Negli ultimi anni, il settore vitivinicolo italiano ha registrato una crescita significativa sui mercati esteri. Le esportazioni di vino italiano hanno superato gli 8 miliardi di euro, con un incremento del 28,5% negli ultimi quattro anni. Di questi, circa 2 miliardi di euro derivano dall'export delle cantine italiane. Questo risultato positivo però potrebbe essere minacciato dai dazi imposti su alcune categorie di prodotti agroalimentari, in particolare quelli destinati agli Stati Uniti, il principale mercato di riferimento per il vino italiano. Il vino italiano conferma la sua solidità sui mercati internazionali, con una presenza rilevante nelle fasce entry level, popular e premium. Tuttavia, secondo l’ultima analisi dell’Osservatorio del Vino UIV-Vinitaly, l’Italia fatica ancora a imporsi nel segmento di fascia alta, dove si concentra la crescita attesa nei prossimi anni.
Produzione del vino, costi in aumento
Un'analisi elaborata da Censis-Confcooperative su dati Ismea ha fornito una panoramica dettagliata dei costi di produzione del vino in Italia. Negli ultimi mesi, i costi energetici hanno registrato una discesa del 15,4%, ma è aumentato in modo significativo il costo dei servizi agricoli, soprattutto il lavoro conto terzi, che ha visto un incremento del 27,6% in un anno. Inoltre, sono aumentati i costi legati all'uso di mezzi e materiali per la produzione e ai costi assicurativi. Infine, si è osservato un aumento superiore al 2% dei salari erogati ai lavoratori fissi e avventizi.

I costi di produzione del vino sono in aumento
Raffaele Drei, presidente di Fedagripesca Confcooperative, ha espresso preoccupazione per l'impatto che l'introduzione di dazi sulle esportazioni potrebbe avere sul settore vitivinicolo: «I dazi imposti da Trump causeranno un inevitabile caos sui mercati e determineranno un contraccolpo nei risultati economici delle aziende del vino italiano. La maggiore rigidità dei costi di produzione nel settore del vino potrà rappresentare un fattore critico nel momento in cui verranno applicate le misure di restrizione alle esportazioni dei prodotti agroalimentari italiani da parte degli Stati Uniti, considerando che questo mercato per il vino italiano rappresenta la prima destinazione delle esportazioni».
Produzione del vino, il Prosecco domina l’export
Nel 2024, il valore complessivo delle esportazioni di vino italiano ha superato gli 8 miliardi di euro (8.138 milioni, ndr). Di questo importo, oltre la metà, 4.152 milioni di euro, proviene dai vini di denominazione di origine protetta (Dop), rappresentando il 51% del totale. Un altro importante segmento delle esportazioni riguarda il Prosecco, con un valore pari a 1,8 miliardi di euro, che rappresenta il 22,4% del totale esportato.
Anche i vini Dop provenienti dalla Toscana e dal Veneto hanno registrato numeri rilevanti, con un valore rispettivamente di 740 milioni di euro (9,2%) e 614 milioni di euro. L'Asti spumante, con un contributo di 166 milioni di euro, e i vini provenienti dal Piemonte, che ammontano a 389 milioni di euro, completano la lista delle regioni principali per l'export vitivinicolo. Le esportazioni provenienti da altre regioni, come il Trentino e il Friuli, hanno totalizzato 287 milioni di euro, mentre altre aree come la Sicilia e il Lazio hanno contribuito con valori più contenuti.
Produzione del vino, i giovani orientati all’export
I giovani viticoltori italiani, che Coldiretti stima in 5.500, si stanno distinguendo per un forte legame con la biodiversità, riscoprendo antiche varietà di viti e valorizzando le tradizioni locali. Un aspetto importante di questo movimento è l’impegno a promuovere la qualità dei vini tramite mercati contadini e canali di vendita diretta, pratiche che rafforzano la connessione tra produttori e territorio. La crescente consapevolezza del ruolo dell’agricoltura nella sicurezza alimentare e nella salvaguardia delle tradizioni locali è una delle forze trainanti dietro questa tendenza. Un altro elemento distintivo di questi giovani viticoltori è l’attenzione alla sostenibilità ambientale, un tema che si intreccia con una maggiore specializzazione nelle tecniche di marketing. L’uso dei social media, ad esempio, è diventato uno strumento fondamentale per la promozione dei propri prodotti, con un focus particolare sull'immagine e sulla comunicazione digitale.

I giovani viticoltori sono più orientati all'export
L’orientamento all'export rappresenta un altro segno distintivo dei giovani viticoltori italiani. Secondo l'analisi di Divulga, quasi un terzo delle aziende under 35 vende i propri vini all’estero, una percentuale significativamente più alta rispetto al 20% della media generale del settore. Tuttavia, questo successo sui mercati internazionali espone i giovani produttori a rischi legati a eventuali dazi doganali o conflitti commerciali, come quelli che potrebbero emergere da una guerra commerciale. Oltre a concentrarsi sulla qualità e sull’export, i giovani viticoltori italiani sono tra i più impegnati nell’innovazione del settore. Più del 70% di loro porta avanti attività multifunzionali, che spaziano dalla trasformazione e vendita aziendale del vino all’enoturismo, fino alla vinoterapia. Queste attività non solo contribuiscono alla diversificazione delle entrate, ma anche alla promozione del vino come prodotto legato al territorio e alle esperienze locali.
Export vino, Italia troppo legata agli Usa
La terza edizione del "Rapporto sulla competitività delle regioni del vino", curato da Nomisma Wine Monitor in collaborazione con UniCredit, segnala la necessità di ampliare il raggio d’azione delle esportazioni. Attualmente, il 60% dell’export vinicolo italiano è concentrato in appena cinque Paesi, con gli Stati Uniti in testa, che da soli assorbono il 24% del totale. Un dato che, se confrontato con le performance degli altri principali esportatori mondiali, come la Francia (51% di concentrazione nei primi cinque mercati) e la Spagna (48%), evidenzia una certa vulnerabilità strutturale, specialmente in scenari di instabilità commerciale o geopolitica.
Il rapporto analizza anche i mercati che nell’ultimo decennio hanno registrato la crescita più sostenuta per quanto riguarda l’import di vino italiano. I risultati premiano in particolare l’Asia orientale e i Paesi dell’Est Europa. Tra il 2014 e il 2024, a fronte di una media generale di crescita dell’export italiano del 5% annuo, alcune aree hanno fatto segnare incrementi molto più rilevanti: Corea del Sud (+10%), Polonia (+13%), Vietnam (+18%) e Romania (+20%). Mercati meno tradizionali, ma con un potenziale crescente, anche in virtù dell’evoluzione dei gusti, dell’aumento del reddito disponibile e di una crescente attenzione verso la qualità e la cultura del vino.
Nonostante la forte concentrazione, il mercato statunitense continua a rappresentare una garanzia per il vino italiano. Un’indagine condotta da Nomisma su circa 2.000 consumatori in tre Stati chiave per il consumo vinicolo - New York, California e Florida - ha messo in luce una buona penetrazione del prodotto italiano: il 65% degli intervistati ha consumato vino nell’ultimo anno, e 7 su 10 hanno scelto etichette italiane. Le motivazioni alla base di questa scelta sono principalmente legate ai valori percepiti del vino italiano: la tradizione enologica, la ricchezza dei vitigni autoctoni, l’equilibrio tra qualità e prezzo. Un’immagine forte e riconoscibile, che continua a esercitare un’attrattiva particolare sul consumatore americano medio.
Export vino, Italia leader nei segmenti entry level, popular e premium
Secondo l’ultima analisi dell’Osservatorio del Vino UIV-Vinitaly, presentata a Verona in apertura di Vinitaly, l’Italia si conferma tra i principali attori mondiali nella produzione e nell’export di vino. Il Paese è leader globale nelle fasce entry level, popular e premium, ma mostra ancora una presenza marginale nei segmenti di fascia alta, dove si concentra la maggiore crescita attesa nei prossimi anni. I dati elaborati su base IWSR evidenziano che l’Italia, pur detenendo un valore complessivo al consumo pari a 29,9 miliardi di dollari, è presente con solo il 2% dei volumi e il 9% del valore nel segmento dei vini di fascia alta. In confronto, la Francia copre il 42% del volume in questa categoria, mentre gli Stati Uniti arrivano al 30%.

L'Italia è leader globale nei segmenti entry level, popular e premium
Nel segmento deluxe (oltre 25 dollari al dettaglio, almeno 8 dollari all’origine), l’Italia detiene una quota del 10% del valore globale, corrispondente a 2,8 miliardi di dollari. Una quota inferiore rispetto a quella francese (47%) e statunitense (29%). L’Italia mantiene una posizione di primo piano nei segmenti entry level e popular (vino venduto fino a 15 dollari allo scaffale e sotto i 5 dollari alla cantina), con una quota globale del 23% e un valore al consumo di 15,9 miliardi di dollari. Anche nella categoria premium (prezzo tra i 5 e gli 8 dollari all’origine e 15-25 dollari al dettaglio), il vino italiano si conferma leader con una quota del 30% e un valore pari a 11,2 miliardi di dollari.
Tuttavia, secondo il report, la categoria premium - nonostante il nome - rappresenta una fascia di prodotto medio-alta, come nel caso emblematico del Prosecco negli Stati Uniti. Negli ultimi anni, la pressione inflazionistica e l’aumento dei costi produttivi hanno spinto una parte consistente dei vini popular verso la fascia più bassa della categoria premium, generando una maggiore competizione interna. Questo fenomeno, osserva Carlo Flamini dell’Osservatorio UIV-Vinitaly, non è destinato a esaurirsi: da qui al 2028, i prezzi medi dei vini premium italiani sono previsti stabili, mentre quelli dei vini popular cresceranno dell’1% annuo.
Vini, il segmento premium a rischio erosione
Secondo Flamini, il segmento premium sarà il più esposto nei prossimi anni, rischiando un’intensificazione della competizione e una possibile erosione del margine. La fascia luxury, oggi dominata dalla Francia e dagli Stati Uniti, resta difficile da penetrare per il vino italiano. I mercati di riferimento - in particolare Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Giappone - risultano già saturi o fortemente presidiati. Inoltre, il 44% dei vini Super, Ultra premium e Luxury è venduto negli Usa , dove intervenire sui livelli di prezzo è particolarmente complesso.

La Francia domina il settore luxury
Secondo l’Osservatorio, una possibile strategia per l’Italia potrebbe essere la differenziazione geografica, accompagnata da una valorizzazione dei vini premium di maggiore qualità, per facilitarne la transizione verso le fasce superiori. Si tratta, tuttavia, di un percorso che richiede una strategia strutturata e investimenti mirati, in un contesto di crescita futura concentrata proprio nei segmenti di fascia alta, stimati in aumento del 2% annuo sia a volume che a valore da qui al 2028.