Il pesce è un alimento sicuramente salutare, legato alle tradizioni gastronomiche italiane, se non altro per la sua qualità, per la purezza delle nostre acque e per essere tra i Paesi in Europa con il maggior chilometraggio di coste. Non a caso il pesce è diventato una materia prima costante della ristorazione italiana, cucinato utilizzando tecniche diverse di cottura grazie alla sua versatilità e grazie alla formazione degli chef.
Sicuramente il periodo più gettonato per le preparazioni di pesce, al ristorante, ma soprattutto in famiglia, è sicuramente quello natalizio, dove ci sono tendenze e tradizioni che vengono rispettate pedissequamente di generazione in generazione. Le usanze riguardo al Natale sono diverse ma una cosa che accomuna tutta l’Italia è che alla Vigilia non si mangia tassativamente carne. Una tradizione che lega il Paese e secondo cui la sera del 24 dicembre il meni è solo a base di pesce. Ma perché questa scelta? Va fatta una precisa ricerca che tocca da vicino il mondo religioso.
L'usanza del pesce alla Vigilia
Prendendo spunto da alcuni trattati legati alla fede cristiana si percepisce che molte tradizioni legate alle festività hanno origine dal Vangelo e dai testi sacri, quella di non mangiare carne sarebbe una forma di rispetto per la nascita di Gesù (come succede anche con il “digiuno” pasquale), ma la realtà è diversa. La rinuncia alla carne il giorno prima di Natale è soprattutto un’usanza popolare. È vero che il Codex Iuris Canonici, nel 1917, aveva effettivamente prescritto l’astinenza dalla carne e il digiuno nei giorni della vigilia delle solennità di Pentecoste, dell’Assunta, di tutti i Santi e del Natale, ma la questione ha subito cambiamenti nel corso del tempo.
Infatti la Costituzione Apostolica Paenitemini, firmata nel febbraio 1966 da Paolo VI, decise di superare queste indicazioni, e stabilì che il digiuno fosse necessario solo il mercoledì delle Ceneri e il Venerdì Santo, e l’astinenza dalla carne tutti i venerdì dell’anno, ma non più nelle vigilie. Anche per i più religiosi non sarebbe “peccato” mangiare carne alla vigilia, che quest’anno cade di sabato. Oggi non è neanche più una questione di “pregio” oppure di ostentazione. Se un tempo il pesce era considerato meno pregiato della carne, che invece era presente solo sulle tavole dei nobili, oggi si può dire il contrario e quindi piatti di crostacei, vongole e cozze sono altrettanto se non più sontuosi e ricchi di quelli a base di carne.
Chi sono i più appassionati di pesce?
Sempre più pesce nelle cucine degli italiani
E il consumo di pesce in Italia? A dirci quanto consumano gli italiani nel settore ittico è l’Ismea (l’Istituto di servizi per il mercato agricolo italiano) che in questi anni ha diramato tendenze e cifre che hanno evidenziato quanto la pandemia ed oggi la crisi generalizzata abbiano influito sui consumi di pesce. L’Ismea ha pubblicato un’interessante analisi relativa al settore ittico. Tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021 il comparto ha messo a segno una crescita del 6,7% rispetto al 2019, molto interessante se confrontata con il calo del settore (-0,4%) registrato l’anno precedente, ma più bassa della crescita media delle spese per i prodotti alimentari nello stesso anno.
Un andamento dovuto alle diverse dinamiche che hanno interessato i prodotti ittici freschi e quelli lavorati, sotto forma di conserve (come il tonno in scatola) o surgelati. Nel 2020 ad incidere negativamente sul comparto ittico sono state le oscillazioni del segmento del fresco sfuso. Aprile e luglio sono stati i mesi più difficili, in cui si sono registrate flessioni rispetto al 2019 dovute anche alla discontinuità dell’offerta. Fortemente condizionato nel primo periodo da problematiche di tipo logistico e nei mesi estivi dalla maggior richiesta da parte dei ristoranti, il segmento del fresco ha avuto poi un’importante ripresa nella fase finale dell’anno (+21% a dicembre) che ha riportato l’intero comparto in terreno positivo.
Il segmento del pesce fresco, che rappresenta quasi il 50% dell’offerta, a causa delle dinamiche sopra esposte, ha messo a segno solo un +2%, a fronte di una crescita del 16% del prodotto congelato (che rappresenta circa il 20% del totale). Il recupero dei consumi domestici non sembra quindi essere stato sufficiente a compensare i mancati introiti presso i canali dell’Horeca. Secondo quanto emerge dal report sull’andamento dell’Economia Agricola nel 2020 reso noto dall’Istat, il settore ha visto un deciso ridimensionamento tanto della produzione (-8,8%) che del valore aggiunto (-5,3%). Tuttavia dopo un andamento altalenante, si legge nel report Istat, la spesa per gli ittici freschi ha mostrato una netta ripresa nella fase finale dell’anno che gli ha permesso il superamento dei risultati del 2019.
Nel primo quadrimestre 2021 le vendite di prodotti ittici freschi sono cresciute vertiginosamente arrivando a toccare il +33,3% rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente. Le vendite di questo segmento sono rappresentate per due terzi da “pesci” (68% in valore e 64% in volume), venduti interi, sfilettati o in trance, il restante terzo da molluschi (21% in valore e 27% in volume) e da crostacei (11% in valore e 9% in volume). A trainare le vendite nel 2021 sono stati soprattutto molluschi e crostacei, con incrementi superiori al 40% dopo un 2020 già chiuso in positivo (rispettivamente +18,3% e +4,5% in termini di spesa). Volano gli acquisti di prodotti gourmet, tra cui spiccano salmone, crostacei e pescato in genere, spesso accompagnati da aperitivi, e vini, anch’essi con vendite in evidente crescita. Prodotti freschi e affumicati, nel 2021, hanno goduto di una crescente preferenza da parte dei consumatori, con incrementi dei volumi acquistati rispettivamente del 30% e del 20%, dopo un 2020 chiuso rispettivamente a +2% e +10%.
Questo è il quadro generalizzato dei dati che fa ben sperare per il 2022, infatti gli italiani sono da sempre grandi consumatori di pesce. Lo confermano anche i dati del commercio mondiale elaborati da Export Planning, che vedono il Belpaese tra i principali importatori al mondo con una quota del 3,8%, pari 3,7 miliardi di euro su un totale di 100,1 miliardi nel 2021. Le importazioni italiane vengono soddisfatte principalmente da Spagna (19,8%), Norvegia (12,5%), Svezia (9,6%), Paesi Bassi (9%) e Danimarca (8,5%). Per il 2022 è attesa una crescita del 2,5% in valore, che si accelererà nella media del triennio 2023-2025 (+7,7%). Un mercato quindi che si conferma di grande interesse sia per gli importatori e aziende di confezionamento italiane, sia per le realtà internazionali. E anche in Italia i nuovi consumatori guardano al pesce come scelta salutistica.
Consumi di pesce: anziani più golosi degli under 30
Ma chi mangia pesce in Italia? Chi è il consumatore tipo? La famiglia italiana “tipo” ha acquistato, secondo i dati Nielsen Consumer Panel, circa 21 kg di prodotti ittici, per i pasti tra le mura di casa. Significativo il divario tra i diversi nuclei: a un consumo medio di 15 kg nelle famiglie con componenti under 30 (pre-family e new-families), corrispondono infatti consumi di oltre 30 kg nelle older couples. Sono molto diversificate anche le dinamiche che hanno caratterizzato gli acquisti nell’arco del quinquennio 2016-2020. Le famiglie maggiormente fidelizzate (anziani soli o in coppia) hanno mantenuto inalterate le abitudini di acquisto, non mostrando infatti alcuna variazione dei volumi nel 2020 rispetto a cinque anni prima (2016). Le famiglie “di mezza età con figli in casa” hanno invece in questi 5 anni sempre più apprezzato il pesce in tavola, aumentandone le quantità del 15%.
E tra i tanti prodotti che i nostri mari ci forniscono, quali sono quelli più apprezzati dal pubblico? Sicuramente è il tonno il re del seafood italiano. Secondo una recente ricerca Doxa, in Italia si mangiano circa 2,7 kg pro capite di tonno all’anno. Per il 58% degli intervistati il tonno è un alimento pratico, il 47% lo apprezza perché ha un gusto piacevole e il 25% perché è una valida alternativa al pesce fresco. Accessibilità (25%), ridotto consumo di grassi (15%) e ragioni salutistiche (10%) sono le motivazioni principali per cui i consumatori italiani apprezzano questo prodotto, uno dei pesci simbolo dei nostri mari.
Capitone, simbolo di Natale
Tradizioni natalizie lungo lo Stivale
Ma torniamo alle nostre tradizioni, quelle che hanno fatto epoca nelle cucine italiane e che ogni anno trovano espressione sulle tavole di milioni di italiani nel periodo natalizio e principalmente alla Vigilia. Quando la diatriba su cosa cucinare e su come proporlo anima i giorni precedenti l’importante appuntamento culinario che raggruppa attorno al tavolo genitori, figli, nonni e parenti tutti. Molti sono orientati di solito a rispettare per filo e per segno la tradizione, cucinando il famosissimo capitone altri invece preferiscono sperimentare nuove ricette e nuovi sapori. L’eccezione, è ovvio, c’è sempre, ma su tutte le tavole di Napoli, come quelle di un po’ tutto il Sud, a Natale (o meglio, la vigilia di Natale) una cosa non deve assolutamente mancare: il capitone, al quale la smorfia napoletana ha attribuito addirittura un numero tutto suo, il 32.
Il capitone è la femmina dell’anguilla, e viene chiamata così a causa delle dimensioni più grosse della testa riguardo agli esemplari di sesso maschile, rispetto ai quali è anche più lungo e grosso. A differenza dell’anguilla, il capitone risale i fiumi, perciò è possibile trovarlo sia in acqua dolce che salmastra, oltre che in mare, tuttavia questo pesce è considerato in pericolo di estinzione a causa della pesca intensiva. Ma perché secondo la tradizione a Natale il capitone deve essere sempre presente? Ancora una volta il motivo si trova nella superstizione: esso è molto simile al serpente, che secondo il Cristianesimo è l’animale che rappresenta il male, le cui sembianze assunse Satana per tentare Eva e farle mangiare il pomo proibito, condannando l’umanità alla morte. Col Natale si festeggia la nascita di Gesù, dunque mangiare il capitone significa mangiare il serpente, un atto simbolico e di buon auspicio. Mangiare il capitone, per la tradizione, è dunque un modo per allontanare il male.
Un lascito della “cucina povera” che, tuttavia, oggi ha un prezzo piuttosto sostenuto. Si può preparare in vari modi, quello più in voga nella tradizione gastronomica meridionale è quello fritto. Ma in tavola nel periodo natalizio arriverà un mare (... è il caso di dirlo) di sapori. Come antipasto ci si può orientare su delle gustosissime e buonissime capesante gratinate, oppure ripiegare su cozze e ostriche da servire crude.
Come prima portata è ideale utilizzare sempre della pasta fresca da condire con un sugo ai frutti di mare, oppure si può preparare uno sfiziosissimo raviolo aperto di mare. Per la sua preparazione ti servirà della sfoglia di pasta all’uovo già pronta, calamari e gamberi. Una volta preparato il pesce farcisci il raviolo. Ma il primo piatto per eccellenza della cena di Natale, sono senza dubbio gli spaghetti allo scoglio e per chi invece, è alla ricerca di un gusto più intenso, consigliamo dei buonissimi e raffinati spaghetti all’astice.
Per quanto riguarda i secondi, la tradizione prevede che venga servito del pesce al forno, da provare sicuramente il filetto di tonno in crosta di patate oppure i gamberoni saltati al pompelmo. Oppure il consiglio è quello di puntare sul salmone. Prepara un turnedos di salmone con una crema alle noci. Queste sono idee sfiziose e, magari, costose. Ma la tavola può anche ospitare piatti più economici.
Partiamo dalle alici fritte: sono un piatto facile da preparare non occorrono molti ingredienti e sono anche molto economiche. Per prepararle basta passarle nella farina ed immergerle nell’olio bollente. Per chi invece vuole provare una ricetta un po’ più sostanziosa, allora può panarle con l’uovo e la farina e pan grattato.
Oppure una mousse di sgombro: stiamo parlando di un pesce molto povero ma molto saporito. Fate dorare in padella della cipolla insieme ad una noce di burro, aggiungetevi i filetti di sgombro, salate e pepate una volta cotti, frullateli insieme alla panna e due cucchiai di parmigiano grattugiato. Ed infine, possono essere serviti degli spiedini di gamberi. Bisogna comprare dei bei gamberi, si trovano anche senza affrontare una spesa eccessiva, e lasciarli andare sulla griglia o sul barbecue aggiungendovi solo del sale e del prezzemolo.
In Toscana va forte il cacciucco
Quando metti in tavola il pesce è proprio il caso di affermare “Regione che vai, usanza che trovi”. Come abbiamo già scritto la cena del 24 dicembre è un’abitudine consolidata principalmente al centro-sud Italia, mentre al nord è più abitudine organizzare il pranzo di Natale. Al nord, in Lombardia vengono serviti i tagliolini agli scampi o ravioli di pesce e poi aragosta, salmone, astice bolliti serviti con salsa maionese. In Veneto tra i piatti tradizionali del Natale ci sono i cosiddetti cornioi, lumache cucinate con vino bianco, aglio, burro, olio, prezzemolo e sedano, in Friuli Venezia Giulia e in Veneto è tipica la pasta con le sarde salade. In Emilia Romagna spaghetti alle sarde o al tonno. Nelle Marche e in Umbria, pesce a volontà, alla griglia, in umido, fritto. Tra le pietanze abruzzesi, si preparano i fidelini alle sarde, le anguille, i baccalà e il capitone fritti. Il brodetto alla termolese fa parte della tradizione molisana, in Toscana, la notte della Vigilia, si festeggia con un sontuoso cacciucco mentre in Liguria è un classico il cappon magro.
In meridione si cambia storia. Abbiamo già scritto di ricette prevalentemente provenienti dal sud come il gustosissimo capitone in umido o fritto, piatto identificativo della vigilia partenopea. Però basti pensare che nella tradizione lucana la cena della Vigilia si articola in ben tredici portate a base di pesce, una ricchezza di profumi e sapori. In Puglia il pesce fritto è uno degli elementi principali insieme alle pettole, una pasta fritta che si mangia aggiungendo alici o sugo. Sempre a Napoli viene servita l'insalata di polpo e il baccalà fritto, il risotto alla pescatora e le linguine all'astice, la frittura mista di gamberi e calamari e, qualora non bastasse, la cosiddetta insalata di rinforzo preparata con cavolfiori, olive, capperi, papaccelle (peperoni corti e paffuti), sottaceti misti con l’aggiunta di acciughe. Per il cenone di Natale in Calabria si mangiano piatti a base di stoccafisso e carciofi. In Sicilia dominano pasta con le sarde e timballi di riso, mentre nella zona orientale dell’isola è tradizione preparare le scacce, focacce calde cotte in forno e ripiene di verdure, formaggi e carne.
Lo spaghetto allo scoglio è un altro must
Queste sono le usanze e le ricette a base di pesce più gettonate della nostra bella Penisola, ma per prepararle ci vuole una materia prima di qualità. Come riconoscere il pesce fresco da cucinare a Natale? Non bisogna essere dei grandi esperti, bisogna solamente aguzzare la vista e stare attenti a dei piccoli particolari molto importanti. La prima cosa da analizzare è senza dubbio l’odore del pesce che abbiamo deciso di comprare, che se fresco, dovrà mantenere il suo forte odore di mare e ricordatevi di annusare sempre sotto le branchie, se il pesce non fosse fresco, dovreste sentire un cattivo odore provenire da questa zona.
Vediamo adesso nello specifico altre operazioni da fare per riuscire ad assicurarci per la nostra cena di Natale sempre del pesce super fresco. Bisogna ricordare sempre che il pesce decongelato si riconosce per gli occhi infossati e spenti. Il pesce fresco ha in generale sempre occhi convessi, con una pupilla nera brillante mentre quello decongelato ha la pupilla velata. Il pesce fresco è rigido, quello decongelato diventa elastico; il colore delle branchie nel pesce decongelato, sono di colore marroncino o giallognole, mentre le branchi del pesce fresco sono di colore rosso vivo. Inoltre è fondamentale leggere sempre le etichette che devono essere a disposizione del consumatore. Le etichette devono riportare sia il nome in latino della specie, sia quello commerciale e lo stato fisico del prodotto fresco o decongelato e la provenienza.
In relazione ai canali di acquisto, dai dati della Consumer Panel Nielsen, risulta che la fonte di approvvigionamento più utilizzata resta il supermercato, dove avvengono il 38% degli acquisti totali di prodotti ittici. In particolare, sui 21 kg medi acquistati l’anno da ciascuna famiglia, più di 8 provengono dai supermercati, 5,5 dagli ipermercati, poco più di 3 dai discount, 3,6 dalle pescherie.