Bisogna pagare di più. Così si risolve l’annosa questione delle concessioni balneari. In particolare i canoni demaniali sono troppo bassi. A dirlo, dalle pagine del Corriere della Sera, Flavio Briatore che ammette: «Al demanio abbiamo sempre pagato poco o niente. Credo che lo Stato ricavi meno di cento milioni all’anno». Lui con il suo Twiga, uno dei locali più esclusivi della Costa Smeralda, che lo scorso anno ha fatturato dieci milioni di euro paga, ad esempio, una quota annuale di poche migliaia di euro. Ma, ammette: «Sarebbe giusto che di concessione ne pagassi cinquecentomila». Per ragion di cronaca, c’è da dire che già quattro anni fa, nel pieno delle polemiche sulla maxi-proroga ai balneari, Briatore disse che il canone giusto per il Twiga sarebbe stato di 100mila euro l’anno. Ma il Twiga non è l’unico. Per fare un altro esempio, l’hotel Cala di volpe, della catena Mariott, versa quale canone demaniale 520 euro all’anno… anche se per il pranzo a buffet chiede 250 dollari a persona. E ancora, per fare altri esempi, stando all’ultimo rapporto di Legambiente «nel Comune di Arzachena ci sono 41 stabilimenti balneari con canone annuale inferiore a mille euro, mentre degli altri 23 non esistono dati». E se così in Costa Smeralda, figuriamoci in altri lidi…
Flavio Briatore
Manca una mappa completa
Una questione non da poco, come dice lo stesso Briatore, per cui la soluzione è partire «dal valore della zona, perché una cosa è Catanzaro Mare e un’altra Portofino. Poi farei un tot a ombrellone. A contare gli ombrelloni non è che ci vuole un genio. Pochi mesi e la mappatura si fa».
Già la questione mappatura… per la quale il Governo avrebbe bisogno di tempo. Anche se in molti dicono che di fatto il Portale del mare del Sistema informativo demanio marittimo-Sid e varie banche dati statali hanno già tutto… Ma per Briatore «non è vero. Magari fosse così. Una mappatura seria non c’è».
Briatore: Tutelare le imprese famigliari
Che fare allora? Oltre a far pagare di più, per Briatore: «vanno tutelate il più possibile le famiglie che vivono solo di quella concessione. Per me non dovrebbero neanche fare le aste. Gli altri sì: si fissino criteri e poi si facciano le gare. Criteri seri, però. Se no uno, se vuole, si compra tutti i dintorni. Conosco i miei vicini: quelli del Bagno Piero sono lì dal ’33 e fanno solo quello. Un altro è un commercialista di Milano che non ha mai piantato un ombrellone e affitta la concessione a 200mila euro l’anno. Non va bene».
Il Twiga, continua Briatore «ha 150 dipendenti, è una struttura molto grande... Diciamo invece che l’80% dei bagni è l’unica entrata per la famiglia. Dove tutti lavorano sei mesi, padre, madre, figli, cognati e poi chiudono...».
In pratica per Briatore i concessionari «devono sparire. Sono tizi che a volte hanno avuto decine di anni fa delle concessioni, vai a sapere come, e oggi troppo spesso le sfruttano senza lavorarci e senza produrre niente. Zero».
Molti lidi anche famosi hanno canoni sotto i mille euro all’anno
E lo Sato cosa ci guadagna?
E così tutti ci rimettono. A partire dallo Stato: «Credo che lo Stato ne ricavi cento milioni l’anno...», continua Briatore. Ma probabilmente anche meno…
E, in effetti, guardando la mappa interattiva Flourish coi canoni annui basati sui dati ufficiali forniti dal ministero delle Infrastrutture (anzi, da allora le concessioni sono salite di oltre il 12,5%) c’è da mettersi le mani nei capelli.
Dalla mappa si evince che:
- le zone “gialle” con affitti superiori ai 10mila euro sono rarissime (stiamo parlando di alcuni bagni soprattutto del litorale alto Adriatico, la Riviera ligure e quella toscana;
- i pallini “verdi” (da mille a 5mila euro) si estendono lungo tutta la penisola
- la Sicilia è una moltitudine di pallini viola «dato non disponibile. Canone annuo: 0 euro».
Ma non solo. Come spiega Legambiente, secondo il Sid le concessioni balneari sono pure cresciute: «nel 2019 erano 10.812. Da allora, nonostante il Covid, sono salite ad almeno 12.166. Più quelle delle tre regioni autonome marine: Friuli, Sicilia e Sardegna». In pratica è occupato dai “bagni” quasi il 70% delle spiagge in Liguria, Emilia-Romagna e Campania, e quasi il 90% in luoghi come Pietrasanta, Camaiore, Laigueglia e Diano Marina dove «rimangono liberi solo pochi metri, spesso agli scoli di torrenti in aree inquinate».
Davvero inquietante. Eppure, c’è chi fa meglio. In Francia, ad esempio, c’è una legge che stabilisce che l’80% della superficie della spiaggia deve essere libera da costruzioni per almeno sei mesi all’anno.
Da noi, quindi, è proprio il caso di dirlo che “oltre il danno, c’è la beffa”. Basti pensare, infatti, che secondo il Corriere, ad esempio Roma dovrebbe ricavare dai suoi stabilimenti balneari circa 2,4 milioni di euro all’anno, ma risulta riceverne solo 1,9 milioni. Alassio, in Liguria, dovrebbe ottenere 300mila euro all’anno ma ne incassa solo 25mila.
L’Europa non ci sta
Urge una soluzione. Che se non arriva dall’Italia, arriverà dell’Europa che a febbraio è tornata a strigliare il governo, invitandolo ad applicare la «direttiva Bolkestein» del 2006. Nei giorni scorsi, poi, una sentenza del Consiglio di Stato ha bocciato una nuova proroga delle concessioni balneari, convincendo il governo ad aprire un tavolo interministeriale per affrontare il dossier.
«Lo so che la Lega e Fdl sono molto sensibili sul tema – chiosa Briatore - E non va bene, perché tieni bloccato il sistema. D’altra parte che fai? Ci marciano, però, anche dall’altra parte. Sul reddito di cittadinanza. O no?».