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“Selvatici e buoni”, Slow Food in campo per valorizzare la carne di selvaggina

di Roberto Vitali
 
06 novembre 2017 | 17:15

“Selvatici e buoni”, Slow Food in campo per valorizzare la carne di selvaggina

di Roberto Vitali
06 novembre 2017 | 17:15
 

Le carni di selvaggina con alta qualità nutrizionale e organolettica fanno parte delle tradizioni alimentari italiane. Bergamo in questo senso fa da apripista con 4 cene a tema e un corso di aggiornamento per ristoratori.

Più precisamente, Bergamo vuole farsi bandiera a livello nazionale per la creazione di una filiera tracciata della carne di selvaggina. Il progetto si chiama “Selvatici e Buoni”, è curato dall’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo in collaborazione con il dipartimento di Medicina veterinaria dell'Università di Milano, la Società italiana di Medicina veterinaria preventiva; è realizzato con il sostegno della Fondazione Una Onlus e raccoglie l'adesione di numerose realtà del territorio.

(Selvatici e buoni, Slow Food in campo per valorizzare la carne di selvaggina)

Ascom Bergamo, supporter del progetto insieme a Slow Food, ha colto la sfida di coinvolgere i ristoratori per ridare valore ad un'eccellenza alimentare troppo spesso sottovalutata, ma che nel nostro territorio ha enormi potenzialità, considerata la presenza in bergamasca di 13mila ungulati selvatici, tra cui cervi, camosci, caprioli e cinghiali. L'utilizzo di carni di selvaggina rappresenta una scelta sostenibile e a bassissimo impatto ambientale, volta a rivalutare il vero prodotto locale gestendo al contempo eventuali squilibri dettati dall'incremento della fauna selvatica.

«La selvaggina - afferma l’architetto Silvio Magni, fiduciario della Condotta Slow Food Valli Orobiche - è una risorsa che va rivalutata sia dal punto di vista qualitativo che sanitario, riscoprendo anche tagli poco conosciuti che si prestano alle più svariate ricette. Le carni degli animali a vita libera hanno qualità organolettiche interessanti, dal basso contenuto di grassi e colesterolo alla ricchezza di ferro, zinco e vitamina B12».

La "bontà" dell'iniziativa potrà essere testata nel mese di novembre con "Selvatici e buoni a tavola...", quattro cene in altrettanti ristoranti di Bergamo e provincia, ognuna con un menu dedicato ad una carne diversa accompagnato dai vini del Consorzio Valcalepio.

Si comincia mercoledì 8 novembre all'Osteria Al Giganca di Bergamo con il cervo, per proseguire il 15 alla Trattoria gastronomica Selva di Gelso di Clusone con il daino, il 22 al ristorante Bellavista di Riva di Solto con protagonista il cinghiale e per chiudere il 30 novembre al ristorante Peccati di Gola di Vilminore di Scalve con il camoscio. Il costo è di 35 euro per persona (solo su prenotazione, contattando i ristoranti).

Oltre ad aver promosso il coinvolgimento dei ristoratori, Ascom partecipa al progetto di filiera con un corso per "persona formata" sugli aspetti normativi, sanitari e di promozione delle carni di selvaggina. Il percorso formativo della durata di 16 ore, è in programma il 17, 24 e 31 gennaio e il 5 febbraio all'Accademia del Gusto di Osio Sotto (Bg).

«La selvaggina - sottolinea Luigi Pesenti, vicepresidente del Gruppo Ristoratori Ascom - ha fatto la storia della cucina e fa parte da sempre della nostra tradizione gastronomica. In cucina si presta a innumerevoli ricette e un adeguato trattamento delle carni ne esalta il gusto, a torto ritenuto dai più troppo intenso. La sfida della ristorazione è quella di fare scoprire materie prime eccellenti e di stagione come la selvaggina, che rappresenta tra l'altro una scelta sostenibile a differenza delle produzioni zootecniche intensive».

«Il progetto nasce dall’esigenza di trasformare un problema - ha spiegato Silvio Barbero, vicepresidente dell’Università di Pollenzo - quello dell'aumento esponenziale degli ungulati selvatici, in una risorsa. Il percorso di valorizzazione della filiera parte dai cacciatori e dalla loro formazione, mirata a trasformarli in produttori di cibo con tutte le conoscenze necessarie e relative responsabilità, prosegue con i macellai e infine con i ristoratori. Mettendo insieme questi saperi diversi si potrà creare un modello in grado di certificare provenienza e qualità delle carni».

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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