I bambini hanno diritto di mangiare, durante l’orario della mensa a scuola, il panino portato da casa. È quanto ha stabilito la Corte d’appello del Tribunale di Torino, che con una sentenza ha ordinato a Comune e ministero dell’Istruzione di organizzare un servizio ristorazione per consentire di nutrirsi a scuola anche a chi si porta il pranzo da casa. Lo stesso obiettivo che in Lombardia sta cercando di ottenere il Movimento 5 Stelle attraverso una raccolta firme avviata lo scorso settembre.
La decisione è arrivata a seguito dell’azione legale portata avanti da 583 famiglie torinesi che protestavano contro l’aumento delle tariffe della mensa. Una battaglia nata più di 2 anni fa: il Tribunale in primo grado aveva respinto le loro ragioni che sono invece state accolte in appello.
Il portavoce delle famiglie, l’avvocato Giorgio Vecchione, su Facebook scrive: «La Corte d’Appello di Torino, finalmente, ha accolto la nostra domanda e per la prima volta in Italia ha accertato la sussistenza del diritto di scelta faticosamente rivendicato. La Corte d’appello ha poi rimarcato il fatto per cui il servizio di refezione scolastica previsto dal D.M. 31 dicembre 1983, è un servizio locale a domanda individuale, facoltativo per l’utente, che non può mai diventare obbligatorio e, quindi, non essendo ipotizzabile il digiuno degli studenti, occorre rinvenire una soluzione. Quindi le scuole dovranno garantire la realizzazione, a livello organizzativo, della possibilità di consumare il pasto portato da casa».
Conclude Vecchione: «La Corte d’appello ha ritenuto di non consentire indiscriminatamente agli alunni di consumare il pasto domestico presso la mensa scolastica, ma statuito che ciascun istituto debba adottare idonee misure organizzative in relazione alla specifica situazione logistica».
La “battaglia del panino”, in verità, è cominciata 3 anni fa, quando il Comune decise di alzare le tariffe, in particolare per le fasce di reddito più elevate, scatenando le proteste dei genitori. Come riporta la Repubblica-Torino, il Coogen, Comitato dei genitori di Torino, ha sempre richiesto una modifica dei prezzi verso il basso. «A Torino - spiega la presidente del Comitato, Giovanna Garrone - la fascia massima paga 7 euro a pasto, quasi il doppio che a Roma e Milano. Questa sentenza mette a rischio l'intero sistema delle mense, se chi paga di più smette di usarle non si potranno garantire le tariffe ridotte per le famiglie a basso reddito. Si butta all'aria anche un percorso di educazione alimentare e si creano discriminazioni tra i bambini».
«La strada per noi è riformulare le tariffe», ha assicurato il neo assessore all'Istruzione, Federica Patti. «Faremo uno studio per capire come farlo». Una posizione condivisa dalla neo-eletta sindaco Chiara Appendino: «Le criticità - scriveva in una lettera di febbraio ai genitori - non riguardano il servizio mensa, ma costi e qualità. Le famiglie torinesi hanno problemi economici seri e il Comune deve trovare soluzioni».
L’amministrazione comunale è già al lavoro per capire la portata della sentenza e quali conseguenze potrà avere sul servizio mense. I problemi maggiori potrebbero ricadere sui dirigenti scolastici, che hanno l'obbligo di garantire la sorveglianza anche per chi si porta il panino da casa. Ma anche il ministero dell'Istruzione è chiamato in causa: la sentenza dispone infatti che non ci dovranno essere oneri ulteriori a carico delle famiglie. Si attende il ricorso in Cassazione da parte del Ministero.