Alle pendici dei monti Prenestini, vicino alle porte di Roma, esistono due aziende agricole che producono un formaggio pecorino a latte crudo, appena riconosciuto come Presidio Slow Food: il cacio di Genazzano. Questo formaggio ha una storia secolare, con le prime citazioni che risalgono al Seicento, quando veniva persino utilizzato come moneta di scambio. Ma, soprattutto, il cacio di Genazzano è stato a lungo una risorsa alimentare fondamentale per le famiglie contadine, che hanno tramandato di generazione in generazione le tecniche di preparazione. Il consumo di questo formaggio era principalmente limitato alle famiglie, il che nel tempo ha portato a una drastica diminuzione della sua disponibilità sul mercato, rischiando persino la sua scomparsa.
Il cacio di Genazzano diventa Presidio Slow Food
Il processo di produzione e le caratteristiche del cacio di Genazzano
Un aspetto fondamentale del cacio di Genazzano è l'uso rigoroso del latte crudo, ovvero il latte non pastorizzato né termizzato, che conserva nutrienti, vitamine, enzimi e fermenti lattici. Questo latte trasmette ai formaggi i sapori e gli aromi delle erbe e dei fiori del territorio in cui gli animali si sono nutriti. Slow Food da anni si impegna a promuovere la consapevolezza del valore del latte crudo e sostiene che promuovere formaggi a latte crudo significhi sostenere il lavoro dei pastori, casari e affinatori, mentre combatte l'omologazione dei gusti e la standardizzazione delle pratiche produttive spesso utilizzate dall'industria casearia, che fa uso di latte pastorizzato e fermenti industriali.
Il territorio di Genazzano
La straordinarietà del cacio di Genazzano risiede nell'abilità con cui l'ambiente, il clima e il pascolo naturale si riflettono nel latte. I produttori si impegnano a preservare questa ricchezza, convertendo i pascoli in prati stabili, ricchi di essenze naturali che contribuiscono alla biodiversità del suolo e all'alimentazione degli animali. Questo processo richiederà diversi anni, durante i quali la pressione del pascolo su questi prati verrà ridotta per consentire la rigenerazione. Anche se sarà un periodo impegnativo per le aziende, ciò porterà a un aumento del valore del pascolo e, di conseguenza, del latte e del cacio, evidenziando l'importanza della qualità rispetto alla quantità.
Il processo di produzione del cacio di Genazzano prevede l'uso di latte ottenuto da tre razze ovine ammesse dal disciplinare di produzione: Comisana, Sarda, Massese e i relativi incroci. Il latte viene scaldato in un paiolo di rame stagnato a una temperatura compresa tra 35 e 38 gradi, e la coagulazione avviene grazie all'uso di caglio animale. La tecnica tradizionale prevede la rottura della cagliata in due modi diversi: il taglio a nocciola per il cacio fresco, che viene stagionato almeno un mese, e il taglio a chicco di mais per la versione stagionata per almeno sei mesi. La differenza tra le due versioni risiede nella dimensione dei pezzi di cagliata: più piccoli sono i pezzi, minore sarà l'umidità all'interno, il che favorisce una stagionatura più lunga. Successivamente, si procede con lo spurgo del siero, la cottura della pasta a una temperatura di 40 o 45 gradi, a seconda del grado di stagionatura desiderato, e infine la salatura e il riposo.