Anche il turismo inizia a perdere fiducia. A marzo, gli imprenditori del settore hanno espresso una crescente preoccupazione per l'andamento dell'economia e per le prospettive della propria attività. È un segnale importante, perché parliamo di uno dei comparti che negli ultimi anni aveva mostrato più vitalità, sostenuto soprattutto dalla domanda estera. A lanciare l'allarme è l'Ufficio studi di Confcommercio, che commenta così i dati Istat, confermando un deterioramento marcato del clima di fiducia, non solo tra le imprese del turismo, ma anche tra le famiglie e in diversi altri comparti.

Turismo, marzo segna un brusco stop: la fiducia degli operatori va giù
Il punto centrale è proprio questo: dopo due mesi in cui sembrava esserci una lieve ripresa di ottimismo, marzo ha segnato un netto passo indietro. Le famiglie hanno ricominciato a valutare negativamente sia la propria condizione attuale sia le prospettive future. In particolare, l'indice che misura il clima di fiducia per i mesi a venire è crollato di quasi sei punti percentuali. Un dato che evidenzia come cresca la percezione di insicurezza e instabilità economica, e come si allontani l'idea di una ripresa strutturale.
Tutto questo ha ricadute evidenti sui consumi. Se le persone si sentono meno sicure del proprio reddito o del futuro economico, tendono a rimandare le spese, specialmente quelle legate al tempo libero, ai viaggi e alla ristorazione. Ed è qui che il turismo inizia a risentirne, soprattutto in relazione alla domanda interna. L'effetto a catena coinvolge poi tutto il sistema: consumi stagnanti, redditi che non crescono, imprese in difficoltà.
A rendere ancora più chiaro il quadro ci pensa Confcommercio, che nel commentare i dati Istat sottolinea come il problema non sia legato a fattori esterni contingenti, come i dazi o le tensioni geopolitiche: «A suscitare qualche timore è anche il peggioramento della fiducia degli operatori del turismo, settore che negli ultimi anni, anche sulla spinta di una crescita della domanda estera, è stato uno dei più dinamici» si legge nella nota dell'Ufficio studi. E ancora: «A definire un quadro psicologico negativo c'è l'evidenza che la dimensione mediatica attorno alla questione dei dazi non ha influito. Le imprese della manifattura esportatrice non dichiarano incrementi negli ostacoli alle esportazioni. Quindi, le cause della sfiducia sono più profonde e radicate».
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