Che ne sarebbe del nostro quotidiano senza l'arte di preparare e gustare i buoni cibi? Ci unisce, ci consola, ci nutre, ci diverte. Eppure, a volte sembra che l’enogastronomia si sia trasformata in un campo di battaglia culturale, dove le ideologie si scontrano più furiosamente di quanto non lo facciano i coltelli sul tagliere. Un esempio particolarmente vivace di questa disputa è la recente moda dei grani antichi.
Grani e farine
Due parole, queste, che evocano immagini di campi dorati ondeggianti sotto il sole di un pomeriggio estivo, di pane fragrante che esce dal forno a legna di una nonna sorridente; un ritorno alle radici, un abbraccio caloroso della natura nel suo stato più puro e incontaminato. Ma cos'è realmente?
I punti chiave:
Quando il mito supera la realtà
I grani antichi sono varietà di grano che, in larga misura, sono rimaste invariate nel corso dei secoli. Al contrario, i grani moderni sono il prodotto di migliaia di anni di incroci e selezioni volti a migliorare la resa, la resistenza alle malattie e la qualità nutrizionale. Le varietà cosiddette “antiche” sono diventate famose più o meno di recente, quando la tendenza dell'alimentazione naturale ha iniziato a diffondersi. Ma, come scriveva Mark Twain, “non lasciare che la verità interferisca con una buona storia”. E quella del ritorno ai grani antichi è senza dubbio una buona storia. Tuttavia, è l'ora della verità. E la verità, signore e signori, è che la grande narrazione dei grani antichi è, in molti casi, solo un grande bluff.
Il dilemma del grano antico: tra sostenibilità e moda, la questione della produttività
Sì, ne siamo consapevoli, stiamo rovesciando le mele dal carretto, ma è necessario. Da quando sono diventati famosi, questi grandi hanno avuto un impatto spropositato sull'industria alimentare. Eppure, è bene dirlo, a differenza delle varietà moderne, sono meno resistenti alle malattie, hanno una minore resa per ettaro e richiedono più risorse per la loro coltivazione. In altre parole, ci stiamo dirigendo verso un percorso meno sostenibile per una questione di moda.
Alcuni grani antichi sono suscettibili agli eventi meteorologici avversi
Il Senatore Cappelli, un grano duro noto per la sua altezza, è altamente suscettibile agli eventi meteorologici avversi. Questa vulnerabilità, derivante dalla mancanza della mutazione del gene Rht-1, può portare a perdite significative di raccolto, mettendo a rischio la sostenibilità economica delle aziende agricole che lo coltivano. Stesso discorso vale per la Tumminia, grano duro antico della Sicilia, con una produttività inferiore rispetto alle varietà moderne, fattore che crea un dilemma tra il mantenimento della biodiversità e l'efficienza del raccolto. Questa bassa produttività, unita alla difficoltà di lavorazione dei chicchi e al fenomeno dell’allettamento, che, come nel caso del Cappelli, è dovuto all’eccessiva altezza, rappresenta un ostacolo sostanziale per la sua coltivazione su larga scala.
E a riprova del fatto che, in fin dei conti, si tratta di un movimento prevalentemente modaiolo, legato alle suggestioni passatiste, potremmo parlare del frumento duro “Ofanto”, una varietà cosiddetta moderna di cui parla Luigi Cattivelli, direttore del Centro di ricerca Genomica e Bioinformatica del Crea, nel suo libro “Pane nostro. Grani antichi, farine e altre bugie”. Questo frumento, con un bassissimo indice di glutine, non pare beneficiare dello stesso trattamento che si riserva per i grani antichi con lo stesso “glutine debole”. Quindi, si chiede Cattivelli, “la caratteristica che promuove il consumo dei frumenti antichi” è prevalentemente “l’antichità in sé” o, piuttosto “le particolari caratteristiche qualitative”? Probabilmente una domanda retorica.
Come l'adattamento genetico alimenta il mondo
Il discorso è, ovviamente, anche numerico e riguarda la capacità produttiva. Anche su questo tema, Cattivelli ha le idee chiare: «i circa 550mila ettari coltivati con varietà moderne di frumento tenero sono sufficienti per produrre circa il 40% del fabbisogno nazionale. Se tutta la superficie italiana di frumento tenero venisse coltivata con frumenti antichi, la produzione nazionale coprirebbe solo il 20% del fabbisogno». La natura, quell'astuta signora, non resta mai ferma. Si adatta, si evolve, si rinnova, sempre in costante movimento con lo scorrere del tempo. Ecco, quindi, che gli adattamenti genetici, quei temuti spauracchi, diventano in realtà gli eroi non celebrati di questa storia. Perché se il mondo continuasse ad essere antico, milioni di persone guarderebbero le loro tavole vuote. E qui entra in gioco l'adattamento genetico, l'agricoltura moderna, la selezione delle varietà. Non come antagonisti, ma come alleati necessari per nutrire un pianeta affamato.
Ricordiamo che Nazzareno Strampelli, luminare della genetica delle piante, non ha passato decenni a selezionare varietà di grani per mero capriccio. Al contrario, il suo lavoro ha avuto un impatto significativo nel fornire cibo a milioni di persone, teorizzando e mettendo in pratica un uso intelligente delle risorse della natura attraverso la creazione di grani più resistenti, più produttivi, più adatti alle necessità dell'epoca. Dovremmo forse biasimarlo?
Il sapore dell'antico: più mito che realtà
Tra le molte affermazioni sul grano antico, c'è quella che sostiene che il suo sapore sia superiore, più puro o più intenso rispetto a quello dei grani moderni. Ancora una volta, queste dichiarazioni sembrano svolgere più il ruolo di esca per l'acquisto che di veri e propri fatti scientificamente provati. È essenziale comprendere che il sapore del grano, antico o moderno, dipende da una serie di fattori, alcuni dei quali possono essere controllati dall'uomo, mentre altri no. Il terroir, ad esempio, che è l'ambiente unico in cui una pianta cresce, inclusi fattori come il clima, il suolo e la geografia, gioca un ruolo fondamentale nel determinare il sapore finale. Come per l'uva utilizzata nella produzione del vino, il grano assorbe gli elementi distintivi del terreno in cui viene coltivato, producendo caratteristiche uniche nel prodotto finito.
Il sapore dell'antico: più mito che realtà
Allo stesso tempo, l'elaborazione del grano, da come viene macinato a come viene cucinato, può influenzare significativamente il sapore. Ad esempio, la macinazione a pietra, spesso utilizzata nel caso dei grani antichi, tende a produrre una farina con una texture più grossolana che può influenzare la percezione del sapore. Inoltre, è importante considerare l'effetto del cosiddetto "placébo gustativo". Il nostro cervello è un narratore eccezionale e può convincerci che qualcosa abbia un sapore migliore solo perché ci aspettiamo che sia così. Se sei convinto che il grano antico abbia un sapore migliore, il tuo cervello può effettivamente interpretare la tua esperienza in quel modo.
Il mito della macinazione a pietra...
Affermare che il grano antico abbia un sapore intrinsecamente superiore è dunque fuorviante. Il sapore di qualsiasi prodotto a base di grano è il risultato di una complessa interazione tra variabili ambientali, processi di lavorazione, le nostre percezioni e aspettative personali. Perciò, prima di cadere nella trappola del mito del "sapore antico", è importante fare un passo indietro e considerare la verità nascosta dietro i racconti di marketing.
Guardare al futuro con consapevolezza
Dobbiamo rivendicare la ragione nell'agricoltura moderna, valorizzare i progressi che abbiamo fatto e continuare a cercare soluzioni che siano sostenibili per il nostro pianeta e salutari per noi. Ecco la sfida, la vera sfida: non tornare indietro, ma avanzare con consapevolezza, con scienza, con rispetto per la terra e per chi la coltiva. Non lasciamo che i miti e i modi di fare antiquati ci precludano nuove e importanti possibilità , presenti e future. Dopo tutto, la rivoluzione culinaria di cui abbiamo veramente bisogno non riguarda la scelta tra grani antichi e moderni, ma piuttosto un equilibrio tra sostenibilità, nutrizione e gusto. E, non fa mai male, un pizzico di umiltà. Perché, come ci ricorda continuamente la natura, non abbiamo tutte le risposte, e a volte il grano è solo grano.