Quando parliamo di cardo facciamo riferimento alla specie botanica Cynara cardunculus var. Altilis, famiglia delle Asteracee, come il carciofo, una verdura che caratterizza il periodo invernale. Nella sua forma spontanea è originario della zona del Mediterraneo, se ne trovano cenni presso gli Egiziani ed ancora prima presso la civiltà Etiope. Plinio lo cita nella sua Naturalis historia e fin dai tempi antichi i germogli ed i semi di cardo servivano per produrre il caglio vegetale.
Leggende piemontesi e scozzesi
Solo nel Cinquecento si hanno le prime testimonianze della sua presenza in cucina e nel Settecento viene menzionato nel libro “Il cuoco piemontese”, nell’abbinamento più classico, la bagna caoda. È il simbolo della Scozia, narra la leggenda che un gruppo di Vichinghi stava per sorprendere nel sonno i guerrieri scozzesi, ma uno degli invasori mise un piede su un cardo selvatico, le sue urla servirono da allarme ed evitarono l’occupazione della Scozia.
Al di là della leggenda, storicamente il cardo viene adottato come simbolo del paese durante il regno di Alessandro III (1249-1286) e compare sulle prime monete d’argento solo più tardi, nel 1470. Il suo fiore è presente anche nelle insegne dell’Ordine del Cardo, principale ordine cavalleresco scozzese, per dignità secondo del Regno Unito (dopo quello della Giarrettiera). Il collare indossato dai cavalieri è composto infatti da fiori di cardo e foglie di ruta dai quali pende una stella con Sant’Andrea, patrono dell’Ordine.
Il cardo, ingrediente principe della bagna caoda
Le varietà
Sono due le varietà botaniche: la Silvestris, conosciuta come cardo selvatico, e la Altilis o cardo domestico o a coste che rispetto al cardo selvatico, da cui discende, è più grande, con coste lunghe e tenere e steli esterni più duri e robusti, talvolta ricoperti da spine. Le varietà più diffuse in Italia sono: Cardo di Bologna, privo di spine, con costole piene, di media grossezza; Gigante di Romagna, caratterizzato da un colore verde grigio chiaro ed una discreta presenza di spine; Cardo di Chieri, coltivato nelle zone dell'omonimo comune in provincia di Torino, si presenta con un colore dal verde al biancastro, poiché dopo la raccolta viene posto sotto dei teli utili per eliminare la clorofilla, così da eliminarne o almeno diminuirne il gusto amaro. Ulteriori caratteristiche di questa varietà sono la bassa presenza di spine e l'alta serbevolezza; Cardo gobbo di Nizza Monferrato, presidio Slow Food, nasce nei terreni sabbiosi nella valle Belbo, dalla caratteristica tecnica di coltivazione a cui viene sottoposto, interrato e ricoperto di terra, rimanendo così fino al momento in cui viene raccolto. In questo modo la pianta, nel tentativo di cercare la luce, si curva verso l'alto assumendo la caratteristica forma gobba.
Nel Saluzzese, invece, il cardo viene impacchettato con pesanti fogli di carta legati intorno strettamente: la pianta assume così un aspetto diritto, dalle coste bianche e tenere. La parte più complessa della sua preparazione risiede nella pulizia e nella cottura, che anche se non sono affatto difficili, risultano un pò lunghe e richiedono tempo e pazienza. Tutti i cardi si mangiano cotti, soltanto il cardo gobbo di Nizza Monferrato è buono crudo.
Composto prevalentemente da acqua, il cardo presenta una buona concentrazione di sali minerali come il potassio, oltre che di vitamine del gruppo B e C. Numerose sono le ricette regionali invernali, molte della quali legate alle festività natalizie, in Piemonte, oltre alla bagna caoda, il fland di cardi; Abruzzo lu cardone, una minestra a base di brodo di carne, polpettine di carne e dadini di cardo. Dalla Sardegna il Likori de gureu a base di cardo selvatico fatto macerare in acquavite di vinacce.