Ma quale sfruttamento, la verità è che negli istituti alberghieri le ore di laboratorio sono state ridotto all'osso e la preparazione dei professori è spesso approssimativa, oltre al fatto che dalla cattedra non emerge passione e i ragazzi si scoraggiano, arrivando impreparati in cucina, nonostante un diploma in mano.
Si fa duro lo scontro tra chef e istituti alberghieri dopo che alcuni di questi ultimi avevano attaccato i ristoranti, rei, a detta loro, di sfruttare i ragazzi tra orari improponibili, paghe offensive e poca capacità di trasmettere il mestiere. Ora è arrivata la risposta dei cuochi che passa attraverso le parole dei presidenti delle quattro principali associazioni: Euro-Toques, Fic, Le Soste e Jre.
Rabbia e rammarico per ragazzi poco appassionati e capaci
La linea dei quattro leader, Enrico Derflingher, Rocco Pozzulo, Claudio Sadler e Filippo Saporito è unanime. C'è rammarico nell'ammettere che i programmi delle scuole, ad oggi, sono insufficienti; c'è rabbia nel dover dire che troppi professori mancano di preparazione; dispiacere nel constatare che la passione giusta non viene infusa nei ragazzi; preoccupazione nel vedere arrivare in cucina neodiplomati che non hanno le basi; arrendevolezza nell'evidenziare che la nuova generazione non ha la "grinta" che avevano loro, oggi chef affermati, che la voglia di far fatica è sempre meno e che, una volta di più, la pandemia non ha fatto altro che far scricchiolare le poche soddisfazioni che i giovani vedevano nel mestiere di cuoco.
Enrico Derflingher, Rocco Pozzulo, Claudio Sadler e Filippo Saporito
Poca pratica, troppa teoria a scuola
In primis, il problema della pratica. I programmi scolastici hanno ridotto drasticamente le ore di laboratorio per dare spazio ad altre materie. «La voglia di lavorare in cucina c’è - spiega Derflingher - ma è anche vero che le scuole alberghiere non possono garantire una formazione adeguata perché la pratica è limitata o addirittura inesistente, c'è troppa teoria nell'offerta formativa».
Gli fa eco Claudio Sadler, che affonda: «Generalizzare è sbagliato - ammette - ci sono scuole che preparano bene ed altre che non formano per nulla. Il problema è, in media, le scuole alberghiere sono diventate dei rifugi per famiglie: chi non sa cosa fare, finisce all’alberghiero. Una volta lì poi impara poco, non si possono ridurre le ore di lezione tecnico-pratiche a favore di altre più culturali, importanti sì, ma che non possono prevalere sulle materie di indirizzo. E poi quando si fa laboratorio manca la materia prima, le scuole non hanno pesce a sufficienza da distribuire ai ragazzi per consentirgli di imparare a prepararlo al meglio».
La misura di quanto la formazione in laboratorio sia stata stroncata la dà Rocco Pozzulo che è anche docente all'Istituto alberghiero di Potenza e può offrire un doppio punto di vista: «Quando ero studente io - dice - facevamo circa 18 ore di laboratorio a settimana ogni anno per cinque anni - dice - mentre adesso sono drasticamente diminuite: c'è un abisso. Bisogna anche ammettere, tuttavia, che con i programmi di prima uscivano dagli istituti cuochi meno dotti, mentre oggi hanno una cultura generale che non va sottovalutata e che può essere utile nel momento in cui si troveranno a sostenere convegni o confronti con altre personalità».
Professori incapaci di trasmettere la passione
Il problema però non è solo tecnico, ma anche morale. I cuochi incolpano i professori di non essere capaci di trasmettere la passione per il mestiere perchè loro in primis non la possiedono. I docenti sono spesso ex-studenti che non hanno intrapreso un lavoro operativo nel mondo della cucina; viene quindi da chiedersi: come puoi spiegare un mestiere così particolare senza averlo mai fatto?
«Come si fa un torrone - spiega un po' provocatoriamente Saporito - lo possono imparare tutti seguendo un tutorial su YouTube. Alle scuole però spetta il compito di trasmettere la passione ai ragazzi. Già quando ero io tra i banchi rimproveravo i docenti perchè non ci raccontavano di Gualtiero Marchesi o di Alain Ducasse e anche oggi è così, solo che con MasterChef e internet certe conoscenze le si possono apprendere comunque».
Ma è colpa solo dei professori, incapaci di trasmettere passione, o dei ragazzi "mollicci" di oggi che - forti di idoli come gli influencer - pensano di ottenere il successo immediatamente e senza sforzi?
«Io sono convinto che i ragazzi che vogliono sfondare in questo mondo superano gli ostacoli - dice Sadler - basta che superino lo scoglio dell'adolescenza e di tutte le problematiche comportamentali che essa comporta. Certo, i ragazzi devono sapere - e questo è raro - che in cucina ci si presenta in una maniera educata e con una presenza adeguata che prevede, ad esempio, l'utilizzo della divisa, cosa che molti rifiutano o non contemplano».
Ai giovani serve più tempo nelle cucine
«Bisogna ammettere che i ragazzi di oggi hanno meno voglia di sacrificarsi - osserva Pozzulo - ma fino a che punto possiamo dargli torto quando si parla di entrare nel mondo della cucina, un mondo totalizzante, che ti toglie dalla famiglia e dalla possibilità di dedicare tempo alla vita privata. A causa della pandemia, molti cuochi adulti hanno lasciato questo mestiere perchè hanno toccato con mano il bello di stare in famiglia, di trascorrere le festività con i figli e questo si ripercuote sulle giovani leve».
Si torna al concetto di poca pratica con Saporito che propone una soluzione: «Credo che se aumentassero i contatti tra scuole e ristoranti i ragazzi potrebbero capire da vicino cosa significa lavorare in cucina e accendere in loro la passione, la voglia di provarci. Certo, i professori anche qui dovrebbero avere l'intrpaprendenza di aggiornarsi perchè la cucina è "modaiola", non statica».
Cuochi, poco tempo e poca pazienza nell'insegnare
Ma siamo sicuri che tutta la formazione debba pesare sulle spalle della scuola? I cuochi sono proprio esenti dal proseguire nel percorso di formazione di un giovane? Del resto, è noto, la scuola (almeno quella italiana) non è in grado di preparare i ragazzi al mondo del lavoro. Un neolaureato in medicina non è certo pronto per entrare in sala operatoria. Così come un neolaureato in giurisprudenza non sa come gestire un processo. Cosa succede in cucina?
«Il bisogno di nuove leve è urgente - risponde Derflingher - sembra una razza in via di estinzione. Certo è che non è facile formare nuovi professionisti, da parte dei cuochi e della brigata serve pazienza e dedizione, che in questo momento vengono meno per via del momento di crisi e preoccupazione che colpisce tutti».
C'è bisogno di cogliere le occasioni, di lavorare al 100% tutte le volte che si può per tappare i buchi del 2020 insomma, e così il tempo di insegnare un mestiere non c'è. Ma non per tutti. «Per noi è un grande piacere far crescere i giovani - dice Sadler - ma è ridicolo che i ragazzi oggi svolgano 3 settimane di stage in una cucina: cosa potranno mai imparare?».
«Spetta anche ai cuochi proseguire il percorso di formazione intrpareso da un giovane - evidenzia Pozzulo - e in questo i cuochi devono aver più pazienza con i neodiplomati e impegnarsi a colmare i buchi che hanno, oltre a riuscire a trasferire la passione per il mestiere tanto quanto viene richiesto ai professori. La questione è anche economica: come Fic chiederemo alle istituzioni di defiscalizzare i contributi per i dipendenti in modo da poter assumere maggior personale da distribuire su più turni per lavorare meglio e con maggior agio».
Come detto, in cucina tocca anche sradicare il mito MasterChef, un aspetto sul quale Saporito ha insistito: «Bisogna far conoscere ai ragazzi la punta di diamante della cucina, cioè fin dove si può arrivare, ma trovare anche il giusto equilibrio spiegando che il mestiere è faticoso e diverso da tutti gli altri. Parlando di "successi" i cuochi devono essere bravi a far comprendere ai ragazzi che anche un cornetto fatto al meglio in un bar di provincia deve essere un obiettivo e un risultato che dà soddisfazione, ma spesso manca tempo e voglia».
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