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Talento innato o studio continuo? Il segreto (e la storia) degli chef autodidatti

Storie di talento, passione e tenacia che hanno conquistato le vette dell'alta gastronomia. Un viaggio alla scoperta di sapori, tecniche e filosofie culinarie uniche, nate da un percorso di apprendimento non convenzionale: scopriamo le storie di Heinrich Schneider, Giuseppe Iannotti, Mariangela Susigan, Gianfranco Pascucci e Solaika Marrocco

di Federica Borasio
27 giugno 2024 | 11:29
Talento innato o studio continuo? Il segreto (e la storia) degli chef autodidatti
Talento innato o studio continuo? Il segreto (e la storia) degli chef autodidatti

Talento innato o studio continuo? Il segreto (e la storia) degli chef autodidatti

Storie di talento, passione e tenacia che hanno conquistato le vette dell'alta gastronomia. Un viaggio alla scoperta di sapori, tecniche e filosofie culinarie uniche, nate da un percorso di apprendimento non convenzionale: scopriamo le storie di Heinrich Schneider, Giuseppe Iannotti, Mariangela Susigan, Gianfranco Pascucci e Solaika Marrocco

di Federica Borasio
27 giugno 2024 | 11:29
 

Esperienza, pratica, curiosità e osservazione. Sono alcune delle caratteristiche che accomunano i tanti chef autodidatti che oggi animano le cucine italiane. Professionisti dei fornelli che, seppur scevri da percorsi di formazione professionali, hanno saputo rimboccarsi le maniche raggiungendo - in più di un caso - le vette della notorietà gastronomica grazie alla loro ambizione tenace e a una gran voglia di imparare. Spinti da una profonda passione per la cucina, gli chef autodidatti (o self-made) hanno sviluppato le loro conoscenze attraverso l'osservazione, l'assimilazione di ricette e la continua sperimentazione coltivando, in un mondo ormai abituato ad andare (troppo) di fretta, anche l'arte dell'attesa. Ma ciò che più incuriosisce è sicuramente l'avvicinamento al mondo della cucina. Una scelta non sempre scontata, specialmente guardando ai percorsi di partenza, talvolta anche molto lontani dall'ambito dell'enogastronomia.

Dolcevita

Chef autodidatti - Heinrich Schneider, ambasciatore della cucina naturale

Si sale in tutti i sensi, quando si sperimenta la cucina Heinrich Schneider, chef bistellato al timone - con la sorella e sommelier Gisela - del ristorante Terra, piccolo ma magico (di nome e di fatto) paradiso enogastronomico che sulle alture di Sarentino fa parlare l'Alto Adige come pochi altri luoghi. Appassionato di erbe di montagna, protagoniste e al contempo muse della sua cucina, Heinrich ha approcciato la gastronomia all'età di 15 anni, dopo aver accantonato le ambizioni da veterinario per seguire ai fornelli le orme della mamma. «Amo la mia professione ed amo il mio territorio - racconta. Sono entrato in cucina quando avevo 15 anni accanto a mia mamma, che guidava la cucina lasciandomi libero di esprimere la mia creatività. Mi piace sorprendere gli ospiti con i miei ingredienti particolari come, ad esempio, con le erbe selvatiche, a volte anche sconosciute, oppure i funghi rari. Sono sapori che il cliente trova solo da noi».

Talento innato o studio continuo? Il segreto (e la storia) degli chef autodidatti

Chef autodidatti: Heinrich Schneider

Materie prime che lo chef conosce molto bene, grazie anche a una profonda e non scontata ricerca sui prodotti locali. «Mi sono formato al centro scientifico della provincia di Bolzano Laimburg sulle erbe selvatiche - spiega - dopodiché ho proseguito con un'altra importante formazione sulla micologia. Mi sembrava essenziale conoscere e capire la botanica intorno al nostro Terra, dove siamo cresciuti». Un'arte che con Heinrich tocca livelli altissimi anche sul lato dell'estetica, con una cura per le presentazioni che non resta mai in secondo piano. «La presentazione dei piatti, quindi l'estetica è un'altra mia grande passione - prosegue. Amo la ceramica d'arte, fatta da artisti della nostra regione. E amo anche mettere in scena la natura del nostro territorio con rispetto».

Chef autodidatti - Giuseppe Iannotti, creatività e suggestioni dal mondo

Tante sono le strade che la vita può prendere. Spesso inaspettate, o semplicemente diverse da quelle immaginate. È quello che è successo a Giuseppe Iannotti, chef classe 1982 che ha scelto la via del gusto dopo aver abbandonato il suo percorso di studi in ingegneria informatica. Così, a Telese Terme, in una campagna rigogliosa che si presenta pronta a dare, ha messo le basi del suo Krèsios, ristorante stellato ospitato tra le mura di un'antica masseria che già nel nome rende onore al dio Bacco e agli infiniti piaceri della gola.

Talento innato o studio continuo? Il segreto (e la storia) degli chef autodidatti

Chef autodidatti: Giuseppe Iannotti

«Ho sempre pensato di fare quello che faccio ora - spiega - perché, contemporaneamente alla mia vita scolastica e ai miei hobby, grazie a mia mamma Elvira, ho coltivato e costruito quello che è la mia carriera. Acquistare o coltivare le migliori materie prime, cucinare, preparare la tavola, i fiori, la tovaglia sempre super stirata, la piega di un tovagliolo, il calice giusto per il vino. Fin dall'età di sei anni ho avuto una forte passione per la cucina che ho sempre cercato di coltivare e mantenere viva. Nel 2007 ho inaugurato un ristorantino a Castelvenere che già portava il nome Krèsios seguito dall'apertura, a Telese Terme, di una bottega di specialità gastronomiche selezionate con molta cura, Krèsios bottega. Nel 2011 i due progetti sono stati uniti sotto lo stesso tetto, in una masseria di famiglia appena fuori Telese».

Un percorso completamente da autodidatta, che Giuseppe ha gestito con caparbietà anche grazie a una forte passione nello studio tecnico e nella conoscenza approfondita delle materie prime, con numerosi viaggi e approcci alle cucine dal mondo a far da sfondo a una formazione dove la fantasia si è rivelata determinante, almeno quanto la necessità di non rispondere a dogmi assoluti. «Sicuramente - conclude lo chef - il non aver avuto una formazione classica mi ha spinto ancora di più alla ricerca e alla sperimentazione, allo scambio con colleghi di culture e provenienze diverse e, in questo senso è stato importante per lo sviluppo della creatività. Dall'altro lato, il tempo dedicato allo studio autodidatta di tecniche, cotture, tagli, e stato pressocché infinito, a dirla tutta continuo sempre a studiare così come a cucinare e a pensare a nuovi traguardi da raggiungere, non mi fermo mai».

Chef autodidatti - Mariangela Susigan: dalle corti di Francia al Canavese

Una doppia stella, classica e green, accompagna il presente di Mariangela Susigan, chef del Ristorante Gardenia di Caluso che ha portato nella sua cucina un approccio sostenibile fatto non solo di tradizione, ma anche di amore profondo per la terra e per i suoi frutti: dai prodotti dell'orto di proprietà alle erbe spontanee raccolte nel territorio circostante. Una storia partita dalla Francia e dalle cucine di corte dove la mamma già lavorava prestando fede a un'idea di economia circolare. «Ho iniziato a lavorare a 20 anni, nel '77, affiancando mia mamma che è stata cuoca in diversi castelli in Francia» racconta la chef. L'ultimo a Tolosa, dove era ancora presente un modo di cucinare all'insegna dell'economia circolare: si allevavano le oche per il foie gras, ma anche galline che facevano le uova e che, insieme alle verdure venivano poi vendute al mercato di Tolosa.

«Nel 1956 sono nata io - prosegue Mariangela - e poi dopo tre anni siamo tornati in Italia, dove mia mamma ha continuato a fare la cuoca, questa volta presso una famiglia piemontese, imparando i piatti tipici della tradizione regionale e canavesana. Poi abbiamo avuto l'opportunità di avere una casa grande e lei, che era una donna già molto intraprendente, ha messo insieme le nostre professionalità e l'ha trasformata in un bar con cucina tipica, il Ristorante Gardenia, che è diventato man mano quello che è oggi. Abbiamo utilizzato tutto quello che si poteva come famiglia, fino a quando, nei primi anni Ottanta, mia mamma si è ritirata e io ho iniziato a fare la chef».

Talento innato o studio continuo? Il segreto (e la storia) degli chef autodidatti

Chef autodidatti: Mariangela Susigan

«Casa nostra è come la casa madre. Ruota tutto lì attorno, viviamo lì, la famiglia è molto presente. Quando mi chiedono come sono arrivata ad essere una chef stellata e come riesca tutt'ora ad andare avanti, dopo 46 anni di lavoro, non posso nascondere che la famiglia mi ha sempre sostenuto. Dall'altro canto, io ho sempre avuto un carattere molto curioso, propositivo, sono così tutt'ora. Lo faccio anche per i miei ragazzi di cucina e per la loro formazione. Normalmente ci diamo un tema - adesso, per esempio, nei piatti vegetariani stiamo lavorando su vegetali che possono essere utilizzati in tutto, dalla foglia alla radice -, facciamo le prove e poi ognuno mi dà un suo parere. La mia esperienza in questo senso conta perché, a furia di fare abbinamenti e cucina in generale ho un po' il quadro completo dei piatti e degli accostamenti».

Piglio da cuoca di lungo corso, ma umiltà di chi sa che non si smette mai di imparare, soprattutto se si è disposti a condividere. «Dal punto di vista della formazione, adesso i ragazzi hanno delle grandi possibilità rispetto a un tempo. Io mi sono formata da sola, ma c'erano pochissimi libri. Uno seguiva un po' Gualtiero Marchesi, La Cassinetta di Lugagnana, ho fatto dei corsi a Parigi dai fratelli Lenôtre, ma non era semplice come adesso. I ragazzi oggi hanno tutto, a partire da Instagram, con tutti i limiti e le controindicazioni del caso. A me mancavano le informazioni e le esperienze fuori, per questo ci ho messo più tempo. Per me è sempre stata bella la condivisione con i ragazzi: loro arrivavano da grandi ristoranti, come Alain Ducasse o El Celler de Can Roca, e volevano fare esperienza da me per le erbe selvatiche. E c'era sempre questo scambio per cui io davo qualcosa a loro in questo ambito, o per la cucina piemontese, e loro conoscevano invece delle tecniche di cucina particolari che ho imparato da loro. L'essere autodidatti può essere un limite, ma non lo diventa se uno riesce ad aprirsi, ad imparare. Da autodidatti è necessario avere molta forza di volontà, curiosità e applicazione. E bisogna saper condividere con chi sa. Io sono molto contenta perché vedo che riesco a dare qualcosa ai ragazzi».

Chef autodidatti - Gianfranco Pascucci, questione di istinto (e curiosità)

Quando si parla di cucina di pesce, il nome di Gianfranco Pascucci esce quasi di default. Chef autodidatta, è oggi uno dei più bravi interpreti della materia prima proveniente dal mare, risultato di un viaggio formativo avviato seguendo la propria passione, unita alla voglia di migliorarsi costantemente. Nel 2000 la svolta, con l'apertura del Pascucci al Porticciolo, il ristorante di Fiumicino dove oggi continua a dare forma a una cucina etica e rispettosa, che nasce dal mare ma trae linfa anche dagli elementi dell'entroterra, arrivando a tavola nella miglior forma (e con la miglior cura) possibile. L'inizio già in giovane età, a poco più di dieci anni, con la preparazione del primo piatto di pesce: spaghetti con le telline raccolte da lui stesso sul litorale laziale. Prologo di una vita professionale interamente dedicata al mare.

Talento innato o studio continuo? Il segreto (e la storia) degli chef autodidatti

Chef autodidatti: Gianfranco Pascucci

«Già da piccolo - spiega Gianfranco - avevo il piacere di preparare la colazione a tutta la famiglia, ricordandomi le preferenze di ognuno. Era un gesto per me normale, istintivo e che mi dava grande gioia. Il momento importante è stato l'acquisto della struttura dove siamo ancora oggi, l'incontro con Vanessa Melis che si dedica alla sala è stato fondamentale. All'inizio la cucina era molto semplice ma sempre con grande attenzione al mercato, alla qualità. Alla ricerca dei prodotti più identitari. Da lì è partito tutto».

Da quel momento, a delineare la carriera dello chef è stata una strada fatta di ricerca, studio e sperimentazioni. Un percorso paziente, che però non ha tardato a presentare i suoi frutti, con l'assegnazione, nel 2023, della Stella Michelin accanto alle Tre Forchette del Gambero Rosso e ai Tre cappelli della guida de L'Espresso. «I vantaggi che riconosco nel mio tipo di percorso sono una certa libertà di espressione, di stile. Lo studio della cucina, delle regole e delle preparazioni classiche è stato all'inizio più difficoltoso e lungo, ma mi ha permesso di contro di esserne parte integrante, di studiarle fino in fondo e di capirne i perché in maniera autonoma. Questo non vuol dire che io non sentissi di avere maestri di cucina. Anzi, ne ho avuti molti, anche se loro probabilmente non lo hanno mai saputo. Gli svantaggi sono stati nelle tempistiche più lunghe nella fase di apprendimento e nell'impossibilità di essere presentato come l'allievo di un grande maestro».

Chef autodidatti - Solaika Marrocco, la cucina come atto d'amore

È una delle più giovani chef donne della scena gastronomica italiana. Classe 1995, di origini salentine, Solaika Marrocco tiene strette le redini della cucina del Primo Restaurant di Lecce, ma la sua vocazione per la cucina esiste praticamente da sempre. «Osservavo mia madre preparare da mangiare per tutta la famiglia e notavo l'amore che metteva in ogni piccola cosa che faceva - dice. Ho iniziato a mettere letteralmente le mani in pasta dai 10 anni in poi, in un panificio dietro casa, la passione mi ha sempre accompagnata fin da bambina. Dopo aver frequentato l'istituto alberghiero e lavorato in alcuni ristoranti del mio paese d'origine, approdo all'interno di Primo dove, da autodidatta, intraprendo un percorso che mi ha portata a raggiungere tanti obiettivi e ad avere tante soddisfazioni che hanno ripagato tutti i sacrifici fatti».

Talento innato o studio continuo? Il segreto (e la storia) degli chef autodidatti

Chef autodidatti: Solaika Marrocco

Una cucina autentica e diretta, la sua, che risponde a una necessità ben precisa: raccontare il territorio, in particolare il Salento, senza vincoli, pescando dai ricordi e dai sapori dell'infanzia per renderne partecipi gli ospiti. «Della cucina mi ha rapito praticamente tutto. Cucina è passione allo stato puro, è stimolo continuo, è responsabilità, soprattutto. Ho sempre pensato che cucinare per qualcuno sia uno degli atti d'amore più antichi e sinceri che ci sia. È come se il cliente, prenotando, si affidasse completamente a noi. Un “noi” che sottolineo, perché fare ristorazione vuol dire dare un'idea di team, d'insieme, senza fronzoli. Cerchiamo costantemente di anticipare le esigenze della clientela proponendo un'identità sempre più definita della nostra offerta».

Anche qui, a muovere tutto è stata la passione. Ma tempo ed esperimenti in cucina hanno fatto il resto. «Un vantaggio dell'essere autodidatti è quello di crearsi una propria identità e filosofia. E non avendo avuto "maestri", anche quello di essermi lasciata ispirare da qualsiasi cosa mi circondi nel territorio. La difficoltà è stata invece nel non aver avuto nessuno ad insegnarmi, cosa che ha imposto molto più tempo e tante prove in cucina per riuscire in una tecnica o completare un piatto. Ma poi, come dico sempre io, le soddisfazioni sono maggiori».

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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