Addio al pane quotidiano? Calano i consumi e a rischio quelli tradizionali
In Italia il consumo di pane è diminuito a 80 grammi al giorno per persona, mentre i prezzi aumentano nonostante la riduzione dei prezzi del grano. Per la Coldiretti serve l'etichettatura dell'origine del grano per il pane
Pane quotidiano? Sembrerebbe non più. Il consumo di pane in Italia è, infatti, sceso a un minimo storico di appena 80 grammi al giorno per persona, con un addio a una pagnotta su 3 in poco più di un decennio. Questo perché, nonostante il calo dei prezzi del grano, i prezzi del pane hanno subito un significativo aumento. Nel corso dell'ultimo anno, la speculazione sui mercati internazionali ha portato a una significativa diminuzione dei prezzi del grano, con un calo da 9,28 dollari per bushel nell'ottobre 2022 a poco più di 5,80 dollari per bushel oggi. Questo fenomeno ha bruciato quasi 100 miliardi di dollari, senza benefici significativi per i consumatori, ma con impatti negativi sui contadini. Non solo. Nonostante i prezzi in calo, la produzione mondiale di grano è diminuita quest'anno del 2,3%, con 18 milioni di tonnellate in meno rispetto alla campagna precedente, secondo i dati della Fao. Per la Coldiretti, servirebbe l’etichettatura dell'origine del grano utilizzato per la produzione di pane, simile a quanto già avviene per la pasta. Fondamentale anche perché nonostante il calo dei consumi, il pane artigianale rappresenta ancora la maggior parte del mercato.
Dal grano al pane il prezzo aumenta di oltre 17 volte
Come dicevamo, dall’analisi della Coldiretti sull’inflazione media nei primi otto mesi dell’anno dell’Istat (diffusa al Villaggio contadino di Roma in occasione della Giornata mondiale dell’Alimentazione che si celebra il 16 ottobre, alla presenza, tra gli altri, del presidente di Coldiretti Ettore Prandini, del ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare Francesco Lollobrigida e del governatore della Regione Lazio Francesco Rocca), dal grano al pane il prezzo aumenta di oltre 17 volte tenuto conto che per fare un chilo di pane occorre circa un chilo di grano, dal quale si ottengono 800 grammi di farina da impastare con l’acqua per ottenere un chilo di prodotto finito, con una forbice che non è mai stata così ampia.
Un chilo di grano viene pagato oggi agli agricoltori circa 24 centesimi, il 32% in meno rispetto allo scorso anno, mentre la stessa quantità di pane viene venduta ai consumatori a prezzi che variano dai 3 ai 5 euro a seconda delle città, con un rincaro che arriva fino al +20%, secondo l’analisi Coldiretti su dati dell’Ismea e dell’Istat sull’inflazione media nei primi otto mesi del 2023 in confronto con lo stesso periodo del 2022.
L’incidenza del costo del grano sul prezzo del pane diventa dunque sempre più marginale tanto da essere scesa ampiamente sotto il 10% in media, come dimostra anche l’estrema variabilità delle quotazioni al dettaglio lungo la Penisola mentre quelli del grano sono influenzati direttamente dalle quotazioni internazionali.
I prezzi del pane nelle città italiane
Se a Milano una pagnotta da un chilo costa 4,33 euro, a Roma si viaggia sui 3,25 euro, a Bologna siamo a 5,14 euro, a mentre a Palermo costa in media 4,14 euro al chilo, a Napoli 2,26 euro, secondo elaborazioni Coldiretti su dati dell’Osservatorio prezzi del Ministero dello Sviluppo economico ad agosto. Peraltro, i prezzi al consumo non sono mai calati negli ultimi anni nonostante la forte variabilità delle quotazioni del grano.
Grano sottopagato agli agricoltori
La realtà è che, nonostante il calo dei raccolti del 10% a causa dei cambiamenti climatici abbia limitato la disponibilità di prodotto in Italia, il grano viene oggi sottopagato agli agricoltori, che spesso non riescono neppure a coprire i costi di produzione. Un crack senza precedenti con i compensi dei coltivatori che sono tornati ai livelli di 30 anni fa, a causa delle manovre di chi fa acquisti speculativi sui mercati esteri di grano da “spacciare” come pane Made in Italy, mettendo a rischio il futuro di questa coltivazione e la sovranità alimentare del Paese con l’abbandono di buona parte del territorio nazionale, soprattutto le aree interne senza alternative produttive e per questo a rischio desertificazione. Una situazione tanto più grave se si considera che il nostro Paese è dipendente dalle importazioni straniere già per il 64% del grano tenero che serve per pane, biscotti, dolci.
Coldiretti: Serve l’obbligo dell’etichetta d’origine del grano
Da qui la richiesta di Coldiretti di introdurre anche per pagnotte e panini l’obbligo dell’indicazione in etichetta, se confezionato, o sul libro degli ingredienti, se non confezionato, dell’origine del grano impiegato, proprio come accade per la pasta. Oggi il pane non confezionato non ha etichetta, ma nel punto vendita deve essere presente il libro degli ingredienti, a disposizione dei clienti. Il pane viene commercializzato con la denominazione di vendita che fa riferimento al tipo di pane (00, 0, 1, 2, integrale, se di grano tenero, oppure di grano duro, etc.). Nel libro degli ingredienti troveremo in ordine decrescente gli ingredienti utilizzati, ovvero il tipo di farina, acqua, lievito, sale. Per pani particolari ci possono essere altri ingredienti. Nel caso di pane preconfezionato o confezionato, sulle etichette, ci devono essere, oltre agli ingredienti, anche il termine di conservazione e le condizioni di conservazione. Inoltre, dobbiamo sapere se il pane è stato ottenuto da un impasto parzialmente cotto e surgelato (sia non confezionato che confezionato).
Coldiretti, addio ad 1 pagnotta su 3
Tutto ciò, come dicevamo, ha portato a un drastico calo dei consumi di pane in Italia. Siamo al minimo storico di appena 80 grammi a testa al giorno, con l'addio ad una pagnotta su 3 (-33%) in poco più di un decennio. Nella grande area del Circo Massimo è stata allestita la prima mostra dei pani d’Italia a rischio scomparsa con gli esemplari più rari provenienti dai forni di tutte le regioni, dal Pan ner della Valle d’Aosta al pane di Chiaserna delle Marche fino al pane Cafone della Campania, e i cuochi contadini al lavoro per preparare dal vivo le specialità della tradizione.
Il calo degli acquisti ha avuto una accelerazione negli ultimi anni con il consumo di pane che nel 2010 era di 120 grammi a testa al giorno, nel 2000 di 180 grammi, nel 1990 a 197 grammi e nel 1980 intorno agli 230 grammi che sono valori, comunque molto lontani da quelli dell’Unità d’Italia nel 1861 in cui si mangiavano ben 1,1 chili di pane a persona al giorno.
Ma non tutto il pane è fresco, spesso si tratta di impasti surgelati, realizzati anche all’estero, e la cui cottura è terminata sul punto vendita. Per legge è denominato “fresco” il pane ottenuto secondo un processo di produzione continuo, privo di interruzioni finalizzate al congelamento o alla surgelazione, ad eccezione del rallentamento del processo di lievitazione, privo di additivi conservanti e di altri trattamenti aventi effetto conservante.
In crescita la tendenza del pane bio e artigianale
Con il taglio dei consumi si è verificata una svolta anche nelle abitudini a tavola. Sale l’interesse per il pane biologico e, con l’aumento dei disturbi dell’alimentazione, sono nati nuovi prodotti senza glutine e a base di cereali alternativi al frumento. Sempre più apprezzate sono dunque le varianti salutistiche e ad alto valore nutrizionale: a lunga lievitazione, senza grassi, con poco sale, integrale, a km 0 come il pane realizzato direttamente dai produttori agricoli di Campagna Amica anche con varietà di grano locali spesso di varietà salvate dall’estinzione. Ma ci sono anche 8,5 milioni di italiani che si improvvisano fornai e preparano addirittura il pane in casa, magari utilizzando farine di cereali antichi, secondo l’analisi Coldiretti/Ixe’.
L’aumento dei prezzi e una più diffusa sensibilità ambientale hanno portato anche molti cittadini a cercare di ridurre gli sprechi, riutilizzando il pane avanzato per la creazione di ricette prese dalla tradizione contadina, dalla panzanella ai canederli, dal pancotto agli gnocchi di pane, come illustrato al Villaggio di Roma dai cuochi contadini della Coldiretti. Se pagnotte e panini restano dunque al terzo posto della classifica dei cibi più gettati nella spazzatura, nel 2022 è diminuita la percentuale di famiglie che dichiarano di buttarlo, passata dal 21% al 16%, secondo un’analisi Coldiretti su dati Waste Watcher.
Ad essere preferito, anche se il consumo è in costante calo, continua ad essere il pane artigianale che rappresenta l’84% del mercato ma cambia la pezzatura più gettonata che scende del 50% nei dieci anni, da 1,5 chili ad un solo chilo. La spesa familiare in Italia per il solo pane ammonta a 6,7 miliardi all’anno, secondo l’analisi Coldiretti su dati Istat.
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A rischio la produzione dei pani tradizionali italiani
Il calo dei consumi mette in pericolo anche la sopravvivenza dei pani della tradizione popolare italiana tra i quali ben 6 sono stati addirittura riconosciuti dall’Unione Europea. Si tratta della Coppia ferrarese (Igp, Emilia-Romagna), Pagnotta del Dittaino (Dop, Sicilia), Pane casareccio di Genzano (Igp, Lazio), Pane di Altamura (Dop Puglia), Pane di Matera (Igp, Basilicata) e Pane Toscano (Dop, Toscana) ma sono in realtà centinaia le specialità tradizionali censite dalle diverse regioni.
Si va dal “Pane cafone” della Campania, così chiamato perché con questo termine erano chiamati i contadini al tempo dei Borboni, alla Biga servolana del Friuli Venezia Giulia, formata da due pezzi di pasta uniti insieme in modo da formare un panino a forma di sferette unite, dal pane di Triora, il paese delle streghe in Liguria, che viene cotto per circa un’ora su delle tavole di legno cosparse di crusca al pane di Chiaserna delle Marche, dal sapore leggermente acidulo.
Ma in Lombardia accanto alla michetta milanese c’è anche il pane alla zucca di Cremona impastato con una purea di zucca cotta al vapore, mentre dalla Val D’Aosta arriva il “Pan ner” ottenuto da un mix di segale e frumento e dal Piemonte la “Lingua di Suocera” nel cui nome è sin troppo evidente il riferimento, per la verità un po’ cattivello, alla lunghezza della lingua delle suocere. Dall’Abruzzo viene il pane di grano Bolero, una varietà particolarmente resistente al freddo delle montagne, e ad alta quota è anche la Puccia pusterese del Trentino-Alto Adige, fatta con pasta madre e arricchita da cumino, finocchio e trigonella. Un simbolo della Sardegna, accanto al noto Carasau, è il pane Pintau, decorato con simboli ancestrali che ne fanno una vera e propria opera d’arte. Affonda le sue radici nell’antichità anche il pane Rublanum della Calabria, mentre dal Veneto arriva il pane Bovolo dalla particolare forma di chiocciola e dal Molise il pane di pregiato grano Senatore Cappelli
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Alberto Lupini
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