Riaprire i locali, anche a cena in zona gialla (dove ad ora l'apertura è consentita fino alle 18) e almeno a pranzo in zona arancione dove fino ad ora invece il Dpcm impedisce l'apertura della sala. Questa è la richiesta che la Fipe con Fiepet ha avanzato nei giorni scorsi al ministro per lo sviluppo economico Stefano Patuanelli ottenendo almeno la promessa di una valutazione. Il Cts la sta facendo e molto probabilmente arriverà un responso nella giornata di venerdì. Sarebbe una boccata d'ossigeno portentosa oltre ad un segnale forte e chiaro di... apertura da parte di tecnici e istituzioni nei confronti di un settore colpito dalla crisi e ostacolato con miopia dai vari decreti.
Voglia di tornare al ristorante
Italiani vogliosi di tornare al ristorante
L'attesa non è tuttavia solo dei ristoratori, ma anche degli italiani clienti. Cresce a dismisura la voglia di tornare a godere dei piaceri della tavola al ristorante e quella di gustare un buon caffè, comodamente seduti al bar. Ovviamente nel rispetto delle misure di distanziamento e sicurezza sanitaria.
È quanto emerge da un sondaggio realizzato dall’istituto di ricerca Ixé, che ha domandato agli italiani quali siano le attività prioritarie da riaprire. È davvero straordinario che ristoranti e bar vengano subito dopo la scuola, che è al primo posto di questa graduatoria. Dunque, per il 41% degli intervistati l’urgenza è quella di rimettere in moto in maniera continuativa i ristoranti, mentre per i bar la percentuale è leggermente più bassa. A seguire palestre, cinema e teatri, musei e impianti sciistici. D’altra parte stiamo parlando di tutte attività che sono chiuse da molto tempo.
«Questi dati – sottolinea la Fipe-Confcommercio, Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi – testimoniano l’importanza che la ristorazione riveste nella quotidianità delle persone, anche come occasione per recuperare un po' di qualità della vita dopo 11 mesi di forte sofferenza. Gli italiani sono alla ricerca di luoghi dove stare insieme in sicurezza. L’osservatorio dell’istituto Ixé, infatti, ci dice che l’89% degli italiani è ancora preoccupato per la pandemia da Coronavirus e che c’è un 40% di persone che si dice fortemente preoccupato. Eppure per quasi un italiano su due non vi è alcuna contraddizione tra questa preoccupazione e la possibilità di riaprire i ristoranti. Segno che questi sono percepiti come luoghi sicuri. Noi stiamo lavorando in maniera serrata con il Cts proprio per rafforzare le misure di sicurezza sanitaria per avventori e dipendenti e chiediamo dunque di poter riaprire al più presto».
Unionbirrai si unisce all'appello di Fipe e Fiepet al Mise per le riaperture
Sul tema ci è tornata anche Tutela Nazionale Imprese che ha sottolineato le tremila cessazioni di attività della ristorazione in Toscana, un centinaio nella provincia fiorentina. Da aprile a settembre 2020, sul comune di Firenze, hanno cessato l'attività 28 ristoranti. A lanciare ancora una volta l'allarme è Pasquale Naccari, portavoce di Tni Italia – Tutela Nazionale Imprese e presidente di Ristoratori Toscana. «I nostri ristoranti – afferma – sono luoghi sicuri e sono i numeri dei casi giornalieri a evidenziarlo: nelle regioni che si trovano in zona gialla, quelle in cui i locali sono stati aperti a pranzo, i dati epidemiologici sono stazionari o in lieve diminuzione. In Toscana da un mese i nostri ristoranti sono aperti a pranzo e, nonostante il periodo natalizio e le festività, il numero dei contagi non aumenta. Questo vuol dire che non siamo noi i responsabili dell'impennata di casi».
In Toscana i ristoranti sono stati aperti a pranzo il 20 dicembre, il 7 e l'8 gennaio e poi continuativamente dall'11 gennaio. Secondo i dati diffusi dalla Regione Toscana, il 20 dicembre nella regione si contavano 12.806 positivi, 1.150 ricoverati, di cui 187 in terapia intensiva. Ieri, 28 gennaio, i positivi erano 8.647, con un calo di quasi il 32,5%, 772 i ricoverati e 100 i pazienti in terapia intensiva.
«Ribadiamo la necessità, come abbiamo già fatto nelle precedenti lettere inviate ai ministeri di competenza e alla presidenza del Consiglio, di aprire i nostri ristoranti anche a cena, rispettando le stesse norme di capienza e di sicurezza. Nessuna polemica, sia chiaro. La nostra – prosegue Naccari – è una richiesta di aiuto, un appello alla sensibilità. Anche perché abbiamo dimostrato di essere una categoria che rispetta le regole, altrimenti, se non lo avessimo fatto, i contagi sarebbero saliti. I ristori non stanno arrivando o nel migliore dei casi sono briciole: è necessario quindi aprire immediatamente i nostri ristoranti. Il nostro appello va a tutte le forze politiche. Gli esponenti di tutti i partiti oggi dovrebbero dare un segnale di amore e di unione, verso la patria e il tessuto economico e sociale mettendo al centro delle proprie priorità l'interesse collettivo che non ha né colore né bandiera, approvando immediatamente il decreto ristori Quinquies, che oggi è diventato vitale per la nostra categoria. A tutti chiediamo – è l'appello del presidente – di sostenere la nostra battaglia e farci aprire. E' l'unico modo per vedere la luce in fondo al tunnel».
Una battaglia condivisaIn linea con quanto proposto dalle due associazioni datoriali dei pubblici esercizi, si è schierata anche Unionbirrai che punta a ottenere la condivisione di un
piano che conduca alla riapertura in
sicurezza dei locali. Le proposte sul tavolo non mancano e ricalcano quelle
espresse da Fipe e Fiepet durante l'incontro con il ministro Patuanelli del 18 gennaio. La sigla dei piccoli birrifici, in particolare, intende sostenere la necessità di una
riapertura anche graduale, purché stabile e in grado di garantire l’effettiva possibilità di lavoro ai pubblici esercizi. Le limitazioni a cui sono sottoposti i locali, infatti, si ripercuotono inevitabilmente sulla produzione della
birra artigianale, prodotto caratterizzato nella maggior parte dei casi una
shelf life estremamente ridotta, che a differenza dell’
industria identifica il suo mercato di vendita quasi esclusivamente in pub e ristoranti, avendo solo in maniera minima sbocco commerciale nella grande distribuzione.
Antigianalità vs. grande distribuzione«Riaprire in sicurezza significherebbe dare una
spinta per la ripartenza ad un’intera rete», ha commentato
Vittorio Ferraris, direttore generale Unionbirrai. «La crisi dei pubblici esercizi è strettamente collegata a quella della birra artigianale, che seguendo principi di
filiera corta e territorialità si esprime maggiormente nei canali commerciali tipicamente legati a quelli della
somministrazione», ha proseguito Ferraris. Alcune limitazioni, come ad esempio il divieto di asporto dopo le 18, hanno di fatto solo spostato l’acquisto di bevande (e il rischio assembramenti) verso la grande distribuzione. Per non confondere i canali «da tempo ci stiamo battendo affinché piccoli
birrifici indipendenti e industrie siano identificati da
codici Ateco differenti e, in condivisione con le altre associazioni direttamente coinvolte nella filiera, riteniamo favorevole il superamento del criterio legato ai codici Ateco per identificare la platea di beneficiari di ristori», ha concluso Ferraris.
L'incontroSu questi temi si è svolto un incontro con il segretario nazionale di Confesercenti
Mauro Bussoni e il direttore di Confesercenti Emilia-Romagna
Marco Pasi, nel corso del quale si è avuto modo di constatare l’opportunità di condividere azioni e strategie utili a superare la delicata fase di crisi del settore
Horeca. «Per questi motivi - hanno sottolineato i rappresentanti di Confesercenti nel corso dell’incontro - i nostri sforzi sono ora orientati principalmente a garantire l’effettiva possibilità di lavoro a 300mila imprese che, negli ultimi 12 mesi, hanno registrato circa 38 miliardi di euro di perdita di fatturato, e a eliminare le prescrizioni che prevedono
il blocco delle attività, anche lavorando, come è stato sottolineato da Fiepet e Fipe al Comitato tecnico scientifico, per implementare i protocolli sanitari tutt’ora vigenti»