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Cocktail, quando forme e colori dipendono dall'uso del ghiaccio...

Fare buon uso del ghiaccio nella composizione di un cocktail non è da tutti. Dalle colorazioni alla forma, le varie caratteristiche del ghiaccio cambiano completamente l’aspetto e il sapore di un drink. Geoff Fewell per esempio utilizza sfere di ghiaccio, realizzate con una pressa giapponese, per servire il Negroni

di Flavio Esposito
09 dicembre 2015 | 12:10
Cocktail, quando forme e colori 
dipendono dall'uso del ghiaccio...
Cocktail, quando forme e colori 
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Cocktail, quando forme e colori dipendono dall'uso del ghiaccio...

Fare buon uso del ghiaccio nella composizione di un cocktail non è da tutti. Dalle colorazioni alla forma, le varie caratteristiche del ghiaccio cambiano completamente l’aspetto e il sapore di un drink. Geoff Fewell per esempio utilizza sfere di ghiaccio, realizzate con una pressa giapponese, per servire il Negroni

di Flavio Esposito
09 dicembre 2015 | 12:10
 

Oggi, dimentichiamoci il classico concetto di “cubetto” anche se per potere spaziare e sfruttare al meglio ogni aspetto tecnico e opportunità di evoluzione che offre questo elemento essenziale, bisogna proprio partire da lui: il tradizionale cubetto. Il concetto può essere portato all'estremo, fino a ritrovarsi davanti a un cocktail “in the rocks” e non “on the rocks”, come accade a Chicago, varcando la soglia del “The Aviary Bar”, una delle massime espressioni di questa scuola di pensiero.



Basta immaginare i 37 tipi diversi di ghiaccio utilizzati per il servizio, realizzati in diverse colorazioni in appositi stampi siliconici, oppure di mettere in bocca un sfera gelata, cava, in cui è stato inserito un ottimo Old Fashioned, con una siringa. Per non parlare del fascino di vedere creare a mano, davanti a voi, una forma di ghiaccio che nasce da un blocco di oltre 40 chili, per poi finire nel bicchiere che accoglierà il vostro drink, naturalmente cristallino e puro e parte integrante di un cocktail che affascina e rapisce anche la vista, oltre che il palato.

Tecnicamente i bartender di alto livello dedicano molto tempo alla ricerca di macchine per il ghiaccio, attrezzi che permettano di scolpirlo e trasformare ogni pezzo in una piccola o grande gemma da accostare al cocktail da servire, perché solo la conoscenza delle tecniche rende il classico “cubetto” qualcosa di diverso da quello che molti interpretano come “acqua in bocca”.

Si parte da semplici concetti di base, come quello che prevede che a un Negroni si debba abbinare un pezzo grosso di ghiaccio, al contrario di un Old Fashioned, per una semplice considerazione sull'impatto che avrà sulla temperatura del liquido e la conseguente diluizione che si avrebbe in breve tempo. Questa, però, è base di partenza per dimostrare quanto possa influire la tecnica, lo studio e l'applicazione delle due componenti, anche nel mondo dei bartender, visto che (in esatta controtendenza con l'utilizzo di un grosso blocco) Geoff Fewell, al “The Lui Bar” di Melbourne, utilizza sfere di ghiaccio, realizzate con una pressa giapponese, per servire il Negroni.

Ciò dimostra che si può ottenere il medesimo risultato (minore scioglimento), sia con un blocco di grosse dimensioni, che con sfere di ghiaccio delle dimensioni di cubetti normali (che proprio grazie alla minore esposizione della superficie) raggiungono lo stesso risultato, con due diversi impatti visivi. In un bicchiere che contiene liquidi e ghiaccio agiscono molti fattori, oltre alla temperatura esterna, e tutti contribuiscono a influire sulla trasmissione del calore e, per poterli analizzare nel loro complesso, dobbiamo avere ben chiare semplici regole di natura fisica: è possibile (utilizzando mixing glass tenuti in congelatore per isolare da fonti esterne il raffreddamento, aumentando i cubetti di ghiaccio per aumentare la superficie di contatto con i liquidi ed utilizzando prodotti fluidi tenuti a bassa temperatura, in frigo) ottenere un cocktail che abbia una temperatura più bassa del ghiaccio che verrà inserito nel bicchiere, diminuendo l'effetto di diluizione.



La termodinamica si affianca al lavoro del bartender, per aiutarlo a ottenere risultati ottimali e scenografici e, non solo nello studio delle temperature, dell'energia, della diluizione e del gradiente termico, per una perfetta composizione del drink, ma anche per la realizzazione del ghiaccio ideale, cristallino e puro. Il concetto di stratificazione, che realizza cubetti che si formano aumentando la superfice grazie a spruzzatori che creano i vari strati, viene utilizzato anche dalle macchine giapponesi Hoshizaki, che affiancano a questa tecnica l'utilizzo di vere e proprie “gabbie” d'acciaio, la compressione genera blocchi o cubetti molto più duri, con il classico effetto crepa, interno, che lo rende di grande impatto.

Se poi, come fa Geoffe Fewell, si utilizzano in pubblico scalpelli, mannaie e seghe giapponesi (con lame create appositamente per il taglio delle lastre), il ghiaccio diventa protagonista, al pari della qualità degli altri ingredienti che compongono il cocktail. Senza volare a Melbourne, in Italia, come non ricordare l'abbinata Chivas Regal-Pininfarina, con la richiesta di realizzare una spressa “ad hoc”, per una grossa goccia di ghiaccio da immergere nel Chivas 18.

Finiti i tempi della classificazione in soli cubetti, crushed e ghiaccio secco, ecco che anche in questo campo si sono aperte nuove strade e nuovi orizzonti, con l'obiettivo di non “raffreddare” gli entusiasmi di un pubblico sempre più esigente e in cerca di emozioni e sensazioni nel bicchiere.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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