Il tema del Green pass obbligatorio nelle mense ha avuto una serie di effetti a cascata su tutto il mondo del lavoro (e non solo) per certi versi inattesi, ma che vanno doverosamente sviscerati. Detto che rendere obbligatorio il Green pass per mangiare nelle mense è uno degli anelli che costruisce la catena utile ad uscire dalla pandemia, va anche sottolineato che la pecca più grande è la mancanza di una comunicazione chiara e precisa che metta d’accordo tutti. E che non fa altro che continuare a dar fiato a chiacchiere da bar. Sul banco degli imputati, e non potrebbe essere altrimenti, il Governo. Perché la disposizione è arrivata tramite una Faq, una modalità così ufficiosa; eppure, così abusata che ormai sembra essere la normalità.
Il paradosso delle leggi-Faq
Ma le mense stesse, come ha denunciato a Italia a Tavola Carlo Scarsciotti, presidente Angem e portavoce Orion, non ci stanno e muovono la prima critica di questa decisione proprio sulle modalità usate per renderla nota. A Scarsciotti ha fatto eco anche il segretario nazionale della Cgil, Maurizio Landini che al Corriere della Sera ha detto: «Non sono temi che si risolvono con una “faq”. Abbiamo chiesto con Cisl e Uil un incontro ai ministri della Salute e del Lavoro Roberto Speranza e Andrea Orlando con l’obiettivo di mantenere il diritto del servizio mensa per tutti i dipendenti».
Diritto alla mensa o diritto alla salute?
Il diritto del servizio mensa per tutti i dipendenti è l’assist giusto per proseguire nel discorso. Subito una domanda: deve prevalere il diritto del servizio mensa oppure il diritto alla salute di tutti? Come accade quando ci si pone il dubbio su tutela della salute o tutela dell’economia, ogni volta che si torna a parlare di lockdown, la domanda assume i connotati di quella: vuoi più bene al papà o alla mamma? È chiaro che ognuno dei due diritti è centrale, ma in un momento di emergenza come questo la soluzione deve essere drastica e lungimirante. Garantire il servizio mensa a chi non ha il Green pass vorrebbe dire mettere un cerotto momentaneo al problema, “sfamare” i lavoratori affinché possano svolgere il loro servizio al meglio.
Viceversa, impedire la mensa a chi non ha il Green pass significa rendere sicuro al 100% un luogo di lavoro, togliendo possibilità al virus di diffondersi ancora e quindi allontanando l’idea del lockdown e quindi recuperando quella normalità ormai persa da oltre un anno e mezzo che significa tornare a lavorare con costanza, senza casse integrazioni, crisi, licenziamenti, perdita dei posti di lavoro, famiglie normali in coda alle mense dei poveri. Insomma, tutelare la salute pubblica con una scelta che oscura un po’ il diritto alla mensa vuol dire permettere a tutti di continuare a lavorare. Se l’azienda chiude per lockdown o, peggio, per fallimento della mensa non interesserebbe più a nessuno.
I poliziotti milanesi che pranzano al sacco
Il caso dei poliziotti col pranzo al sacco
A questo punto però bisogna valutare con attenzione a quello che succede nel concreto. La foto che ritrae poliziotti milanesi seduti in un muretto, all’aperto, fuori dalla caserma mentre pranzano al sacco con qualche panino e sfruttando una timida ombra degli alberi ha fatto il giro del web. A denunciare la situazione è stato Pasquale Alessandro Griesi, agente brianzolo e segretario provinciale di Milano della Federazione Sindacale della Polizia di Stato. L’immagine è stata vista e duramente commentata anche dal segretario della Lega, Matteo Salvini che ha detto: «Vedere le immagini di alcuni poliziotti non ancora vaccinati, che fanno il turno di notte e si sacrificano e poi sono costretti a mangiare, non in mensa, ma in piedi e sotto il sole a 40 gradi fa male. Obbligare gli agenti senza green pass a non mangiare in mensa è una scelta imbecille».
Chiaro, come contestano entrambi, che un lavoro che richiede un impegno fisico e mentale altissimo non possa essere sostenuto con un pranzo al sacco “faticoso” e poco nutriente. Ma dietro a questa situazione sorge una domanda ben più secca: perché quei poliziotti non hanno il green pass? Perché - precisa lo stesso Griesi - sono oltre il 12% i poliziotti che in Italia non sono vaccinati. E, dunque, perché non sono vaccinati?
Vaccino obbligatorio per i lavoratori
Si apre a questo punto il tema vero e proprio di tutta la discussione: vaccinare tutti i lavoratori, a cominciare dal personale pubblico. I medici sono obbligati, gli insegnanti pure, addirittura chi lavora in bar e ristoranti lo è, sarebbe necessario passare anche ai poliziotti. A questo proposito Landini ha risposto al Corriere: «La nostra Costituzione prevede che l’obbligo di un trattamento sanitario può essere assunto solo con una norma di legge. Credo sia venuto il momento di aprire seriamente questa discussione nel nostro Paese e in Europa. Spetta a governo e Parlamento legiferare. Noi siamo stati i primi a realizzare i protocolli per la sicurezza nei luoghi di lavoro e a prevedere le vaccinazioni in azienda».
Non ammette repliche Federico Visentin, presidente di Federmeccanica secondo cui la soluzione «è in tre punti: obbligo di green pass in tutti gli ambienti di lavoro; nessun obbligo di vaccino, ma costi dei tamponi a carico dei lavoratori; e per chi non accetta non resta che rimanere a casa senza stipendio». La strada - secondo quanto spiega Visentin in una intervista all’Ansa - può essere quella di un aggiornamento del protocollo sulla sicurezza ma «non possiamo permetterci di perdere tempo. Se c’è la volontà va fatto subito»; o serve una posizione del governo che «non lasci dubbi. Posizioni deboli fanno male».
Serve una linea chiara, anche per gli alberghi
Esatto, se la pandemia è il cancro del mondo da febbraio 2020, le posizioni deboli, umorali, volubili del Governo ne sono le metastasi. Nessuno deve ledere i diritti di nessuno, ma al centro deve esserci la tutela della salute. Ed essa non può che passare da scelte drastiche. Le chiacchiere, quelle da bar di cui sopra, sono da azzerare. La scusa per cui “limitare l’accesso alle mense è sbagliato perché tanto i lavoratori vivono a stretto contatto per 8 ore” è sbagliata perché mentre si mangia la mascherina si toglie, l’attenzione cala e i rischi aumentano.
Analogamente andrebbe analizzata anche la questione degli alberghi: perché lì non serve il green pass e si può accedere alle sale da pranzo senza? Non si corre forse lo stesso rischio? E chi arriva da fuori, deve presentare il green pass? Per qualcuno sì, per altri no. Ma anche se fosse sì, con quale sicurezza posso arrivare nel ristorante di un hotel da “non cliente” e sentirmi sicuro a sapere che a un metro da me c’è chi potrebbe essere tranquillamente positivo?
Il Governo dia risposte e scelga linee univoche, che non lascino spazio ad interpretazioni o che non necessitino di Faq infantili. Forse a Palazzo Chigi si teme di perdere consensi, ma non ci si accorge di perderne ancora di più con questa “melina” vessante. Si intraprenda una strada seria e retta. Un consiglio? Si cominci col rendere il green pass obbligatorio anche nelle aule del Parlamento. Sarebbe, finalmente, un modo di comunicare sottile eppure chiarissimo. Primo: il buon esempio.