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Il mondo pizza per fortuna va avanti, ma c'è chi guarda solo al passato

A inizio dicembre Coldiretti aveva allestito, a Napoli, uno spazio dedicato alle “pizze horror” dal mondo. Non poteva mancare quella con l'ananas, sempre in un'ottica di difesa delle varianti classiche e della tradizione italiana. Ma in un mondo, quello della pizza, in costante evoluzione e sviluppo, quanto ha ancora senso continuare a guardare solo al passato?

03 gennaio 2024 | 05:00
Il mondo pizza per fortuna va avanti, ma c'è chi guarda solo al passato
Il mondo pizza per fortuna va avanti, ma c'è chi guarda solo al passato

Il mondo pizza per fortuna va avanti, ma c'è chi guarda solo al passato

A inizio dicembre Coldiretti aveva allestito, a Napoli, uno spazio dedicato alle “pizze horror” dal mondo. Non poteva mancare quella con l'ananas, sempre in un'ottica di difesa delle varianti classiche e della tradizione italiana. Ma in un mondo, quello della pizza, in costante evoluzione e sviluppo, quanto ha ancora senso continuare a guardare solo al passato?

03 gennaio 2024 | 05:00
 

Fa specie, in un mondo, quello gastronomico, in cui tanto va veloce, spedito, all’insegna dello sviluppo, dell’ingegno e della ricerca, vedere come buona parte delle istituzioni facciano di tutto per rimanere ancorate al passato, apparentemente alla strenua difesa di una tradizione che, per come la conosciamo oggi, nel corso del tempo si è formata soprattutto grazie a continui aggiornamenti e un'evoluzione costanteSviluppi e cambiamenti fisiologici, frutto del passare del tempo, di nuove scoperte, risorse e conoscenze.

Il mondo pizza per fortuna va avanti, ma c'è chi guarda solo al passato

Pizza margherita, la più 'tradizionale'

Rimanere ancorati al passato, dicevamo. L'ultimo caso è stato registrato, solo a inizio mese, a Napoli, dove Coldiretti ha allestito uno spazio dedicato alle "pizze da horror" dal mondo. Quelle preparazioni che esulano dalla nostra familiarità con l'alimento, tipiche magari altrove, ma che secondo alcuni non sarebbero degne di essere chiamate, per l'appunto, "pizza". Eppure è la stessa storia della pizza che ci insegna, o dovrebbe insegnarci, il contrario. Di come ciò che consideriamo normale oggi sia risultato di un'evoluzione costante dei suoi metodi di preparazione, dell'ingresso di nuovi ingredienti. Ma proviamo a fare chiarezza, spiegando da cosa nasce questa riflessione.

Il mondo pizza per fortuna va avanti, ma c'è chi guarda solo al passato

Pizza con la carne di serpente tra quelle 'horror' - foto dal sito di Coldiretti

La "tradizione" italiana? Per lo più contadina

Se proprio di tradizione vogliamo parlare va detto come quella italiana sia per lo più, scavando nel passato, un qualcosa legato alla vita rurale, contadina, estremamente povera. Una tradizione insomma legata alla sussitenza, al riuso e riciclo, al recupero delle materie prime edibili pur di non morire di fame. Una cultura del no-waste, prima che il no-waste diventasse un trend. Oggi non per la sussistenza, quanto per etica e sostenibilità.

Il mondo pizza per fortuna va avanti, ma c'è chi guarda solo al passato

La tradizione gastronomica italiana è legata per lo più al mondo rurale - Dipinto Il Mangiafagioli, di Annibale Caracci (Wikipedia)

Era quindi una cultura gastronomica, culinaria, legata per lo più alla sopravvivenza, proprio perché per secoli l’Italia è rimasta prevalentemente un Paese contadino, agricolo. Tante ricette che abbiamo oggi nascono proprio da lì, e nel corso del tempo, e cavalcando anche i tempi hanno subito delle piccole aggiunte, modifiche, accorgimenti che le hanno rese sì contemporanee, ma pur sempre con un inevitabile filo rosso che le tenesse legate alla loro tradizione. O, forse meglio dire, origine. Le ricette, certo, ma anche la pizza. La tanto amata pizza che oggi Coldiretti difende nella sua versione più classica, margherita o marinara solo per fare un paio di esempi, è essa stessa figlia e frutto dei tempi. E del passare del tempo.

La pizza? A Napoli nasce bianca, con strutto e formaggio

La pizza nasce a Napoli nei quartieri più popolari della città, spesso e volentieri anche poco salubri, per sfamare con pochi ingredienti a disposizione (di fatto, acqua e farina di base) quanto più possibile al minor prezzo possibile. Le prime versioni della pizza, parliamo della seconda metà del 1800, erano sostanzialmente in bianco, con strutto, pezzi di formaggio e nelle versioni più “ricche” con le alici (nei ricettari dell’epoca appare il termine “pesciolini”), pesci di minor pregio e destinati quindi alle preparazioni più povere. Il pomodoro? Di fatto non pervenuto.

Il mondo pizza per fortuna va avanti, ma c'è chi guarda solo al passato

Niente margherita? La pizza nasce bianca

Questo apparirà sulla pizza solo decenni dopo, a Napoli ma principalmente negli Stati Uniti, nella prima fase del 1900, dove nel frattempo erano arrivati tanti migranti dal sud Italia. Molti napoletani, che “esportarono” e replicarono negli States la preparazione a loro tanto cara e tanto famigliare. Di fatto il pomodoro sulla pizza compare in pianta stabile prima oltre oceano (dove la distribuzione a livello industriale era sicuramente più all'avanguardia rispetto al nostro Paese) che in Italia. Anzi, di fatto la pizza fino al post seconda Guerra Mondiale rimane una preparazione per lo più sconosciuta nel bel Paese. Qualche pizzeria era stata aperta al Nord, a Milano, sempre grazie a migranti di Napoli, ma i casi erano davvero limitati.

Se avessimo difeso la pizza originale, bianca e con le alici...

Ora, dopo tutto questo preambolo quale sarebbe il punto? Immaginate se un secolo fa, nel nostro Paese, fosse esistita un’istituzione come Coldiretti (nata comunque nel 1944), e che questa istituzione si fosse messa in ogni modo, e con ogni mezzo (comunicativo, mediatico e non) a difendere le preparazioni tipiche del tempo. Si sarebbero difese non solo le ricette contadine di qualità davvero misera, ma tornando alla pizza se fossero stati applicati i criteri odierni sarebbe stata difesa paradossalmente quella bianca, con strutto, formaggio e alici, cercando di contrastare una versione che sarebbe stata vista come la “novità che minaccia la tradizione”. Vale a dire quella col pomodoro che avrebbe accolto, a breve, anche la mozzarella. Vale a dire quella che, al contrario, oggi viene assunta a simbolo di un intero mondo. L'unica e "originale".

Oggi tutti gelosi della carbonara, ma nella prima ricetta aveva aglio e gruviera

Facciamo una piccola digressione, in questo caso il discorso della cultura gastronomica “figlia dei tempi” viene fuori forte come non mai. Dopotutto se proprio dobbiamo parlare di ricette delle origini che dire della prima testimonianza scritta della carbonara apparsa nel 1954, con aglio e gruviera tra gli ingredienti? L'evoluzione, costante nel corso del tempo, ci ha portato (anche passando attraverso versioni con la panna, sì quella panna che oggi tutti osteggiamo) alla carbonara che conosciamo oggi, e che comunque sia ancora è oggetto di dibattito e discussione. Se si fosse difesa a tutti i costi e con tutti i mezzi la "prima" carbonara, oggi forse la staremo ancora mangiando nella versione comparsa nel ricettario (era La Cucina Italiana) della metà degli anni 50.

Napoli: spazio alla "pizza horror". Ma chi siamo noi per giudicare?

Ecco perché ci fa riflettere questa continua e strenua difesa della (vera o presunta) tradizione. Una difesa che passa, cavalcando l'opinione popolare perennemente in fermento quando si parla di cibo, attraverso sberleffi e iniziative ironiche quanto superficiali ogni qualsivoglia novità in ambito alimentare. Pizza in primis, in non poche occasioni. E torniamo quindi a Napoli, torniamo a questa fantomatica “pizza degli orrori”. Vale a dire quella pizza caratterizzata da ingredienti che esulano dalla visione per noi tradizionale dell’alimento, che escono dai canoni dei menu più classici e immobili fermi alle solite, limitate, alternative.

Ecco quindi come sono state messe in risalto, denigrate, pizze che sicuramente sono lontane dalla nostra familiarità, ma che magari nei posti (spesso esotici) in cui vengono proposte riescono ad essere apprezzate. Gli esempi più lampanti? Tipologie strane ai nostri occhi, magari normalissime per gli altri. Tra le più “criticate” la pizza con carne di serpente (replicata di recente anche da Pizza Hut ad Hong Kong), di canguro, coccodrillo, struzzi, o quella con il pollo tanto diffusa negli Stati Uniti. Immancabile, non poteva essere altrimenti dati i presupposti, quella con l’ananas e il prosciutto. La quale, comunque sia, oggi figura tra le tipologie più consumate al mondo, stando ad alcuni dati seconda solo alla margherita. E chissà che tra 100 anni questa varietà, la Hawaiana, ritenuta così impertinente negli anni passati non possa diventare “tradizionale”, ripercorrendo lo stesso percorso fatto nei decenni dalla margherita. Lei in primis all’inizio uno strappo alla regola, poi diventata "La" pizza per antonomasia. Eppure anche guardando in casa nostra emergono alcune spaccature: quella, per esempio, riguardante la pizza Rossini; di fatto realizzata e amata solo a Pesaro, città in cui è nata e dalla quale non è riuscita ad uscire.

Il mondo pizza per fortuna va avanti, ma c'è chi guarda solo al passato

La pizza con l'ananas, tra le più consumate al mondo

Luca Cesari: «La pizza rimane pizza, con qualsiasi ingrediente»

Capita, tra l'altro, a fagiolo una lettura (che consigliamo a chiunque sia interessato ad approfondire l'argomento) del libro Storia della Pizza dello storico Luca Cesari. Citiamo testualmente un passaggio, che rispecchia a pieno il senso di ciò che stiamo cercando di dire. «Penso che chiunque addenti una fetta di pizza - scrive l'autore - ovunque egli sia, non possa ignorare la provenienza originale di ciò che sta mangiando, ma ciò non gli impedisce di considerarla una base su cui sperimentare, come è successo in passato per la pasta, che ha fatto un percorso tutto sommato simile con qualche decennio di anticipo. Di fronte questa "congiura" mondiale ai danni della pizza gli italiani si sono ritagliati il ruolo di difensori della tradizione, che è un po' come cercare di fermare la marea con un secchiello, ma almeno hanno ottenuto il risultato di farsi riconoscere universalmente come gli inventori della pizza. Gli italiani sono estremamente rigidi riguardo al cibo tradizionale, soprattutto nei confronti di piatti fortemente identitari come la pizza, ma dobbiamo considerare che il moltiplicarsi delle ricette della pizza è sintomo della sua grande vitalità, anche se tutto ciò capita a migliaia di chilometri da Napoli: il giorno in cui si smettesse di interpretare e variare la pizza sarebbe l'inizio della sua parabola discendente. Alcuni pensano addirittura che le pizze troppo creative dovrebbero essere chiamate con un altro nome, risrevando il nome "pizza" solo quella canonica (o che si fa a Napoli, fate voi)».

Il mondo pizza per fortuna va avanti, ma c'è chi guarda solo al passato

Luca Cesari, autore del libro 'Storia della pizza'

«Allo stesso modo in cui un piatto di maccheroni condito con kiwi e salsiccia rimane pur sempre nella categoria pasta, anche la pizza rimane la stessa qualsiasi cosa le si metta sopra... Per dirla con una battuta di Francesco de Carlo sulla diatriba più sentita dagli italiani: "La pizza con l'ananas è una bestemmia perché noi pensiamo di essere la pizza, ma se sei l'ananas la pizza con l'ananas è una grande opportunità"». 

Pizza, un mondo in continua evoluzione grazie ai grandi maestri

In fondo, chi siamo noi per difendere la pizza (o meglio, le uniche pizze che riteniamo degne di questo nome)? Chi siamo noi per ergere un muro tra una delle preparazioni più amate, e diversificate, al mondo e la cultura gastronomica in cui sono proposte? Chi siamo noi per dire che la vera pizza sia quella nostra, quella italiana, affermando come tutte le altre meritino, non diciamo di non esistere, quantomeno di essere sbeffeggiate? Chi siamo noi, infine, per tenere ancorata la pizza al suo passato, al suo trascorso ormai ultra centenario, scartando a priori tutto ciò che di nuovo interessa il suo mondo? No, la pizza non è (o perlomeno non è più, e per fortuna aggiungiamo) margherita o marinara. La pizza (e la cucina) è un mondo in continua evoluzione e sviluppo, ricerca e aggiornamento. Anche grazie a pizzaioli che in prima persona hanno accettato la sfida di rivoluzionare, capovolgere quasi, il mondo pizza, la considerazione e la visione di una ricetta nata povera ma oggi più ricca che mai. Grazie ai Francesco Martucci, ai Franco Pepe, ai Diego Vitagliano, ai Renato Bosco ai Lello Ravagnan, ai Gabriele Bonci o ai Pier Daniele Seu (solo per fare qualche nome) che hanno voluto aggiornare un mondo fin troppo a lungo austero e grigio, bloccato al suo passato e in attesa solamente di essere “scoperchiato”.

Il mondo pizza per fortuna va avanti, ma c'è chi guarda solo al passato

Il futuro della pizza? (Anche) contemporaneo

A questo punto rinnoviamo l’interrogativo: è che a forza di difendere la tanto agognata tradizione (a parole, o con i fatti come testimoniato dagli ultimi provvedimenti in materia di carne sintetica) si rischia di rimanere al palo, fermi a un passato che ormai, se e quando considerato esclusivamente fine a se stesso, appare anacronistico?

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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