Carne sintetica. Le associazioni: inquina, è solo business

Le reazioni. Anabic: «La demonizzazione degli allevamenti è portata avanti attraverso informazioni strumentali e fuorvianti». Intanto gli Stati Uniti hanno dato il via libera alla carne di pollo prodotta in laboratorio. Timori per l'Europa, Cia e Confeuro: «Chiediamo alla Ue di fare molta attenzione e di valutare il divieto all’introduzione sui nostri mercati»

09 febbraio 2023 | 18:24
di Elisa Santamaria

Carne sintetica: cibo del futuro eco sostenibile o solo un affare economico? La carne coltivata (o anche carne sintetica, artificiale o in vitro) è un prodotto di carne animale originata dalle cellule staminali (Wikipedia) riguardo alla quale si moltiplicano news, fake news e falsi miti. La produzione di questa carne sta letteralmente mobilitando tutto il mondo legato al settore alimentare a partire dalla zootecnia.  Dopo il primo intervento della Coldiretti, interviene ora Anabic, l’Associazione Nazionale Allevatori Bovini Italiani Carne, che ha deciso di scendere in campo a difesa della carne bovina, con la volontà di smontare le false notizie sulla carne sintetica. Sul tema, e sul rischio della possibile invasione dei mercati da parte di questo prodotto frutto dell’alta tecnologia interviene anche Cia, la Confederazione Italiana degli Agricoltori, preoccupata per il primo via libera arrivato negli stati Uniti - apripista per l'Europa così come accaduto per gli insetti? - e Confeuro che perentoria commenta: «Troppo alti i costi economici e ambientali».

Stop alla demonizzazione degli allevamenti

«L’omologazione è alla base delle produzioni industriali, peraltro coperte da brevetto, che non garantiscono i processi di trasparenza e tracciabilità per noi invece fondamentali – spiega il presidente di Anabic Luca Panichi - . La demonizzazione degli allevamenti è portata avanti adducendo informazioni strumentali e fuorvianti. La chiarezza è un’altra cosa», commenta Panichi.

Gli interessi in campo secondo il numero uno di Anabic sarebbero ben altri, come è facile intuire, portati avanti dai sostenitori della carne “di laboratorio” esclusivamente per fini economici: «Si vuole per forza cercare un colpevole», continua il presidente. «In realtà i fautori della produzione di carne sintetica, che a loro dire ridurrebbe l’impatto ambientale causato dagli allevamenti zootecnici, sono solo interessati al loro business. Dietro a questo fenomeno che sta raccogliendo purtroppo ingenti capitali a livello mondiale, si cela esclusivamente un interesse economico». Per Panichi la disinformazione che circola, in particolare tra i consumatori, alimenta convinzioni errate e prive di fondamento che si possono smontare con dati certi e incontrovertibili come quelli riportati dall’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), che in uno studio quantifica nel 3% il valore delle emissioni di gas serra provenienti dagli allevamenti bovini. «Senza esitazione – spiega ancora Panichi – abbiamo aderito alla mobilitazione promossa alcune settimane fa da Coldiretti contro il cibo sintetico firmando il relativo documento per fermare questa pericolosa deriva che mette a rischio il futuro dei nostri allevamenti e dell’intera filiera agroalimentare made in Italy».

Allevamenti inquinanti? Questione di ciclo di vita

Anabic conta oltre 5.000 allevamenti di bovini da carne associati dove si allevano bovini appartenenti alle razze Chianina, Marchigiana, Maremmana, Podolica e Romagnola per una consistenza complessiva di circa 160.000 capi distribuiti in 18 diverse regioni dal Nord al Sud del Paese: il 70% degli allevamenti è estensivo, quindi totalmente al pascolo.

«È indubbio che gli animali, in questo caso i bovini in particolare, producono emissioni – sottolinea Stefano Pignani, direttore di Anabic– e soprattutto metano. Ma bisognerebbe anche specificare che, a differenza della CO2, il suo ciclo di vita in atmosfera non supera i vent’anni arrivando ad azzerarsi mentre l’anidride carbonica, prodotta soprattutto dai trasporti, dall’industria e in minima parte dagli animali, si consuma addirittura in un migliaio d’anni determinando un accumulo pressoché continuo. Queste sono le informazioni scientifiche che purtroppo spesso vengono omesse, preferendo demonizzare gli allevamenti come causa di tutti i mali del mondo. Non dimentichiamo poi – continua Pignani - che la cosiddetta carne sintetica è coperta da brevetto, è prodotta a livello industriale e questo non può che favorire una maggiore produzione di CO2. Non è quindi corretto presentare il problema in modo artificioso senza obiettività e dimenticando, spesso strumentalmente, i grandi benefici che invece gli allevamenti come quelli dei nostri associati garantiscono all’ambiente».

«Infatti – evidenzia ancora il presidente Panichi – le razze che rappresentiamo vivono in dimensioni di totale naturalità, costituiscono un valore sociale che affonda le sue radici in tempi molto lontani e assicurano al territorio quel ruolo di presidio e tutela che in tempi di grandi cambiamenti climatici ne può contrastare gli effetti: basti pensare alle conseguenze della siccità se quelle zone fossero totalmente abbandonate. Dimenticare questi aspetti è molto facile, soprattutto perché sono benefici di cui tutti godiamo, sono in qualche modo scontati e anche per questo non se ne percepisce troppo spesso l’importanza».

La tutela dei bovini, patrimonio culturale

Nel suo ruolo di tutela delle produzioni zootecniche delle razze bovine autoctone italiane che rappresenta, Anabic non fa solo riferimento al legame col territorio, alla sostenibilità delle aziende associate, alla difesa di un importante patrimonio culturale. «Da sempre – precisa il direttore Pignani - siamo impegnati in un processo di miglioramento genetico delle razze che va proprio nella direzione di quella trasparenza e tracciabilità sempre più richiesta dal consumatore attento che chiede informazioni chiare. L’attività del nostro Centro Genetico ne è una dimostrazione, così come la conservazione, nella nostra Banca del dna di ben 600.000 campioni che rappresentano un baluardo ai controlli sulla qualità della carne, oltre a costituire un importante ostacolo alle potenziali frodi che si potrebbero verificare. La distintività garantita dagli allevamenti bovini di razze così importanti come quelle che rappresentiamo – conclude Stefano Pignani – è un unicum che la carne sintetica non può proporre perché la sua produzione è solo frutto di un processo di omologazione. E l’omologazione, nel cibo, può solo generare incertezze. La sicurezza alimentare, invece, arriva proprio dalla diversificazione produttiva. Quella che i bovini delle razze rappresentate da Anabic garantiscono».

Il via libera Usa, apripista in Europa?

Allargando lo sguardo fuori dall’Italia, da novembre negli Stati Uniti è stata sdoganata la produzione di carne di pollo prodotta in laboratorio, per l’esattezza il 16 novembre, la Food&drug administration, l'ente statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari, ha dichiarato “sicuro per il consumo umano” il pollo sintetico della startup californiana Upside Foods.

Il via libera da parte dell'ente a stelle e strisce, sposta ora l'attenzione sull'Europa, con le aziende di riferimento a livello mondiale, tra laboratori e start up, passate da 13 a 117 dal 2016 al 2022 e la produzione globale di carne in vitro che si prospetta al 2030 in aumento fino a 2,1 milioni di tonnellate. E crescono i timori per il rischio di una nuova escalation sul mercato come sta accadendo per gli insetti.

«La carne sintetica - ha detto il presidente nazionale di Cia, Cristiano Fini - va nella direzione opposta a quella che è la nostra idea di cibo, basata sulla valorizzazione delle nostre produzioni agricole e zootecniche, simbolo di alta qualità e identificative dei territori e delle tradizioni nazionali. Inoltre, si tratta di una produzione artificiale che finisce per costare di più in termini di sostenibilità ambientale e non garantisce migliore salute e nutrizione per i cittadini. Al momento - ha concluso Fini - c'è il rischio concreto che l'agricoltura venga ridimensionata con ovvie conseguenze sulle aree interne con il progressivo abbandono dei territori».

Negli ultimi mesi gli investimenti a livello mondiale per la produzione di carne sintetica sono aumentati fino a 1,3 miliardi. «Questa tendenza in crescita ci preoccupa non poco e temiamo che anche l’Unione Europea possa autorizzarne la commercializzazione in Europa, come già avvenuto per le farine d’insetti», afferma Andrea Michele Tiso, presidente di Confeuro, in linea con il suo parigrado di Cia.

 

Carne sintetica pronta a invadere i mercati?

«Siamo contrari alla produzione e all’introduzione sui nostri mercati di un tale alimento sintetico. Riteniamo che la carne prodotta in vitro rappresenti una minaccia al nostro Paese, basato su un’agricoltura di qualità e su allevamenti tradizionali», prosegue Tiso, secondo il quale: «Oltre all’aspetto economico e alla crisi che innescherebbe sul settore zootecnico, va poi ricordato che queste produzioni artificiali al momento non sono sostenibili a livello ambientale. Evidenze scientifiche mostrano che per la produzione di carne sintetica è necessario un intenso consumo di energia che nel lungo termine provocherebbe un maggiore riscaldamento globale. Inoltre, il consumo di acqua nei processi di produzione è superiore a quello di molti allevamenti tradizionali e per la produzione i laboratori rilascerebbero residui di molecole chimiche e organiche, altamente inquinanti per le risorse idriche», sottolinea il presidente di Confeuro.

Un gatto che si morde la coda? Passare da allevamenti tradizionali ritenuti inquinanti a laboratori in grado (così pare) di peggiorare la soluzione solo per business? Secondo Confeuro la produzione di carissima carne sintetica non sarebbe motivata nemmeno dal palato: «Non troviamo una giustificazione a tale produzione nemmeno sul piano nutrizionale e del gusto. Questa carne nasce insipida e ha bisogno di numerosi additivi per somigliare a quella vera. Contiene un contenuto di grassi superiore alla carne animale ed è potenzialmente dannosa per chi ha patologie cardiovascolari. Per questi motivi chiediamo alla UE di fare molta attenzione e di valutare il divieto all’introduzione sui nostri mercati» conclude il presidente Tiso.

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Alberto Lupini


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