Allargare le maglie del disciplinare del Gavi Riserva, rendendolo più appetibile per i produttori. È la via che sembra voler percorrere il Consorzio di tutela del famoso bianco piemontese, con l’obiettivo di arrivare, entro qualche anno, a un milione di bottiglie di Riserva. E iniziare così a promuovere una caratteristica dei vini ottenuti dalle uve Cortese ancora sconosciuta ai più, in Italia come all’estero: la loro estrema longevità. Una “massa critica” di cui oggi il territorio è sprovvisto, dal momento che solo quattro aziende investono in questa tipologia, affinando le loro Riserve oltre il limite minimo di un anno: La Mesma, La Raia, Roberto Ghio e Cascina Binè. Mosche bianche che, insieme, raggruppano appena 30-40 mila bottiglie di Riserva, a fronte di un totale di circa 14 milioni di bottiglie di Gavi Docg prodotte annualmente. In sostanza, il Gavi Riserva è un fantasma da trasformare, quanto prima, in una punta di eccellenza del vino italiano. «La proposta di modificare il disciplinare della Riserva è stata discussa solo in sede di Cda e dovrà quindi passare al vaglio dell’assemblea dei produttori», spiega a Italia a Tavola il presidente del Consorzio di Tutela del Gavi, Maurizio Montobbio.

Maurizio Montobbio, presidente del Consorzio di Tutela del Gavi, pronto per un altro mandato
«L’idea è quella di alzare la resa dagli attuali 65 quintali all’ettaro ad 85 quintali all’ettaro, uniformandola a quella dei Gavi con menzione vigna. Il tutto considerando che la resa del nostro “base” è già molto bassa rispetto a quella di molti altri bianchi italiani, essendo fissata a 95 quintali all’ettaro. Inoltre, riteniamo che a fare la differenza per un vino come la Riserva possa essere non tanto la resa inferiore, quanto un periodo maggiore di affinamento, prima della commercializzazione. Con le regole attuali, forse eccessivamente restrittive per un vino bianco, questa tipologia risulta poco “sostenibile” anche per il Consorzio, che non riesce a fare un’adeguata promozione, essendo prodotta da pochissime aziende. La Riserva dovrebbe essere invece il biglietto da visita della denominazione, il suo “grand cru”; il vino capace di dare un senso alla grande capacità di invecchiamento del Gavi Docg. Tutto questo senza voler ovviamente sminuire il resto della produzione “d’annata”, che piace ai consumatori ed è molto sostenibile economicamente».
"G" e "GG" di Cantina Produttori del Gavi: rapporto qualità prezzo da favola
Sul fronte del rapporto qualità prezzo, balza all’occhio la fascia prezzo di “G” e “GG”, i due vini di punta della Cantina Produttori del Gavi, la locale cooperativa che raggruppa 68 famiglie per 235 ettari complessivi. Due vini venduti ad appena 6,90 e 8,80 euro in cantina, tanto da poter essere ritenuti senza ombra di dubbio tra i vini bianchi italiani più convenienti presenti oggi sul mercato, commercializzati solo in seguito a due anni di affinamento e ottenuti dalle migliori uve dei soci conferitori. Etichette fortemente volute dal direttore ed enologo Andrea Pancotti, l’uomo che, sin dal suo arrivo nel 2005, ha cambiato le sorti della sociale gaviese.
Andrea Pancotti ha rivoluzionato la Cantina Produttori del Gavi con il suo arrivo, nel 2005
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La longevità del Cortese nel Gavi del Comune di Gavi Docg 2007 della Cantina Produttori del Gavi
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Un'altra grande annata, la 2015, che mostra la longevità del Cortese di Gavi
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Andrea Pancotti ha rivoluzionato la Cantina Produttori del Gavi con il suo arrivo, nel 2005
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Trasformandola - senza troppi proclami - in una vera e propria punta d’eccellenza e motore rombante per l’intero territorio, al pari di altre cantine come La Raia, Tenuta San Pietro, Tenuta La Giustiniana, La Mesma, Villa Sparina, Marchese Luca Spinola, Tenuta San Lorenzo e Picollo Ernesto, protagoniste di una recente Masterclass sulla longevità del Gavi organizzata nella sede del Consorzio (strepitosi, su tutti, "Il Mandorlo" 2017 di Tenuta San Pietro e il "Montessora" 2016 di Tenuta La Giustiniana.
Riserva ma non solo: il Gavi blinda la zona di imbottigliamento?
Il via libera alle modifiche del disciplinare che potrebbero dare il largo alla Riserva non è tuttavia l’unico provvedimento che dovrà essere discusso dall’assemblea del Consorzio del Gavi. Sulla scrivania di Maurizio Montobbio - che si ricandiderà e ha ottime probabilità di essere riconfermato al termine del mandato, che scade ad aprile 2024 - c’è anche la restrizione della zona di imbottigliamento al solo territorio della provincia di Alessandria, che include gli 11 Comuni in cui è possibile produrre il Gavi Docg (Bosio, Capriata d'Orba, Carrosio, Francavilla Bisio, Gavi, Novi Ligure, Parodi Ligure, Pasturana, San Cristoforo, Serravalle Scrivia, Tassarolo) più le province limitrofe di Asti e Cuneo (tanti i produttori di Langa che hanno in gamma un Gavi Docg, tra cui lo stesso Matteo Ascheri, presidente del Consorzio di Tutela di Barolo, Barbaresco, Alba Langhe e Dogliani).
Un triangolo che concentra (già) la quasi totalità dei produttori, vinificatori e imbottigliatori della denominazione, che vantano dunque diritti acquisiti per l’imbottigliamento. L’eventuale limitazione della zona congelerebbe lo “status quo”. Proteggendo la denominazione da potenziali interessi esteri, di natura puramente commerciale o speculativa. «Come per il Barolo - spiega Montobbio - c’è il timore che un giorno non troppo lontano qualcuno decida di imbottigliare Gavi all’estero, per esempio in Inghilterra, mercato per noi molto importante. La cosa, al momento, non succede, ma potrebbe avvenire, non essendoci alcun vincolo. Per questo motivo, l’idea è quella di blindare l’imbottigliamento alla zona attuale, per evitare episodi di concorrenza sleale e tenere alta l’asticella dei controlli sulla nostra Docg».
Il Gavi "in campo" per il futuro della denominazione
Mesi pieni, dunque, quelli che attendono il nuovo consiglio di amministrazione e la base sociale del Consorzio Tutela del Gavi, nel segno di una continuità che potrebbe sancire la vera svolta per la denominazione piemontese. Da anni, infatti, si discute della longevità del Gavi solo tra esperti e tecnici del settore, scontrandosi con la cronica mancanza di prodotto, ovvero di vini “Riserva” o di annate meno recenti rispetto all’ultima vendemmia. Il 2024 è un anno speciale, che vede le celebrazioni per i 50 anni dal riconoscimento della Doc (era il 1993, mentre risale al 2008 la promozione a Docg) e che potrebbe essere celebrato proprio con l’importante passo avanti sul fronte della longevità del Gavi, grazie al nuovo corso del Gavi Riserva. Una tipologia che valorizzerebbe l’intera comunità di 500 famiglie impiegate nella filiera, all’interno di 190 aziende associate al Consorzio, per un totale di 1.600 ettari e un giro d’affari complessivo di 65 milioni di euro. L’export, da queste parti, la fa da padrone, interessando in media l’85% della produzione, con punte che superano il 90-95%, destinata ad oltre 100 Paesi nel mondo.

Davide Ferrarese, l'agronomo responsabile di un importante progetto di profilazione del Cortese di Gavi
Storicamente, solo La Scolca - azienda non consorziata e in capo alla famiglia Soldati - ha investito negli anni in maniera massiccia sul mercato italiano. Oggi il Gavi è conosciuto e amato dai più come vino “semplice” ma non banale, beverino, poco alcolico, profumato e fruttato, molto versatile negli abbinamenti. Ed è proprio per preservare questo profilo organolettico che il Consorzio ha varato, nel 2023, un progetto autofinanziato dai produttori per l’analisi e la profilazione sul campo dei mutamenti dell’uva Cortese, a fronte dei cambiamenti climatici. Il responsabile delle analisi è il noto agronomo Davide Ferrarese, che ha il compito di raccogliere e documentare i risultati provenienti da cinque centraline meteo dislocate nelle aree maggiormente vitate della denominazione.
L’obiettivo è quello di determinare le diverse epoche di germogliamento, fioritura, invaiatura, caduta delle foglie e peso del legno di potatura, costruendo un modello specifico di viticoltura, adatto alle condizioni climatiche e microclimatiche dell’areale del Gavi. Un progetto ambizioso che costituisce un unicum a livello mondiale: «Sui vitigni internazionali ci sono molti studi - spiega Ferrarese - ma sui vitigni autoctoni, vero patrimonio dell’Italia, sono pochissimi i dati a disposizione su base storica. Il progetto avviato lo scorso anno sulle uve Cortese va proprio in questa direzione». Uno studio che trova esempi simili dall’altra parte del mondo, in Nuova Zelanda, dove alcuni ricercatori locali incaricati dall’associazione nazionale New Zealand Winegrowers sta profilando le caratteristiche del Sauvignon Blanc neozelandese - uva simbolo locale - per preservarne il profilo tanto amato dai consumatori di tutto il mondo, a fronte dei cambiamenti climatici.