Caffè, fidiamoci del nostro gusto ...non di blogger e “influencer”

24 aprile 2017 | 11:25
di Andrea Radic
“A che bell’o cafè...” cantava Fabrizio De André, ma era il 1990 e da allora centinaia di milioni di tazzine sono state consumate nei bar e ristoranti italiani. Tuttavia, nonostante il caffè espresso sia indubbiamente un simbolo tricolore, polemiche e diatribe non si placano mai. Il prezzo troppo alto, la scarsa qualità, la frettolosa preparazione sono gli aspetti più criticati, per contro l’elenco dei “templi della tazzina” è lungo e comprende tutt’Italia.



Anche su questo tema a noi giornalisti tocca il compito - di cui ben si intenda siamo orgogliosi - di informare i lettori per quanto ci è dato sapere e stimolare con il commento alcune riflessioni. Innanzitutto teniamo presente che la tazzina di caffè costa al gestore del bar tra i 10 e i 12 centesimi, zucchero incluso, che però non tutti usano; poi, molto spesso, la superficialità o la noncuranza nell’utilizzo delle macchine fa il resto. Il risultato è un espresso spesso acido e davvero lontano dalla qualità che meriterebbe. Inoltre, per stessa ammissione dei gestori, magari a microfoni spenti, la tazzina di caffè è il modo per “fare cassetto” dato il mostruoso margine di guadagno.

Anche i consumatori hanno le loro responsabilità, prestando scarsissima attenzione a ciò che viene servito. Quante volte il caffè si riduce ad un pretesto per utilizzare la toilette? L’offerta è divenuta vastissima, dai caffè per milionari, di origine iperselezionata da piccolissimi coltivatori tra le giungle del Centro America, ai chicchi di caffè prima digeriti e poi espulsi da mammiferi in via d’estinzione.

Quindi, come regolarsi? Suggeriamo l’esperienza ed il gusto personale. Per coloro che hanno una vita residenziale, la soluzione migliore è individuare un barista appassionato e non tradirlo mai. Per chi si muove spesso, meglio preferire le torrefazioni, i bar-pasticceria, i locali storici. Non sempre la qualità è garantita, ma almeno, visto che si paga anche 1,30 euro per una tazzina, si può pretendere qualcosa in più. Quantomeno il piccolo bicchiere d’acqua incluso nel prezzo che, nella corretta liturgia di consumo, serve a sciacquare il palato prima di degustare il caffè. State lontani poi dai beveroni anglosassoni e dalle catene americane che stanno sbarcando in Italia: quello non è caffè, bensì una bibita aromatizzata.

Altro contesto da evitare, quanto il cattivo caffè, è quello di presunti/e blogger autodefinitisi “influencer”, che sponsorizzano senza freni degustazioni da non perdere. Capaci di lanciarsi contro chef e ristoranti che, a loro unico sentire, hanno la colpa di servire caffè di marca diversa da quella che li ospita tre giorni in vacanza premio. Ma senza parlare mai male di quei cuochi o del servizio del loro locale. Chissà perché? Sul tema la posizione di Italia a Tavola è precisa: i media hanno il compito di informare e commentare, la réclame è materia da sottobosco del web. Anche sul caffè.

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Alberto Lupini


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