Esiste la carne perfetta per un ristorante? Quali sono i parametri per definirla tale? Tutte domande molto importanti alle quali cercheremo di dare una risposta, ma prima cominciamo a chiarire cosa si intende per carne. La carne è quel prodotto, normalmente di colore rosso, con osso o senza osso, che si acquista dal macellaio o al supermercato, spesso già sezionata o in fettine (purtroppo sempre più magra e senza grasso). Occorre precisare però che quello che si acquista sono i muscoli degli animali. Tuttavia, non è questo che regala sapore alla carne, quanto il grasso che si trova all’interno o intorno al muscolo. Ogni razza ne sviluppa uno in particolare e per questo l’alimentazione, il clima, l’ambiente e addirittura le condizioni antistress che l’allevatore attua sono tutti fattori che determinano la qualità finale di una carne.
La carne perfetta è frutto di tante variabili
Alla scoperta della carne di manzo
Parliamo principalmente del bovino o, meglio, del manzo: dall’Uro al manzo, il Bos Primigenius, l’antenato da cui è nato tutto, è una bestia selvatica con corna enormi apparsa due milioni di anni fa in India; ha girato in lungo e in largo approdando anche in Italia da cui sono nate alcune razze, tra cui la Fassona piemontese. Appena nato e fino a sei mesi è definito vitello maschio o femmina che sia. Quando cresce il sesso diventa importante. Se è una femmina, prima che qualche maschio la ingravidi, è una scottona: quindi, con questa definizione si intende una manza che non ha mai partorito e che viene macellata intorno ai tre anni (se partorisce non è più una scottona ma diventa manza).
Alla scoperta della carne di manzo
Se il vitello è un maschio diventa vitellone e lo si nutre affinché cresca rapidamente fino a diventare manzo. Dopo che gli vengono tagliati i testicoli diventa bue e la sua crescita rallenta, la massa muscolare e il grasso si bilanciano così il suo sapore sarà più pronunciato della femmina. Se, invece, al maschio adulto gli si lasciano i testicoli è un toro, con il compito specifico di ingravidare femmine: ogni toro è in grado di farlo 30 volte l’anno. La sua carne e più tenace e saporita di una scottona.
Cosa incide sul sapore e sula qualità della carne?
Cosa determina il sapore della carne? Naturalmente incidono le condizioni di vita (come vivere all’aperto, mangiare erba…), ma, è importante, sapere che ciò non influenza il sapore del muscolo, cioè della carne, ma influisce sul sapore del grasso intorno ai muscoli che ne assorbe l’aroma e che quindi fa la differenza. Cosa è, dunque, importante: l’allevatore, il foraggio, il terreno, la razza, il costo? Oppure è un mix di tutto questo? Cerchiamo di dare qualche risposta. Nel cibo ormai da molto tempo tutto è focalizzato intorno alla parola “qualità”. Ma se per alcuni prodotti è facile individuare il livello qualitativo, con altri non è scontato: troppi parametri entrano in gioco! È il caso della carne, un prodotto complesso, ricco di variabili.
Da molto tempo il mondo della carne, infatti, è sotto i riflettori. Si va dal pollo di batteria che costa qualche euro al chilo al pollo allevato a terra che ne costa dieci volte tanto, ma entrano in gioco anche tradizione gastronomica e storia di un territorio, passando da un carpaccio all’Albese a un ragù alla napoletana alla famosa Fiorentina, dove anche la cottura è una variabile importante.
La tradizione italiana dell’allevamento dei bovini
Bisogna in ogni caso ricordare che l’uso di mangiare carne di manzo è molto recente: il bue era uno animale da lavoro già in epoca romana, quando era più abitudine mangiare maiali, volatili, selvaggina. Ma con l’avvento dei trattori, alimentarsi con la carne di manzo è divenuta una prassi, anche se inizialmente riservata a pochi, alla classe benestante, un segno di agiatezza sociale.
Attenzione a territorio e provenienza per una carne di qualità
Nel nostro paese c’è una antica tradizione di allevamenti a livello regionale: dal Vitellone bianco degli Appennini, che comprende la Chianina, la Marchigiana e la Romagnola, oggi riuniti nel Consorzio delle TreR con un rigido disciplinare ne regola l’allevamento, alla Fassona in Piemonte, alle razze più o meno autoctone che sono allevate in altre regioni. Tuttavia, l’Italia non è un territorio di pianura e di pascoli in grado di allevare allo stato brado, per cui spesso gli allevamenti sono finalizzati al consumo locale e alla produzione di latte e quindi di formaggi.
Il territorio la carta d’identità di una buona carne
Tutto è cominciato qualche anno fa quando alcune aziende specializzate in distribuzione di specialità del settore Horeca cominciarono a importare e distribuire carni estere con caratteristiche diverse dalle carne nazionali. In assoluto la prima novità, intorno agli anni 85-90, fu l’arrivo della carne scozzese, l’Angus di Aberdeen. Così le prime carni supermarezzate, allevate in ricchi pascoli allo stato brado, misero in gioco nuove tecniche di cottura e di sapore che stimolarono la fantasia degli chef. Insieme a un altro grande prodotto, l’agnello Presalè, o meglio il Prè-salès di Mont-Saint-Michel, che provocò un po’ di confusione: in molti confusero il nome in “agnello presalato”, ma, in realtà, erano animali che si cibavano di erba di pascoli “bagnati” dalla brezza marina, cioè da acqua salata, che in qualche maniera interveniva nel sapore finale delle carni.
Il territorio è la carta di identità della carne di qualità
Qualche anno dopo arrivarono i primi tagli della Wa-gyu, letteralmente manzo giapponese, prodotto con metodi e protocolli severi di allevamento che offrono carni di altissimo livello, molto marezzate, e circondate da un alone di mistero e di fiaba: animali allevati con massaggi e sakè, cibati con birra e che ascoltavano musica classica. Il successo fu tale che spinse alcuni allevatori di casa nostra, anche in Brianza a tentare di applicare i metodi Wagyu nell’allevamento di alcuni capi di manzo nostrani, ma il costo della filiera non ne permise una facile diffusione: meglio importarla e così fu! Anche se, in Alto Adige e in Emilia-Romagna, alcuni allevatori hanno avviato da anni dei protocolli di allevamento che si rifanno alle metodologie Wagyu. In ogni caso ormai il mercato era disponibile e pronto a recepire le novità ed ecco che alcuni distributori iniziarono con l’importazione e la distribuzione della regina di tutte le carni, il Kobe, un manzo di origine Wagyu, ma in questo caso con una selezione specifica, razza Tajima-gyu, la carne dell’imperatore, della prefettura di Hyogo che ha come capitale la città di Kobe. Le razze principali di Wagyu sono Japanese Black, allevati nelle regioni di Matsusaka, Ohmi e Kobe, ma tutti nati nella valle di Tajima-gyu. Gli standard di allevamento sono altissimi con un prodotto finale altrettanto eccellente e naturalmente con un costo elevato, ma con gusto e sapore impareggiabili.
Tutto ciò ha avuto un effetto domino su molte filiere dell’allevamento di manzo sia in Italia sia in molti paesi europei con l’obiettivo di migliorare i metodi di produzione di carni di qualità.
Le qualità per una buona carne
Una buona carne nasce soprattutto dall’attenzione al benessere con cui l’animale viene allevato, dal cibo con cui è alimentato. Un allevatore olandese di vitello, Peter’s Farm diventò famoso (e lo è ancora) perché faceva giocare i vitellini con i giocattoli: oggi le migliori Costolette alla milanese sono realizzate con queste carni. Una buona carne non deve essere magra, ma grassa, e soprattutto deve essere frollata: questo è stato in fondo l’insegnamento dell’approccio con il manzo giapponese Wa-gyu. Non solo, abbiamo anche imparato che la marezzatura, cioè l’infiltrazione del grasso, deve essere accentuato nelle fibre muscolari e non solo esternamente, segno che l’animale ha vissuto allo stato brado. Con questo spirito e progetto sono oggi disponibili nuove carni, allevate in territori precisi, con biodiversità molto spiccate.
Abbiamo imparato, come dicevamo, anche cosa è la frollatura, valore importantissimo per la qualità della carne. La frollatura è il procedimento di invecchiamento della carne dopo la macellazione, finalizzato a renderla più morbida e gradevole al palato. Di conseguenza la “frollatura”, termine improprio del processo wet aging, ha una durata (conservazione) definita nel tempo, che di solito non supera i 30 giorni. Questo è il processo di conservazione più utilizzato negli Stati Uniti e nel Regno Unito.
La carne è costituita da oltre il 60% da acqua, oltre a sali minerali, zuccheri, proteine, grassi in genere, sangue: un mix che determina la durezza delle fibre muscolari, composte da tessuto connettivo e grassi, cioè la carne che mangiamo tutti i giorni. Questo mix necessita di un degrado molecolare che avviene in maniera fisico chimica con la frollatura, prassi che viene anch’essa regolata da norme sanitarie.
Tecniche di conservazione: la carne Dry Aged
Sulla scia di tutto questo, oltre all’importanza del territorio e all’allevamento per un migliore benessere dell’animale, si è aggiunto in questi ultimi tempi il metodo Dry Aged. Il Dry aged è un processo di essicazione e ammorbidimento della carne che provoca la penetrazione del grasso sottocutaneo all’interno, rendendo la carne più burrosa. Si verifica un processo enzimatico che provoca la rottura della proteina spezzando le fibre e rilasciando acqua.
Carne Dry Aged
La perdita di succhi e liquidi comporta una perdita di peso, ma fa sì che aumenti la concentrazione di sapore, odore e colore. La natura rustica delle razze più anziane è un fattore molto importante e aiuta a riconoscere le caratteristiche dei singoli animali e a respingere altre razze più moderne perché l’esperienza ha mostrato che hanno un valore culinario inferiore. Il colore del grasso è un ottimo indicatore della dieta e della vita che ha avuto l’animale: se ha fatto pascolo, ed è stato al sole, sarà giallo. Lo stesso colore l’avrà se nutrito a ghiande. Inoltre, se è un animale che ha lavorato o vissuto a lungo avrà muscoli dal rosso più acceso.
L’exploit qualitativo della carne di manzo spagnola
Abbiamo accennato ad alcune razze del nostro paese, ma in tutta l’Unione europea cominciano a diffondersi altre razze del territorio: carni di manzi bavaresi dalla Germania, carni di manzo prussiano dalla Polonia, la Frisona francese di origine olandese con il nome Hollandaise Pie-Noir, oltre alla famosa Charolaise. Ma sono gli spagnoli che si stanno distinguendo con carni molto particolari tra cui: la carne galiziana, Rubia Gallega. Gli spagnoli oltre al famoso Pata Negra, maiale dai piedi neri che produce il relativo Jamon Iberico, infatti, allevano e producono carni di manzo e di vacca vecchia di grande livello qualitativo
Rubia Gallega
In Galizia pastorizia e allevamento sono ancora condotti seguendo tradizioni storiche, in un’armonia tra uomo e natura che ne ha fatto un luogo ideale.
L’alimentazione a erba, i grandi spazi, e la cura verso gli animali, si ritrovano nei sapori delle carni delle vacche di Galizia. Che l’animale sia una frisona (che costituiscono la maggioranza degli animali selezionati) o una bruna dei pirenei ha relativamente poca importanza. Questo non preclude che la tracciabilità sia totale: la razza si sa sempre, ma è considerata meno importante.
Quali sono le migliori carni di manzo al mondo?
Oltre al Wagyu e alla Rubia Gallega di cui abbiamo già parlato, al top delle migliori carni di manzo al mondo ci sono le italiane: la Chianina toscana, la Piemontese, la Romagnola, la Podolica, la Maremmana. Poi, l’Aberdeen angus scozzese, la Bazadaise francese, la Salers francese del massiccio centrale, la Charolais francese (ma molto diffusa), la Rouge des Pres, l’Aubrac sempre francese, la Hereford inglese (zona del Galles), la Galloway scozzese, la Longhorn (la più antica razza inglese), la Durham, oggi Shorthorn, e la Highland delle Highland scozzesi.
Rhug Estate in Galles: la carne della famiglia reale inglese
Nel Galles del nord c’è una delle fattorie più grandi d’Inghilterra: il Rhug Estate. Una storia millenaria, che incarna i valori del proprio territorio e ha saputo dare spazio all’innovazione. Nel 1998, quando Lord Newborough ereditò la tenuta di Rhug dal padre, volle che quel terreno di più di 5mila ettari si convertisse al biologico. Sono nati così gli allevamenti biologici del Rhug Estate.
Con grande anticipo rispetto a molti altri imprenditori, Lord Newborough ha, così, investito su uno stile di vita più sano, fondamentale per la salvaguardia del pianeta. Dal 2000 i suoi allevamenti sono certificati 100% biologici e i suoi animali vivono in un ambiente stress-free che influisce positivamente sulla qualità del prodotto finale. La filosofia di Lord Newborough punta tutto sulla filiera corta, dal campo al piatto. Gli animali sono allevati sui terreni della fattoria, dove si nutrono di erbe e prodotti coltivati in fattoria. Caratteristiche che lo hanno reso un fornitore di qualità… reale!
I terreni del Rhug Estate si dividono tra la fattoria principale a Corwen e la costa di Caernafron, dove si alleva l’Aberdeen Angus, razza pluripremiata per l’alto grado di marezzatura delle sue carni. L’azienda alleva anche pollame e suini, ma anche cacciagione, selvaggina e razze autoctone, come l’agnello gallese Igp.
I polli ruspanti sono allevati a terra tra le 11 e le 16 settimane su pascoli completamente biologici. Questi animali sono oggetto di grandi cure al fine di preservare il loro benessere: si nutrono e vivono in grandi campi di trifoglio e crescono in piccoli gruppi omogenei, che possono essere facilmente spostati da un terreno all’altro per non depauperare la natura che li ospita.
Altro pezzo forte è l’agnello delle saline che, a differenza dell’agnello gallese Igp, è stagionale. Il prodotto è disponibile da maggio a dicembre, poiché le erbe, di cui si nutre (lavanda di mare, acetosa, finocchio marino e altre erbe salmastre) e che caratterizzano il sapore dolce delle sue carni, non crescono durante il periodo invernale. Da segnalare anche i tacchini, le oche, i galli cedroni, i daini e il cervo: i primi sono un must del Natale, mentre i secondi vengono commercializzati in base alla disponibilità stagionale.
Mangiare meno carne, ma di più alta qualità
Potremmo in definitiva dichiarare la carne “questa sconosciuta”: passione e conoscenza sono le armi dei migliori allevatori; il territorio è in grado di firmare le carni migliori, capace di soddisfare i palati più esigenti nel segno, però di mangiare meno carne, ma di più alta qualità.
Come cuocere la bistecca perfetta
Ma come è meglio cuocere la carne? Cucinare bene la carne non è nient’altro che trovare il metodo giusto per darle consistenza corretta ed esaltarne il sapore. Tant’è che in definitiva le carni sono dissosate, tritate, pestate, macinate… e cotte (grigliate, arrostite, stufate ecc…).
Attenzione alla temperatura quando si cuoce una bistecca
Ma nonostante ci siano così tanti procedimenti e tagli diversi è sorprendente che in cottura le regole siano quasi le stesse. In ogni caso ora possiamo dire con certezza che cuocere una buona bistecca è il risultato di un insieme di fattori che gli chef e i professionisti conoscono bene, ma cosa fare a casa? Intanto regola numero uno è procurarsi della buona carne e un buon taglio come una Fiorentina, un Rib Eye, una buona costata.
Poi il segreto è la temperatura dello strumento di cottura: padella, griglia o piastra elettrica. La carne, come abbiamo detto, è un insieme di sostanze, in cui la fascia muscolare è tenuta attaccata all’osso dal tessuto connettivo e anche dal collagene, che in cottura si scioglie.
La scienza in qualche maniera ci ha rivelato cosa avviene con la cottura, quella che gli addetti chiamiamo reazione di Maillard, cioè la caramellizzazione: alla temperatura di almeno 140° le varie sostanze della carne, zuccheri in testa, cuociono imbrunendo, e nello stesso tempo creano una specie di camicia che ricopre l’esterno della carne stessa, impedendo ai liquidi di fuori uscire (evapora solo l’acqua) e di mantenere la stessa morbida. Piccolo segreto ulteriore è tenere il pezzo di carne cotta sulla padella a fuoco spento per qualche minuto per permettere ai succhi interni di rilassarsi e ridistribuirsi. E se non si ha un termometro, per sapere se la temperatura della padella è a 140° basta spruzzare sulla stessa due gocce di acqua: sappiamo che a 100° l’acqua evapora, ma a una temperatura superiore “scoppia”…
L’arte di saper salare la carne
Dopo la cottura, fondamentale è anche saper salare la carne. E sulla questione si legge di tutto: «salate subito prima di cuocerla; non salatela prima di cuocerla…». Ora se solo per divertirci scoprissimo cosa succede realmente da un punto di vista scientifico quando saliamo la carne? Partiamo con una domanda: il sale penetra nella carne? Quesito apparentemente banale, ma la risposta è no! Quindi durante la cottura è inutile salare la carne. Perché? Perché il sale si scioglie nell’acqua, ma non nell’olio, quindi, se si dora la carne con olio o con burro, il grasso avvolgerà i granelli di sale e ne impedirà il contatto con l’umidità della carne e quindi il sale non potrà sciogliersi, durante la cottura. Le fibre della carne si ritirano e, soprattutto su una griglia scoppiettano in maniera violenta, respingendo gran parte dei granelli di sale: prima di penetrare nella carne, il sale deve sciogliersi e perché questo avvenga ci vuole più tempo della stessa cottura della carne.
La carne non si deve salare in cottura
Ordinare la bistecca al ristorante: i termini giusti per scegliere la cottura
Rare, medium rare, well done: queste espressioni servono solo se si ordina una bistecca. Rare e medium rare, infatti, si riferiscono a quanto viene cotta la bistecca:
- rare è al sangue (significa appena cotta e ancora rossa all’interno);
- medium rare è una cottura maggiore
- medium è, come si può immaginare, una bistecca a media cottura
- medium well una via di mezzo tra cottura media e ben cotta
- well done significa che la bistecca è ben cotta
La cottura della carne