Caldo, ristoranti chiusi e calo dei consumi di pesce: un cocktail letale per gli allevatori di cozze che da nord a sud temono il prolungarsi del periodo di emergenza da coronavirus per il futuro della loro attività. In queste settimane le temperature particolarmente elevate, specie sulle coste, stanno agevolando la crescita dei molluschi. Il problema è che con i locali chiusi, la domanda è crollata.
I consumi di cozze sono calati
Dall'Emilia Romagna al Veneto, dalla Campania alla Puglia, fino alla Sardegna, la situazione tocca da vicino un intero settore, che si estende anche ad altri prodotti, dalle acciughe pescate con le lampare alle seppie catturate con le nasse. A denunciare questa situazione è la Fedagripesca-Confcooperative.
«Un settore forte, quello della mitilicoltura - spiega la federazione - dove l'Italia produce oltre 63 mila tonnellate di cozze all'anno, coprendo i due terzi della produzione comunitaria. Un comparto che vanta anche la cozza dop veneta di Scardovari. Intanto lungo le coste di Liguria, Toscana e Sicilia sono poche le luci delle lampare utilizzate di notte dai pescatori per attirare nella rete le acciughe». Gli allevatori sono preoccupati: se non ripartono a breve i consumi intere produzioni andranno perse. Le cozze si raccolgono entro l'estate e se questa operazione non si fa entro i tempi giusti, il mitile si stacca dai travi degli impianti e si perde definitivamente.
Stessa sorte potrebbe toccare anche alle seppie pescate con le nasse lungo l'Adriatico; dal Friuli alla Puglia sono pochi i pescatori che iniziano a calare le particolari reti artigianali per catture che terminano con la fine di maggio. In Emilia Romagna e nelle Marche è tempo della pesca dei lumachini valorizzati dalla gastronomia locale, ma con in ristoranti chiusi gli appassionati rischiano di mancare questo appuntamento stagionale. Per la pesca delle telline, lungo il litorale romano e campano si dovrebbe entrare nel periodo ora più prolifico, ma anche in questo caso incombe l’incognita dei consumi.