Sushi, storia e rivisitazioni di un cult internazionale

Originario delle coste cinesi, il sushi non nasce come pietanza ma come metodo di conservazione. Con Debic Cream Cheese si possono creare formaggi che ben si abbinano al pesce crudo, ai roll di sushi o ai nigiri.

20 novembre 2023 | 14:30

Il sushi non è un piatto giapponese. Una frase che comporta un certo sconcerto, soprattutto se non si conosce tutta la storia degli iconici bocconcini di riso con pesce crudo. No, le motivazioni non sono da rintracciare nell’espansione a macchia d’olio che questo piatto tradizionale ha avuto, venendo ibridato da diversi prodotti, distanti anni luce dall’estremo oriente asiatico, ma sono da ricercare molto più indietro nella storia, quando, alle sue origini, il sushi non esisteva, se non sotto forma di un lontano e irriconoscibile parente di quello che ad oggi è a tutti gli effetti una pietanza entrata nella nostra quotidianità.

Partiamo dal principio. Il sushi non è una specialità nata nell’arcipelago nipponico, né tantomeno è stato concepito con l’intenzione di essere un piatto, quanto piuttosto un metodo di conservazione: intorno al IV secolo d. C. nelle zone costiere della Cina e della penisola coreana era particolarmente diffusa l’usanza di eviscerare il pesce per poi riempirlo e porlo in mezzo al riso cotto che, fermentando, creava un ambiente acido nel quale i prodotti ittici freschi mantenevano intatte per più tempo le loro qualità organolettiche.

Inserito in grandi contenitori, il pesce poteva essere trasportato per lunghe tratte o stipato per molto tempo senza deteriorarsi, dal momento che la fermentazione rallentava la proliferazione batterica. Il fatto più particolare e inspiegabile legato a questa preparazione è che il riso veniva buttato prima della consumazione. In alcune regioni giapponesi questa tecnica è ancora in uso con il nome di Nare-zushi o Funa-zushi a seconda della zona di produzione e del pesce utilizzato.

 L'evoluzione del Sushi nella storia: dal Namanare all' haya-zushi

Nel periodo Muromachi (1336-1573), ci furono molte rielaborazioni che propiziarono il salto del sushi da metodo di conservazione a ricetta vera propria. Diffondendosi pian piano, in varie sfumature, in tutto il paese questo nuovo piatto, chiamato Namanare, non era più solo consumato per obblighi legati alla conservazione, ma come pietanza: per replicare il sapore acidulo del riso, a cui si erano abituati i palati giapponesi, si iniziò ad aggiungere dell’aceto in cottura. La principale differenza stava nel fatto che il riso fosse stabilmente consumato con il pesce.

Arrivati al periodo Edo (1603-1867), che prende il nome dall’antica Tokyo-Edo, in cui il Giappone interruppe quasi del tutto i rapporti con l’esterno consolidando fortemente i propri valori tradizionali, il sushi ebbe la sua consacrazione. Proprio nella capitale, fulcro nevralgico del Paese, si diffuse un nuovo modo di intendere e preparare la ricetta.  Fu durante questi anni che tra i vicoli affollati della frenetica Edo si svilupparono delle bancarelle che proponevano dell’haya-zushi, letteralmente “sushi veloce”: non si doveva più attendere che il riso inacidisse, ma lo si mescolava con aceto, pesce, uova e verdure. Questo piatto era perfetto per sfamare in modo rapido l’immensa manodopera della città, incessantemente ricostruita dopo i numerosi incendi a cui era soggetta in quel periodo, rendendo questo cibo popolarissimo e apprezzato da tutte le fasce sociali.

Sushi: dal kaiten-zushi di Yoshiaki Shiraishi alla fama a livello internazionale

I venditori ambulanti negli anni reinterpretarono il sushi in maniere diverse: a prevalere fu una diminuzione delle dimensioni (al tempo erano tre volte quelle di oggi, con un grande pezzo di pesce sopra) e si diffusero anche l’uso della soia a scopo conservativo e del wasabi per coprire gli odori sgradevoli del pesce che, in assenza di opportuni sistemi di refrigerazione, non sempre era fresco al momento del consumo.

Tuttavia ciò che diede la svolta definitiva fu il ristorante di Yoshiaki Shiraishi, definito il padre del nigiri, che sul finire degli anni Cinquanta del '900, nel tentativo di abbassare i costi di gestione del locale e renderlo alla portata di tutti, inventò il kaiten-zushi, il celeberrimo “sushi girevole” con piccoli piattini che circolano davanti allo sguardo dei clienti. Questa trovata, insieme alle innovazioni dei sistemi di refrigerazione, ha permesso ai vari formati di sushi di travalicare i confini nazionali arrivando sulle tavole di ogni angolo del globo e venendo rivisitato in svariati modi.

Nonostante le sue origini non siano ascrivibili al solo Giappone e il suo successo mondiale sia stato reinterpretato e ibridato con molte idee culinarie differenti, per il paese del Sol Levante il sushi rimarrà sempre Edo mae zushi, ossia “il sushi di fronte alla baia di Edo”, per indicare il significato nazionale, quasi religioso, che questo piatto ha per la capitale e per tutto l'arcipelago giapponese.

Il consiglio di Antonio Cuomo - Culinary Advisor di Debic

Il sushi è un piatto molto sentito in Giappone, tanto da avere attorno a sé un’aura quasi sacra, per questo è importante durante le sue rivisitazioni rispettare il sapore e le consistenze finali: è fondamentale che, anche aggiungendo elementi differenti appartenenti ad altre tradizioni culinarie, come quella italiana, si restituisca alla fine al cliente il vero gusto del sushi, mantenendo elementi basilari come la corretta tecnica di taglio del pesce crudo, oppure il riso preparato secondo metodi tradizionali, ai quali si possono accostare nuovi elementi innovativi.

Il segreto per un buon sushi risiede sicuramente nella qualità e nel modo in cui viene trattato il pesce: sia crudo che marinato, il taglio, la lavorazione e la freschezza di un certo tipo di prodotti ittici, che possono essere tonno, salmone, pesce azzurro fino ai gamberi, è la base fondamentale da cui partire per qualsiasi tipo di rivisitazione ben riuscita. Rispettando queste pietre miliari del sushi giapponese è possibile introdurre elementi eterogenei, perché l’arte culinaria è (fortunatamente) anche innovazione e creatività.

Per esempio si possono unire ingredienti a noi vicini come i pomodori, il basilico o della mozzarella, sostituendoli a sapori marcatamente nipponici come alghe o soia, oppure lavorare sulla parte aromatica delle salse di accompagnamento per riprodurre dei sentori mediterranei, il tutto tenendo senza dimenticare i precetti di lavorazione del sushi precedentemente elencati.

Il segreto di Antonio Cuomo - Culinary Advisor di Debic

Pesce e riso, sono i due elementi fondamentali che creano masticazione nel sushi, ad essi si accompagna solitamente una parte cremosa, che andremo a ricreare con un formaggio aromatizzato. Per ottenere una crema di formaggio che si sposa perfettamente con i sapori di roll o nigiri Debic consiglia Debic Cream Cheese un formaggio spalmabile, dalle qualità impareggiabili, altamente tecniche, ottenuto da un processo di fermentazione di latte e panna.

Debic ha permesso di creare un prodotto che contenesse le qualità di resistenza, anche alle alte temperature o in fase di montata, delle creme dure, ricche e cremose, ma che, allo stesso tempo, restituisse una consistenza liscia e facilmente spalmabile, subito pronta all’utilizzo. Frutto di un’accurata ricerca, questo prodotto si distingue per l’estrema versatilità, si rivela infatti perfetto sia per preparazioni dolci che salate, sia fredde che calde, e può essere impiegato sia come copertura che come farcitura, è perfetto per creme di formaggio, come in questo caso, ma anche per cheesecake mousse e bavaresi, pasticceria salata e ripieni.

Debic Italia
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Alberto Lupini


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