sotto il controllo del Marchese Giovanni Gozzani di San Giorgio che a sua volta, nel 1861, cedette la tenuta al duca genovese Raffaele de Ferrari di Galliera, al quale i Savoia conferirono il diritto di fregiarsi del titolo di Principe. Nacque così il Principato di Lucedio, denominazione che appare tuttora sul portale d'ingresso della tenuta. Dopo la morte del duca il titolo ed i terreni passarono al Marchese Andrea Carega Bertolini che, nel 1937, vendette la proprietà al Conte Paolo Cavalli d'Olivola, padre della attuale proprietaria.

Da abbazia ad azienda agricola che produce riso: il Principato di Lucedio

La famiglia Salvadori di Wiesenhoff, proprietaria del Principato di Lucedio

La storia moderna del Principato ha inizio con il matrimonio tra la contessa Clara, figlia del conte Paolo, e il conte Giacomo Salvadori di Wiesenhoff. «In quegli anni la tenuta era affittata a cinque famiglie con un contratto agrario che rendeva difficile a noi proprietari di rientrare in possesso del fondo. Mio marito ed io volevamo ritornare a gestire direttamente Lucedio. E stata una “battaglia legale” molto impegnativa: una volta vinta e ripresa in mano la gestione abbiamo dovuto fare dei grandi investimenti in macchinari ed attrezzature per poter amministrare in modo corretto e funzionale l'azienda agricola. Una scelta coraggiosa ed importante per quegli anni che è continuata con il recupero degli spazi medioevali per destinarli ad attività turistiche. Inoltre, è di fine anni Ottanta la mia idea di vendere il riso che producevamo con il nostro marchio. Il riso non più considerato una commodity, ma come un' eccellenza; abbiamo iniziato anche a partecipare a manifestazioni in tutto il mondo per valorizzare al meglio il riso nel piatto che più ci rappresenta all'estero: il risotto».

Sicuramente donna Clara è stata la prima vera ambasciatrice del riso vercellese. «Con i nostri cooking show nelle innumerevoli manifestazioni di settore abbiamo conquistato tanti palati dalla Cina agli Usa, ricordo che lo chef italo-americano Carlo Middione ha pubblicato la ricetta del mio risotto a mio nome in uno dei suoi numerosi libri di cucina. Tanti gli anedotti, quando la dogana cinese ha sequestrato il nostro riso e con mio figlio e lo chef Balin (il suo ristorante sorge nelle campagne vercellesi, in frazione Castell'Apertole a Livorno Ferraris) siamo partiti dall'Italia con le valigie colme di riso! Per non parlare degli innumerevoli programmi televisivi di cucina registrati presso di noi, uno tra tutti quello di Lidia Bastianich». I mille anni di storia e le tante energie che si sono succedute hanno favorito la nascita di innumerevoli leggende. «Già l'etimologia di Lucedio, come spiega il conte Paolo Salvadori, rimanda a Luce di Dio o, forse, Dio di Luce, ovvero Lucifero. Si parla di una colonna che piange nella sala capitolare. Secondo la leggenda la colonna piange perchè testimone delle angherie avvenute in quel luogo. Razionalmente la pietra che la costituisce è particolarmente porosa ed assorbe l'acqua nei mesi primaverili ed estivi quando, grazie alla sommersione delle risaie, la falda sale. Altra leggenda racconta che sotto Lucedio ci sia un tunnel sotterraneo, un tempo percorso dal diavolo che andava ad insidiare le novizie di un vicino convento».

Ecco come visitare il Principato di Lucedio

Dell'antico monastero medievale si sono conservate notevoli strutture architettoniche: l'inconsueto campanile a pianta ottagonale, in stile gotico lombardo; il chiostro; la bellissima aula capitolare (metà del XIII secolo) con colonne in pietra e capitelli di foggia altomedievale; la suggestiva Sala dei Conversi con slanciate volte a vela che poggiano su basse colonne. La contessa ed il figlio Paolo vivono all'interno del Principato e si dedicano alla coltivazione del riso ed al mantenimento di questo complesso architettonico diventato location dove organizzare matrimoni, ricevimenti ed eventi culturali diventando anche un riferimento per l'arte contemporanea.

Da abbazia ad azienda agricola che produce riso: il Principato di Lucedio

La famiglia Salvadori di Wiesenhoff, proprietaria del Principato di Lucedio

Sui loro terreni fino al 30 novembre l'installazione diffusa di Matilde Cassani, Quasi Nessuno, dedicata agli spaventapasseri. E la seconda edizione del progetto Aptitudeforthearts dove l'artista vuole evidenziare la quasi assenza dell'uomo all'interno del paesaggio agricolo, in un contesto dove la presenza di lavoratori e lavoratrici era un tempo indispensabile. Arriviamo alla loro attività agricola, la produzione di riso, a basso impatto ambientale e con la tecnica di rotazione delle colture. Particolare attenzione alle tradizionali varietà da risotto, Carnaroli ed Arborio, a cui si aggiungono quelle più moderne come ad esempio il Selenio, utilizzato per preparare il sushi. Il Principato è visitabile su prenotazione oppure secondo un calendario di visite programmate. Di prossima pubblicazione anche un libro per ricordare questi 900 anni di storia vercellese.

Principato di Lucedio
Frazione Lucedio 8 - 13039 Trino (Vc)
Tel 016181521

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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