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Ristorante Savini condannato per frode Ma la sentenza non convince

La Corte di Cassazione ha confermato la sentenza di condanna per il Ristorante Savini, in Galleria Vittorio Emanuele II a Milano: secondo i giudici i clienti non erano abbastanza informati sulla qualità dei prodotti. Quattro mesi di reclusione, con pena sospesa e non menzione, per il proprietario Giuseppe Gatto.

24 agosto 2018 | 15:10
Ristorante Savini condannato per frode 
Ma la sentenza non convince
Ristorante Savini condannato per frode 
Ma la sentenza non convince

Ristorante Savini condannato per frode Ma la sentenza non convince

La Corte di Cassazione ha confermato la sentenza di condanna per il Ristorante Savini, in Galleria Vittorio Emanuele II a Milano: secondo i giudici i clienti non erano abbastanza informati sulla qualità dei prodotti. Quattro mesi di reclusione, con pena sospesa e non menzione, per il proprietario Giuseppe Gatto.

24 agosto 2018 | 15:10
 

La Corte di Cassazione ha confermato la sentenza di condanna per il Ristorante Savini, in Galleria Vittorio Emanuele II a Milano: secondo i giudici i clienti non erano abbastanza informati sulla qualità dei prodotti. Quattro mesi di reclusione, con pena sospesa e non menzione, per il proprietario Giuseppe Gatto.

Come riportato dal Corriere della sera, i fatti risalgono al 10 settembre del 2012, quando durante un’ispezione degli agenti dell’Annonaria della Polizia locale i congelatori del ristorante furono trovati pieni.

(Prodotti surgelati senza indicazione Condannato il Ristorante Savini)

La principale accusa mossa dai giudici riguarda il menu del Savini, dove il riferimento ad alimenti surgelati compariva soltanto a margine della pagina, in carattere minuscolo e senza i dovuti asterischi accanto ai piatti che contenevano prodotti congelati. A questo si somma la mancanza di un'avvertenza, prima della lista dei piatti, che potesse in qualche modo mettere in evidenza questo particolare.

In questo modo, secondo la Cassazione, alimenti surgelati venivano serviti regolarmente e presentati come freschi, il tutto all'oscuro del cliente, che solo per scrupolo personale poteva venire a conoscenza della natura dei piatti che presentava il menu del Savini.

Inutile la difesa attuata dal ristorante, che ha cercato di convincere i giudici del fatto che l’indicazione sulla carta fosse sufficiente per garantire un’informazione corretta ai clienti, evidenziando che i prodotti congelati venivano usati soltanto in caso di esaurimento delle scorte o di un eccessivo afflusso di persone.

Come riporta Il Giorno, queste giustificazioni non erano sufficienti per i giudici, che già in primo grado avevano parlato di metodi non adeguati «a garantire una puntuale informazione sulle qualità del prodotto venduto». Perché? «L’informazione tramite il menu non era adeguata per la conformazione grafica che sfuggiva all’attenzione dell’avventore». E ancora: «I prezzi dei prodotti e la loro presentazione nel menu, unitamente alle caratteristiche di ristorazione d’élite dell’esercizio, erano tali da indurre l’avventore medio a ritenere che il prodotto fosse fresco».

A ciò si aggiunge che «l’utilizzo di prodotti surgelati o congelati era evenienza tutt’altro che rara negli esercizi gestiti da Savini»; dal momento che i menu non davano evidenza a quell’informazione, secondo i giudici avrebbe dovuto dunque essere il personale, senza diretta richiesta del cliente, a specificare l'eventuale presenza di alimenti congelati nei piatti.

In seguito a queste considerazioni Giuseppe Gatto, proprietario del Savini dal 2010 insieme al figlio Sebastian e all'epoca dei fatti presidente del Cda del ristorante, è stato definitivamente condannato dalla Corte di Cassazione a 4 mesi di reclusione, con pena sospesa e non menzione, con l'accusa secondo la quale «il diritto all'informazione del consumatore non è stato rispettato».

Episodi di questo genere sono già capitati anche a eccellenze del panorama gastronomico italiano come Antonino Cannavacciuolo, quando i Nas di Torino avevano rilevato delle irregolarità nel bistrot a Torino gestito da lui e dalla moglie.


Riportiamo di seguito il parere autorevole di Massimo Artorige Giubilesi, tecnologo alimentare, ceo di Giubilesi & Associati, presidente Fcsi Italia e membro del Comitato scientifico di Italia a Tavola, che nel 2012 fu chiamato come consulente tecnico nel procedimento penale contro Savini per tentata frode nell’esercizio del commercio.

Massimo Artorige Giubilesi (Ristorante Savini condannato per frode Ma la sentenza non convince)
Massimo Artorige Giubilesi

Si tratta di una sentenza che non può essere condivisa, stante l’interpretazione che viene data al reato di frode in commercio, interpretazione che ritengo molto ampia e forzata. Abbiamo varie testimonianze anche recenti in contesti analoghi in cui tale sentenza non sarebbe stata pronunciata, ovvero si sarebbe fermata al primo grado di giudizio.

Dove si configura la frode commerciale? Quando si dimostra l’atteggiamento doloso, quando il ristoratore vende o somministra una cosa al posto di un’altra ingannando il cliente. Nel caso del Savini non è stato così, tant’è che nella prima e nell’ultima pagina del menu c’era una scritta chiara in doppia lingua (italiano e inglese) di assoluta trasparenza dell’informazione verso il consumatore, sintomo di un comportamento scrupoloso e leale da parte del gestore del locale.

Tutti i membri del personale del Savini, con particolare riferimento ai direttori e ai maître, sono da sempre formati e addestrati attraverso corsi di formazione specifici, conoscono l’origine e lo stato fisico dei prodotti somministrati e vengono informati ogni giorno dagli chef in modo da sapere bene cosa stanno “vendendo” al cliente al tavolo.

È importante inoltre considerare che il lungo orario di apertura del locale (16 ore al giorno) e la massiccia affluenza di clienti fanno sì che sia logico tenere delle scorte di materie prime surgelate a supporto di quelle fresche refrigerate. Al momento dell’ispezione sono stati trovati anche molti prodotti refrigerati. Ma chi si è occupato dell’ispezione, peraltro senza redigere alcun verbale, si è limitato a controllare solo una parte delle celle frigorifere (i congelatori), ignorando quelle in cui erano conservati prodotti freschi refrigerati. E sono stati ritrovati prodotti congelati all’origine e abbattuti in loco, con le relative bolle di accompagnamento e documentazione di rintracciabilità, il tutto supportato dalle severe procedure del Sistema Haccp applicate dal ristorante. Non è stato precisato né quali né quanti erano i prodotti congelati utilizzati per quali piatti in maniera “fraudolenta”.

L’indicazione riportata e ripetuta sul menu era: «Gentile cliente, la informiamo che alcuni prodotti possono essere surgelati all’origine o congelati in loco (mediante abbattimento rapido di temperatura), rispettando le procedure di autocontrollo ai sensi del reg. CE 852/04. La invitiamo quindi a volersi rivolgere al responsabile di sala per avere tutte le informazioni relative al prodotto che desiderate».

La sentenza a questo proposito parla di utilizzo di caratteri piccoli e grafica poco visibile. Questo non corrisponde al vero: il menu era in italiano e inglese, e la scritta occupava un terzo di pagina, sia la prima che l’ultima pagina del menu. Inoltre il personale di sala era (ed è sempre) a completa disposizione per qualsiasi richiesta. L’avvertenza, scritta su 2 pagine del menu in 2 lingue, secondo i suggerimenti del sottoscritto, è identica a quella consigliata dalla Regione Lombardia oltre che analoga alla formulazione indicata dal ministero della Salute per informare i consumatori sulla eventuale presenza di sostanze allergeniche.

Come testimoniato dall’allora dirigente veterinario dell’Asl Milano Giovanni Pietro Pirola, è lecito chiedersi: dove sta scritto, in tutta la bibliografia accreditata, che un prodotto refrigerato sia di qualità inferiore rispetto all’analogo preparato con ingredienti freschi? Il prodotto non cambia né sotto il profilo organolettico né igienico-sanitario.

In conclusione, dal punto di vista sostanziale, comunicazionale e tecnico-legislativo, non si ravvisano atteggiamenti dolosi da parte del Savini che possano ledere il “diritto all’informazione adeguata per il consumatore”. E non dimentichiamo che il D.lgs. 110/92 non prevede che ci voglia l’asterisco accanto ad ogni prodotto, ma solo e giustamente che il consumatore non sia indotto in errore.


© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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