Il prezzo del caffè e quello della benzina. Sono queste due le “ossessioni” degli italiani che all’espresso e al pieno della macchina proprio non possono rinunciare, ma che sgranano gli occhi tutte le volte che gli si presenta il conto. Secondo i più per entrambi i casi i prezzi sono eccessivi e se per la benzina si è finalmente scoperto negli ultimi anni che sono le accise a giocare un ruolo tanto beffardo quanto determinante nella lievitazione dei prezzi, per il caffè ancora ci si chiede come mai si vada ormai dall’euro alla tazzina in su. Una querelle che è divampata già qualche tempo fa, di cui si è parlato molto facendo i confronti tra i prezzi dell’espresso nelle principali città italiane e di cui ha parlato pochi giorni fa Lino Stoppani, presidente di Fipe - Federazione italiana pubblici esercizi in una lunga intervista rilasciata a mixerplanet.com.
Lecito chiedergli se e cosa possa fare la Fipe per calmierare i prezzi speranzosi che qualche dritta la possa dare. Stoppani però spegne subito le speranze: «Un’associazione di categoria, in quanto tale - dice - non può fornire indicazioni di prezzo. Farlo, rappresenterebbe un comportamento censurabile e sanzionabile ai sensi della legge sulla concorrenza. Fipe lascia quindi ai singoli operatori la definizione dei listini. Molto infatti cambia da esercizio a esercizio: numero di serving, costi generali, modalità di somministrazione, per fare solo alcuni esempi, rappresentano variabili in grado di incidere sullo scontrino. Posso comunque precisare che il prezzo dell’espresso non è condizionato da quello della materia prima: i 7 grammi di miscela che occorrono per una tazzina non possono infatti giustificare variazioni significative».
Dunque non è la materia prima a spostare gli equilibri, ma il tipo di servizio che, svelato l’arcano, può lasciar presagire ulteriori incrementi non essendo un “bene” materiale quantificabile con esattezza. «Credo che gli esercenti dovrebbero e potrebbero avere più coraggio - prosegue Stoppani - il profitto deve essere l’obiettivo primario di un gestore, come di qualsiasi altro imprenditore. Non si tratta di mancanza di etica: solo così, infatti, è possibile remunerare il capitale, sostenere il rischio di impresa e, non ultimo, mettere in campo gli investimenti necessari a garantire il futuro dei locali. E solo così è ipotizzabile un ritorno positivo in termini di retribuzione del personale impiegato. A beneficio di tutto il settore torno quindi a ripetere: penso ci voglia più coraggio. Del resto, per molti anni il costo dell’espresso al bar è stato legato a quello del quotidiano. Da tempo, però, non è più così. E questo deve fare riflettere i pubblici esercizi sulle loro politiche di prezzo».
Dal punto di vista del business il ragionamento di Stoppani non fa una piega, ma di certo agli occhi del cliente questo modo di pensare non può piacere. A meno che ogni locale fissi un listino a seconda della tipologia di servizio e di locale. Come a dire: «Se entri qui, sai quanto puoi pagare un caffè». «La questione - osserva Stoppani - rimanda direttamente a quello che una volta si definiva con il termine di “gabbie salariali”. È certamente giusto che, anche nel caso del caffè, a costi di struttura e gestione dei bar differenti - penso al personale, alle utenze, alle locazioni - corrispondano differenti modulazioni di prezzi, così come del resto avviene già per molti altri prodotti. Tutto ruota infatti intorno alla sostenibilità del conto economico».
L’espresso italiano sarà messo, forse, a dura prova dall’arrivo in Italia di Starbucks. Ci è voluto un po’ di tempo perché il colosso arrivasse nel Belpaese e il motivo è presto detto: «Se l’ingresso di Starbucks non è avvenuto prima - sottolinea Stoppani - è perché la catena ha considerato il mercato italiano molto competitivo. E questo nonostante l’insegna possa contare su un’offerta molto più strutturata rispetto al semplice caffè. Detto ciò, ben venga Starbucks: credo che la sua presenza aiuterà a fare educazione non solo in tema di caffè, ma anche in relazione ai valori aggiuntivi offerti dai locali, come l’accoglienza e il comfort».
Insomma, è più che mai chiaro che l’”accisa” che gonfia il prezzo del caffè si chiama “qualità del servizio” e, sicuramente, stona un po’ di meno rispetto alla tassa che fa lievitare il costo del carburante perché se è vero che si può pagare un espresso qualche centesimo in più è anche vero che lo si può gustare in un ambiente migliore e quindi vivendo a fondo il rito dell’espresso. Tuttavia in questo ragionamento manca, o comunque è davvero troppo debole, l’elemento qualità del caffè che non viene preso in considerazione da Fipe. Cosa diremmo se ci servissero un espresso in una tazzina dorata, con cucchiaini raffinati magari di un servizio d’epoca, in un locale esclusivo dove lavorano persone capaci, gentili e di bell’aspetto ma con il caffè che, come si suol dire, sa di “acqua sporca” e uno scontrino da 2 euro?