Il casoncello oggi ha ritrovato un'identità culturale perduta: Bergamo, oggi 13 maggio, ne
ha rivendicato la paternità ufficiale. 650 anni sono passati dall'attestazione più antica che ne faceva menzione, 630 da un'altra sua simile, altrettanto autorevole, che ne cita 300 vassoi in occasione di una festa popolare dove vino, buon cibo, appunto, e libertà sono stati i valori condivisi. Per festeggiare questo “anniversario riscoperto”, nella speranza venga celebrato ancora e ancora per i prossimi anni, tanti autorevoli esperti hanno presto parte ad un convegno stamani, in centro città; e oltre 2mila sono i visitatori attesi stasera, nella splendida cornice di Città Alta, per una festa - street food che vedrà protagonista il casoncello e canti e balli tipici della nostra tradizione bergamasca.
Maurizio Tabani, Roberta Garibaldi, Roberto Amadeo, Ivan Rodeschini, Alessandro Parenti, Paolo Massobrio e Silvia Tropea MontagnosiI relatori intervenuti: il già direttore della Biblioteca Civica Angelo Mai, Giulio Orazio Bravi; il docente ordinario di Storia Medievale presso la facoltà di Lettere e filosofia dell'Università di Bologna, Massimo Montanari (video); il docente e ricercatore universitario di Glottologia dell'Università di Trento, Alessandro Parenti; la direttrice del centro Studi sul turismo e interpretazione del territorio dell'Università di Bergamo, nonché ambasciatrice per la World street travel association, Roberta Garibaldi; il giornalista enogastronomico di fama nazionale, Paolo Massobrio; lo chef del ristorante tristellato "Otto e mezzo" di Hong Kong, Umberto Bombana (collegamento Skype); e, per finire, la studiosa a cui si deve gran parte del lavoro fatto per realizzare questa giornata e tutto ciò che essa comporta, la giornalista enogastronomica Silvia Tropea Montagnosi.

13 maggio, una data che Bergamo ha scordato, causa i pesanti secoli di storia che la città si è lasciata alle spalle, ma che - ne siamo certi - dopo oggi non potrà più scordare: il 13 maggio è il giorno del Casoncello, motivo di orgoglio e vanto per la bergamasca in toto. A ricordarlo ci ha pensato stamani un coinvolgente convegno, “in diretta” dalla Sala Mosaico del Palazzo dei contratti e delle manifestazioni in centro città.

“De Casoncello - Storie di Bergamo e di casoncelli”: questo si leggeva varcando l'ingresso della sede della Camera di Commercio di Bergamo, dove, ad intrattenere un pubblico di appassionati, curiosi e studenti di istituti alberghieri da tutta la provincia, vi erano lungimiranti studiosi provenienti da tutta Italia. Per prima, colei che ha lavorato con fatica e passione per dare vita alla sostanza di questa celebrazione, e che per tutta la mattinata ha tenuto le redini dei discorsi sul raviolo bergamasco:
Silvia Tropea Montagnosi, giornalista enogastronomica che ha recentemente condotto un valido studio atto a proclamare - questa volta con indubbia ufficialità - la paternità del casoncello alla città di Bergamo.
Silvia Tropea Montagnosi
Ma procediamo per gradi, così da rivivere insieme quel mix di punti di vista che, uno dopo l'altro, hanno accresciuto la passione, la conoscenza e, perché no, l'appetito dei presenti. A cominciare, come si conviene, le istituzioni.
Ivan Rodeschini, presidente dell'associazione Promozione del territorio, una realtà «fondata per valorizzare - ha affermato Rodeschini - l'enogastronomia bergamasca.
Ivan Rodeschini
E il casoncello ne è primo rappresentante: non solo un alimento, quanto un offerta d'amicizia, capace di creare condivisione tra le persone». «È un'iniziativa storica - aggiunge
Paolo Malvestiti, presidente della Camera di Commercio di Bergamo - che dev'essere consolidata e portata avanti di anno in anno per valorizzare un prodotto che è parte integrante delle nostre tradizioni, elemento primo della nostra identità bergamasca».
Paolo Malvestiti
Si tratta di un alimento che non è solo storia enogastronomica: il casoncello può essere primo fattore di promozione turistica, può avvantaggiare le attività commerciali, perfino essere spunto per un attento recupero filologico delle nostre radici culturali. Così avrebbe certamente affermato il sindaco Gori, purtroppo - per motivi istituzionali - non presente. Al suo posto prende la parola il delegato di Città Alta per il Comune di Bergamo,
Roberto Amadeo, il quale ha sottolineato come lo street food organizzato per stasera sarà un momento di festa ma anche un momento per ricordare che «il cibo fa parte della cultura», che «il turismo è oggi, anche e soprattutto, enogastronomia».
Roberto AmadeoNon c'è cibo senza cultura, così come non c'è cultura senza storia. A quest'ultima ci ha pensato l'elegante discorso di
Giulio Orazio Bravi, già direttore della Biblioteca civica Angelo Mai di Bergamo. Il preparatissimo studioso ha magistralmente dipinto un affresco della Bergamo trecentesca - periodo appunto della prima attestazione del casoncello -, un ritratto ricco di tinte rosse, come rosso è il sangue versato dai suoi cittadini, sempre in armi tra ingiuriose prese di potere, violenze inaudite, rivolte spirituali e soverchianti sommosse.
Giulio Orazio Bravi
Un vero e proprio excursus che è partito dal crollo dell'ideologia comunale, passato attraverso le dispute tra Guelfi (i sostenitori del papa) e Ghibellini (per definizione, dell'imperatore, generalmente “dalla parte della politica”) e arrivato fino alla scioccante presa di potere su Bergamo del tiranno Bernabò Visconti, cruento guerrigliero, pronto a tutto pur di mantenere controllo e sovranità sui suoi territori, da Milano a buona parte dell'attuale Lombardia. Tanti piccoli spunti religiosi, qualche racconto su uomini di lettere - uno per tutti, Francesco Petrarca - arrivati in città, piccole parentesi su università, biblioteche e processioni, per culminare con la caduta di Bernabò e la presa di potere del nipote Giangaleazzo (Visconti, naturalmente). La caduta del tiranno e il ritorno alla tanto attesa pace - durata ben poco - sono state le occasioni per le quali i 300 vassoi di casonséi sono stati serviti ai cittadini della bergamasca, come testimonia il
Chronicon Bergomense guelpho ghibellinum di Castello Castelli, il secondo documento che attesta la presenza dei famosi ravioli a Bergamo, letto subito dopo dall'attore
Maurizio Tabani.
Roberta Garibaldi, Alessandro Parenti, Silvia Tropea Montagnosi, Giulio Orazio Bravi e Paolo MassobrioL'autorevole professor
Massimo Montanari, docente ordinario di Storia medievale presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Bologna, non ha potuto presenziare al convegno, ma ha comunque, attraverso un video, raggiunto le menti e le orecchie dei presenti: «La pasta era anticamente un contorno» è stato il suo esordio. Da lì, la definizione di “raviolo”, diversamente da come lo intendiamo oggi, il contenuto della pasta ripiena, racchiuso dal “tortello”, il suo involucro. E ancora la differenza tra «ripieno magro - spiega lo studioso - cioè senza carne, usando quindi formaggi, o verdure, e ripieno grasso», quello classico, con carne tritata, a cui tutti siamo oggi abituati. Interessante è stato anche scoprire, tramite le sue parole di esperto, come «la carne utilizzata come condimento esterno nasce solo nell'800», mentre la pasta ripiena risale originariamente al 1284, e ad inventarla pare sia stata, «secondo uno scrittore cinquecentesco, una contadina, quindi parliamo di un alimento povero; per di più donna, e, a quanto sappiamo dalle fonti, lombarda»: un duro colpo per i bolognesi e i loro storici tortelli.
Alessandro ParentiSull'etimologia del termine “casoncello” è intervenuto
Alessandro Parenti, docente e ricercatore universitario di Glottologia all'Università di Trento. Dopo azzardate ipotesi sull'origine del termine, cominciando da
caesus, dal latino formaggio, arrivando a “calsù”, un disco di pasta tipico della Valcamonica, quella più accreditata si rifà a un vecchio documento che riporterebbe il termine
Cassoncellum, facilmente collegabile a “piccolo cassone”. Non di poco senso la teoria dello studioso, considerando che «la maggior parte delle paste - spiega - prendono il nome dalla loro forma» o che il «Cassone è anche il nome dialettale della piadina tipica romagnola, anch'essa piegata in due e farcita con diversi ingredienti», similmente a come avviene per il casoncello.
Roberta Garibaldi
Breve per necessità l'intervento di
Roberta Garibaldi, direttrice del centro Studi sul turismo e interpretazione del territorio dell'Università di Bergamo, nonché ambasciatrice per la World street travel association. La promozione del cibo è stato il tema affrontato dalla studiosa. Una promozione che inizialmente veniva associata a personaggi famosi, più tardi a gente comune, per dare valore all'identità vera e propria del prodotto. Una promozione che è apprendimento, mediante cooking show e laboratori sparsi nella Penisola. Una promozione che è conoscenza - si prendano come esempio i musei della pasta. Una promozione, infine, che è contatto con la realtà più vera del prodotto: «Prima in Danimarca - ha raccontato Roberta Garibaldi - ma ora un po' dappertutto è possibile entrare in casa di una famiglia comune e mangiare con loro i prodotti tipici del loro territorio».
La palla poi ai grandi chef:
Enrico Cerea per impegni inderogabili, non ha partecipato al convegno, ma ha lasciato detto quanto
Da Vittorio dimostri da sempre cura e amore per la cucina del territorio, ben rappresentata dai piatti tipici proposti, primo tra tutti i casoncelli. Non a caso, al termine del convegno, proprio quelli preparati dal ristorante tristellato sono stati serviti agli ospiti. Due le alternative: tradizionali o con ripieno di taleggio, crema di mais e pioppini. Altro cuoco di fama mondiale ad essere intervenuto, il grande
Umberto Bombana, chef clusonese per origine, adesso a Hong Kong con il suo ristorante “8 e mezzo” - l'unico tre Stelle italiano fuori dai confini del Belpaese - meta per gourmet asiatici e di tutto il mondo. Con lui un collegamento video.
Umberto Bombana in videoconferenza
«Da noi i casonséi - dice fiero lo chef tre Stelle Michelin attraverso un collegamento Skype - non mancano mai! Li riproponiamo un po' più piccoli però, così da venir mangiati in un sol boccone. Sono rimasto molto legato alle tradizioni della mia terra; ancora oggi ho nostalgia delle montagne, della gente, della mia Bergamo, e quando questa mancanza è troppa, torno». A porgli l'interessante questione-proposta del “casoncello street-food” è stato
Paolo Massobrio, giornalista enogastronomico di fama nazionale. «In Cina il cibo da strada funziona - risponde lo chef in diretta dalla lontana Asia - ma per trasformare il casoncello in uno street food è necessario prendere i giusti accorgimenti. Non è impossibile, considerando che di base è un cibo povero, non molto costoso».

Lo stesso Paolo Massobrio, al termine del collegamento, ribadisce quanto interessante possa essere trovare il Nostro raviolo tra le strade, ad esempio, di Città Alta, quanto turisticamente e identitariamente ridarebbe vitalità all'enogastronomia bergamasca, troppo spesso rimasta nell'ombra. «Il casoncello è anche da riconsiderare - aggiunge l'esperto - nei locali, poiché è un piatto unico, un pasto completo. Contiene carboidrati, proteine, fibre, perfino calcio se preparato con un ripieno di formaggi. Ma soprattutto il casoncello è il cibo della moralità, perché nasce dal recupero degli avanzi. E torna attuale oggi giorno, quando continuamente sprechiamo il cibo che compriamo. Il casoncello è la salvezza di Bergamo, deve diventare com'è la pizza a Napoli».

Una rapida conclusione è affidata nuovamente alle parole della Montagnosi. Ribadisce: il casoncello è effettivamente originario di Bergamo - e non di Brescia! -, è considerato una delle prime paste ripiene italiane e può essere preparato in svariati modi, con tante diverse ricette. Una di queste? Quella di
Fiorella Visconti (
Trattoria Visconti, Ambivere), che, in un simpatico video, prepara i suoi personali casoncelli, raccontando una divertente storia su di essi, anch'essa parte delle nostre tradizioni, quelle stesse tradizioni che devono necessariamente essere recuperate.

Dopo tanta cultura, dopo tanta conoscenza, dopo tanti ricordi, e dopo i doverosi ringraziamenti agli sponsor che hanno reso possibile questo primo passo verso la riaffermzione della nostra identità a tavola, vale a dire
Ubi Banca e
Pentole Agnelli... spazio ai casoncelli veri e propri! Quelli di Da Vittorio si accompagnano a stuzzichini di indescrivibile bontà, assaggiati in un'atmosfera di convivialità che, forse non appartiene per stereotipo a noi bergamaschi, ma che di certo ci caratterizza storicamente. Una convivialità resa ancora più calda dagli ottimi vini gentilmente offerti dal
Consorzio Tutela del Valcalepio. Insomma, Bergamo città dell'accoglienza... e del casoncello! E stasera... street food! Dalle 19.00 per le vie di Città alta.