Il 29 novembre 2004 Luigi “Gino” Veronelli se ne andava. Alberto Schieppati, uno dei più importanti giornalisti enogatronomici già direttore di testate di settore come Bargiornale, BARtù e So Wine So Food, condivide con Italia a Tavola il suo ricordo dell'“anarchenologo”:
Penso spesso a Gino Veronelli, al suo pensiero elegante, lontano dalle convenzioni, ricco di semplicità, attento al prossimo. Erano anni magici, quelli, va detto: ma pochi, forse nessuno come lui, sempre, era dominato dalla esasperata volontà di esprimere (e di offrire) il meglio.
Gino Veronelli in poche parole
Se devo associare a Gino una parola, mi viene da dire: rispetto. Un'altra parola? Cuore. Una terza parola: passione. E una quarta: rigore. Lo stile di Gino, giornalista itinerante, come amava talvolta definirsi, andava sempre oltre il prevedibile, grazie a una curiosità inquieta e delicata, mai sazia, vòlta alla continua ricerca del meglio, in nome di una informazione umana, irrimediabilmente onesta e veritiera. L'intelligenza eretta a sistema di vita, ecco.
Lo stile di Veronelli andava sempre oltre il prevedibile
Quanta nostalgia, se ripenso alla voce suadente di quando, negli anni Ottanta, avvenne il primo incontro con Luigi Veronelli. O di quando, durante un viaggio nella Sicilia vinicola, condividemmo momenti gioiosi nel mare di fronte a Palermo, insieme ad altri grandi del vino che, anche loro, ci hanno lasciato per sempre.
Gino Veronelli, il maestro insostituibile
Ascoltarlo rivelava un incoraggiante mix di coraggio, audacia emotiva, soggettività passionale, conoscenze profonde: valori che facevano di Gino un (il) maestro insostituibile, capace di trasmettere emozioni, nel segno della memoria e del rispetto verso l'altro, senza distinzioni, con soggettiva lucidità. Indimenticabile. Il suo non dare mai nulla per scontato, il suo essere sempre dalla parte del vero è mai dell'artefatto, mi aprì a una visione fascinosa della professione giornalistica. Zero ipocrisie, zero formalismi, zero assuefazioni. Ma soprattutto mi fece comprendere il valore della critica, enogastronomica e non solo.
La sua preoccupazione principale, si trattasse di un vino degustato o di una trattoria visitata, era che qualunque parola - scritta o detta - fosse attendibile, un messaggio vero e credibile, del quale potersi fidare ciecamente, grazie alla immensa garanzia della parola. Le sue schede sui ristoranti diventarono per me una sorta di Vangelo, vaddassé (come diceva lui). I suoi locali “del cuore” (ricordo con nostalgia la Antica Trattoria della Pesa di Ezio Calatti) furono presto il benchmark a cui riferirsi per capire fino in fondo quanto la sua visione fosse profonda, acuminata, mai saccente. E quanto completa fosse la proposta di quei ristoratori.
La preoccupazione più grande di Veronelli era che ogni parola fosse attendibile
Per non dire dei “soli” che assegnava nelle sue guide (al Pescatore della famiglia Santini, a Canneto sull'Oglio, o a Guido a Costigliole d'Asti) e che mi hanno accompagnato con emozioni e certezze per decenni. Ripensare oggi a Gino, alla sua visione serena ma sempre e doverosamente critica quando occorreva, ha ancora su di me un effetto rassicurante, di autorevole e indiscussa credibilità. Soprattutto se pensiamo alla pochezza e alla presunzione con cui certa “critica” contemporanea si erge ogni giorno a depositaria del sapere enogastronomico. Con presunzione insopportabile e, soprattutto, senza verifiche, senza sapienza, senza esperienze. Ma con la pretesa di essere venerata.