Il mondo del turismo e della ristorazione è quello più colpito dalla crisi generata dal Covid. Lo conferma anche il rapporto di Confcommercio “La prima grande crisi del terziario di mercato” il quale ha calcolato una perdita del 40,1% nel 2020 rispetto al 2019; dati che risultano essere 8 volte peggiori di quelli registrati nel periodo più buio per il comparto degli ultimi 50 anni ovvero quello subito successivo all'attentato alle Torri Gemelle di New York dell'11 settembre 2001. La crisi è effetto del crollo dei consumi pari a 107 miliardi di euro, accumulati in "solo" quattro settori: abbigliamento, trasporti, tempo libero, alberghi e ristorazione. Il totale ammonta invece a 130 miliardi di euro.
«Per la prima volta nella storia economica del nostro Paese - ha detto il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli - il terziario di mercato subisce una flessione drammaticamente pesante. Occorre, quindi, che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza dedichi maggiore attenzione e maggiori risorse a sostegno del terziario perché senza queste imprese non c’è ricostruzione, non c’è rilancio».
La chiusura dei ristoranti provoca perdite enormi
Il primo crollo del terziario
Il rapporto di Confcommercio parte dal presupposto che fino all’avvento della pandemia, i servizi di mercato hanno continuato a dare il maggior contributo al Pil e all’occupazione del Paese rispetto alla manifattura e all’agricoltura confermando la
terziarizzazione della nostra economia, ma nel 2020 il Covid ha
arrestato questo processo. Per la prima volta dopo venticinque anni di crescita ininterrotta infatti, si riduce la quota di valore aggiunto di questo comparto (-9,6% rispetto al 2019) al cui interno i settori del
commercio, del turismo, dei servizi e dei trasporti arrivano a perdere complessivamente il 13,2%.
Prodotto, occupazione e produttività Come detto e purtroppo
ribadito a più riprese, i maggiori cali si sono registrati nella
filiera turistica (-40,1% per i servizi di
alloggio e
ristorazione), seguita dal settore delle attività artistiche, di intrattenimento e divertimento (-27%) e dai trasporti (-17,1%); ma gli
effetti della pandemia hanno impattato in maniera consistente anche sui consumi con quasi 130 miliardi di spesa persa di cui l’83%, pari a circa 107 miliardi di euro, in soli quattro macro-settori: abbigliamento e calzature, trasporti,
ricreazione, spettacoli e cultura e alberghi e pubblici esercizi. La situazione nel
2021 non sembra poter migliorare di molto visto che i ristoranti sono aperti a singhiozzo ora e non potranno riaprire al 100% fino a data da destinarsi (che per ora sembra essere il 31 luglio), mentre gli alberghi risentiranno di limitazioni ai viaggi
ancora molto rigide.
1,5 milioni di posti di lavoro persi
Inevitabile che il crollo dei consumi ha causato il crollo degli incassi che, a sua volta, ha
costretto gli imprenditori a tagliare il personale. Le conseguenze sull’occupazione sono state per questo devastanti: i servizi di mercato registrano la
perdita di 1,5 milioni di unità su una flessione complessiva di 2,5 milioni dopo aver creato, tra il 1995 e il 2019, quasi 3 milioni di nuovi posti di lavoro; infine, per quanto riguarda l’evoluzione delle imprese per forma giuridica, negli ultimi 10 anni si è registrato un progressivo e costante
spostamento dal modello di ditta individuale a quello di società di capitali rivelando una trasformazione del terziario di mercato da un grande comparto di piccole e piccolissime imprese a un grande comparto costituito sempre più da imprese piccole e medie.
Un rischio per il modello italiano che si è consolidato nel mondo della ristorazione e del turismo con le conduzioni famigliari sempre più messe a dura prova o abbattute e l'arrivo di catene, grandi investitori (spesso stranieri) a sopraggiungere generando squilibri nel mercato e nelle nostre abitudini.
Consumi sul territorio
Alloggio e ristorazione, perdite del 40,1%
Entrando nel dettaglio delle perdite fatte registrare nel terziario emerge che il segmento del commercio, in virtù della tenuta del dettaglio alimentare, ha in una certa misura contenuto le perdite, attestandosi a -7,3%. In doppia cifra, per contro, appare la
contrazione nei trasporti (-17,1%); di eccezionale entità quella registrata nel comparto dei servizi di alloggio e ristorazione (-40,1%), una perdita di prodotto pari ad oltre otto volte quella più grave che si ricordi negli ultimi cinquant’anni per questo specifico settore, in corrispondenza degli impatti negativi sui
flussi turistici successivi all’attentato alle Twin Towers del settembre 2001. La branca più penalizzata subito dopo i settori connessi ai movimenti turistici è risultata quella delle attività artistiche, di intrattenimento e divertimento, il cui
prodotto è diminuito rispetto al 2019 di oltre il 27%.
Variazione dell'occupazioneLe perdite di Pil a valori correnti lo scorso anno sono state pari a poco più di
139 miliardi di euro (-7,8% rispetto al 2019) quasi totalmente a causa del crollo dei consumi interni, inclusa la spesa degli stranieri, che ha raggiunto la cifra di circa 129 miliardi di euro (-11,7%). Le perdite di acquisti di beni e servizi sono concentrate su pochi settori di
importanza capitale nell’economia italiana: vestiario e calzature, servizi di trasporto, ricreazione e cultura, alberghi, bar e ristoranti, fanno contare complessivamente contrazioni dei consumi per circa 107 miliardi di euro, pari all’83% dell’intero calo di questa componente della domanda.
Tante perdite, pochi sostegni
La concentrazione delle perdite di consumi e valore aggiunto su pochi settori appare oggi come un elemento di debolezza del sistema e
giustifica la richiesta di sostegni adeguati a transitare questa parte di tessuto produttivo dalla crisi pandemica al momento della ripresa.
Aiuti che, al contrario, sono arrivati dal Governo con il contagocce in modo confusionario, non omogeneo, tardivo e insufficiente.
Variazione delle forme giuridicheFino al verificarsi della pandemia, che ha quasi azzerato pezzi considerevoli dei servizi market,
il terziario al netto del comparto della Pubblica amministrazione ha rappresentato l’unico canale di sbocco occupazionale in grado di inserire forza lavoro nei suoi processi produttivi, a differenza degli altri segmenti di agricoltura e industria che hanno migliorato il quoziente tra valore aggiunto e unità di lavoro prevalentemente in virtù di una riduzione delle seconde:
tra il 1995 e il 2019, l’agricoltura ha perso 433mila unità di lavoro, l’industria 877mila mentre l’Area Confcommercio ne ha guadagnate 2,9 milioni, determinando l’intera crescita dell’occupazione del sistema economico (+1,5 milioni circa).