Il momento della svolta doveva essere giugno 2023, invece la questione relativa agli affitti brevi è più che mai ancora aperta. Alle promesse del ministro del Turismo Daniela Santanchè, pronunciate in un contesto significativo come l’assemblea di Federalberghi a Bergamo nel maggio di quell’anno, hanno fatto seguito solo interventi a metà, provvedimenti nati già depotenziati, come nel caso del Cin (il Codice identificativo nazionale) che, dopo alcuni rinvii, è entrato in vigore il 1° gennaio 2025 e quasi due mesi dopo manca ancora in quasi una struttura su cinque. E l’ultimo caso toscano, con il governo che valuta di impugnare il Testo approvato dalla Regione che, tra le altre cose, prova a regolamentare proprio la giungla degli affitti brevi, riaccende i dubbi di un comparto troppe volte lasciato solo a combattere in un mercato iniquo.
Affitti brevi, dall’annuncio di Bergamo al primo disegno di legge
A maggio 2023, Santanchè aveva annunciato l’intenzione di presentare entro giugno una legge per regolamentare gli affitti brevi e contrastare l’evasione. Il provvedimento doveva puntare a bilanciare le esigenze delle città metropolitane e d’arte, dove il fenomeno dell’overtourism è più critico, con quelle dei piccoli borghi, dove l’offerta alberghiera è limitata. La legge avrebbe dovuto prevedere l’introduzione di un codice di identificazione obbligatorio per chi affitta immobili a breve termine, la creazione di una piattaforma nazionale per registrare tutti gli affitti e la possibilità di imporre limiti ai pernottamenti in alcune località. Il ministro aveva sottolineato l’importanza di evitare approcci ideologici, puntando invece su soluzioni equilibrate che tutelino sia i residenti sia il settore turistico.

Quello degli affitti brevi rimane un fronte aperto
Il disegno di legge introduceva l’obbligo di un Cin per gli affitti brevi, sostituendo i venti codici regionali attuali. Il Cin sarebbe stato necessario anche per le piattaforme online (Ota) e chi non lo avrebbe rispettato sarebbe stato soggetto a sanzioni, affidate ai Comuni e alle autorità di pubblica sicurezza. Il provvedimento stabiliva inoltre un soggiorno minimo di due notti nei Comuni a forte afflusso turistico e riconosceva ufficialmente la figura del property manager, per cui l’Istat avrebbe introdotto un Codice Ateco specifico, con l’obbligo di agire da sostituto d’imposta per la cedolare secca. Una prospettiva che aveva deluso Federalberghi e gli operatori di settore e che ora trova ulteriore conferma.
Affitti brevi, la nuova norma
Santanchè aveva dunque provato a correggere il tiro con un nuovo disegno di legge sugli affitti brevi nel settembre dello stesso anno. I contratti di locazione turistica nelle zone storiche delle città metropolitane avrebbero dovuto avere una durata minima di due notti consecutive, senza eccezioni, nemmeno per le famiglie numerose. Il numero massimo di appartamenti che un proprietario avrebbe potuto affittare a breve termine con cedolare secca veniva ridotto da quattro a due su tutto il territorio nazionale. La normativa si sarebbe applicata alle 14 città metropolitane e a circa 969 comuni con alta densità turistica, senza deroghe per i comuni con meno di 5.000 abitanti considerati turistici dall'Istat.
Confermato il Cin, il disegno di legge - poi trasformato in decreto legge - stabiliva che gli intermediari immobiliari e le piattaforme online fossero responsabili del pagamento dell’imposta di soggiorno se coinvolti nella gestione dei pagamenti delle locazioni turistiche e alberghiere. Gli immobili destinati ad affitti brevi avrebbero dovuto rispettare norme di sicurezza, tra cui la prevenzione incendi e la presenza di rilevatori di monossido di carbonio. Inoltre, chi avesse subito condanne superiori a tre anni o fosse sottoposto a misure di sorveglianza speciale non avrebbe potuto affittare unità per locazioni turistiche brevi.
Affitti brevi, una gestazione lunga
Anche complici le resistenze di una parte del governo, con Matteo Salvini in primis che si appellava alla sacralità della proprietà privata (un tema tornato poi di attualità nei giorni scorsi), alla fine ci è voluto un altro anno - siamo a settembre 2024 - per la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale con l’entrata in vigore delle nuove norme da novembre dello stesso anno.

Il ministro del Turismo Daniela Santanchè con il collega delle Infrastrutture e leader della Lega Matteo Salvini
La legge suddivideva il settore in unità immobiliari ad uso abitativo destinate a contratti di locazione per finalità turistiche, unità immobiliari per locazioni brevi e strutture alberghiere ed extralberghiere. Dal 2 novembre 2024, tutte queste attività avrebbero dovuto disporre del Cin, obbligatorio per garantire la tracciabilità e la conformità agli standard di sicurezza e nuovi requisiti per ottenerlo. Chi affittava più di quattro appartamenti all’anno sarebbe stato considerato imprenditore e avrebbe dovuto presentare una Segnalazione Certificata di Inizio Attività (Scia) al Comune di riferimento.
Affitti brevi, il balletto del Cin
Alla fine tra rinvii e slittamenti, il Cin è entrato in vigore solo a partire dal 1° gennaio 2025, ma non tutte le strutture ne erano ancora in regolare possesso. Al 21 febbraio, inoltre, solo l’83,72% delle strutture (dati del Ministero del Turismo) ne è provvisto: parliamo di 503.290 Cin rilasciati, di cui 8.472 in verifica amministrativa. Una situazione che Santanchè, ad una settimana dall’entrata in vigore, non sembrava troppo preoccupata di sanare. «Nei primi mesi procederemo con verifiche e correzioni insieme alle Regioni. Non vogliamo punire nessuno, ma dialogare per garantire una transizione efficace», aveva dichiarato dopo l’Epifania. Insomma: la norma c’è - ed era difficile tirarsi indietro -, meno forse la volontà di applicarla fino in fondo.
Affitti brevi, non servono mezze misure
Ora il governo (de facto il Ministero del Turismo) sta considerando di impugnare il Testo unico del Turismo della Regione Toscana che - tra le altre cose - punta a mettere una stretta agli affitti brevi. Il motivo? Ancora una volta quella “sacralità della proprietà privata” già evocata un anno e mezzo fa da Salvini e che Federalberghi contesta: «Alla base dell'impugnativa sembra esservi un'estemporanea convinzione secondo cui la sacralità della proprietà privata impedirebbe ogni forma di regolamentazione dell'esercizio delle attività ricettive all'interno delle civili abitazioni, senza peraltro considerare che anche le strutture ricettive alberghiere sono di proprietà privata e meritano adeguata tutela. Tutela che, invece, viene loro negata con il paradossale effetto di favorire il dilagare delle attività abusive e della concorrenza sleale». Senza contare la contraddittorietà nel promuovere un'autonomia differenziata per poi entrare a gamba tesa in ambiti già ad appannaggio delle regioni, come il turismo.

Anche in questo caso, il governo cerca di tenere insieme - in modo un po’ goffo - esigenze diverse. Ad annunci per placare un comparto rilevante come quello del turismo e dell’accoglienza, corrispondono azioni che mirano a mitigare gli effetti di una regolamentazione quanto mai necessaria per gli imprenditori del settore, se non addirittura di segno opposto, alla ricerca di un consenso che si esprime soprattutto nei numeri più ancora che nel “peso” degli stessi. Il tutto unito ad una prudenza eccessiva che sembra tradire la volontà di non assumersi la responsabilità piena delle proprie scelte politiche con il risultato di proporre soluzioni già depotenziate all'origine - quando non ambigue - che non servono ad un comparto che ha bisogno di regole certe ed uguali per tutte per poter prosperare.

Daniela Santanchè è al centro di alcune vicende giudiziarie
In tutto questo si inseriscono anche le vicende giudiziarie che coinvolgono Santanchè, che si muove su un terreno sempre meno solido anche all'interno della maggioranza di governa. In attesa dei prossimi sviluppi processuali, il ministro non può permettersi passi falsi per non aggravare una situazione che vede il proprio posto in Consiglio dei ministri sempre più in bilico. E come se non bastasse, arrivano pure le accuse di aver comprato (e regalato) borse contraffatte. Nel 2014, infatti, secondo quanto riportato dal Fatto Quotidiano, Santanchè regala a Francesca Pascale, allora compagna di Silvio Berlusconi, due borse di lusso Hermes: una Birkin rosa pesca e una Kelly verde militare, quest'ultima dal valore di 18.000 euro. Due anni dopo, la cerniera della Kelly si rompe e Pascale si reca nella boutique Hermes di Milano per farla riparare. Il commesso, dopo averla esaminata, scopre che è contraffatta e, mortificato, glielo comunica. Sebbene non possa ripararla, le permette di tenerla.