Scendere in piazza come ultima spiaggia. Per far capire alle istituzioni che il piatto piange e adesso la musica per il mondo della ristorazione è finita per davvero. È l'ultima mossa delle associazioni di categoria con in testa la Fipe, la Federazione italiana dei pubblici esercizi che aveva già messo nero su bianco i suggerimenti per salvare il comparto: ora si vuole per l'ennesima volta accendere un riflettore sulla situazione economica disperata del comparto per colpa del coronavirus e delle conseguenti restrizioni decise dal governo, poi inasprite dalle Regioni. L'appuntamento è per mercoledì 28 ottobre alle 11.30, quando i gestori dei locali sono pronti a occupare contemporaneamente le piazze di 10 città italiane capoluoghi di regione - Firenze, Milano, Roma, Verona, Trento, Torino, Bologna, Napoli, Cagliari, Palermo – oltre a Bergamo, simbolo della crisi innescata dal Covid-19. Per avere dalla politica una risposta concreta, mentre il premier Giuseppe Conte si è limitato ancora a un generico impegno su «misure di sostegno mirate». Basterà?
Bar e ristoranti in piazza in 10 città d'Italia il 28 ottobre contro le restrizioni
A MAGGIO SEDIE VUOTE ALL'ARCO DELLA PACE DI MILANO
La manifestazione sarà un evento decisamente più ampio e articolato delle inziiative sporadiche andate in scena a maggio, quando ad esempio a Milano le sedie vuote all'Arco della pace avevano dato una plastica rappresentazione delle paure dei gestori, che temevano di aprire i locali ma vederli vuoti.
La protesta di maggio a Milano
BRUXELLES OSPITÒ IL "CIMITERO DEI CUOCHI"
Mentre negli stessi giorni a Bruxelles un migliaio di cuochi organizzò un'iniziativa spettacolare, mettendo per terra le giacche da lavoro in modo da mostrare la disperazione delle aziende in crisi nera e senza aiuti nella gran parte dei Paesi di tutta Europa. Dopo oltre cinque mesi siamo ancora allo stesso punto di non ritorno.
La manifestazione degli chef a Bruxelles, a maggio
I NUOVI CASI E QUELL'EFFETTO PSICOLOGICO NEGATIVO
Ora, in piena seconda ondata, gli ultimi provvedimenti per il contenimento del contagio stanno mettendo definitivamente in ginocchio i pubblici esercizi. Non soltanto i ristoranti, svuotati dall’effetto psicologico negativo determinato dall’impennata di nuovi casi, ma anche i bar, i locali di intrattenimento e le imprese di catering e banqueting, impossibilitati a lavorare a causa delle restrizioni sugli orari di apertura e sui partecipanti a eventi e matrimoni.
PRIMA DEL COVID FATTURATO PESANTE: 90 MILIARDI L'ANNO
Obiettivo: ricordare i valori economici e sociali della categoria, che occupa oltre 1 milione e 200mila addetti, e chiedere alla politica di intervenire in maniera decisa e concreta per salvaguardare un tessuto di 340mila imprese che prima del Covid-19 nel nostro Paese generava un fatturato di oltre 90 miliardi di euro ogni anno.
OK L'EMERGENZA, MA SI RISCHIA ANCHE LA PSICOSI DI MASSA
La Fipe ha spiegato di «comprendere l’emergenza sanitaria e la gravità del momento, ma è impensabile che l’unica ricetta proposta per contrastare la pandemia sia quella di chiudere tutto o di generare una psicosi di massa. Coniugare sicurezza e lavoro è possibile e deve essere l’obiettivo principale del governo e della politica tutta. In questi mesi gli imprenditori della ristorazione e dell’intrattenimento hanno investito tanto in sanificazioni, dispositivi di protezione per lavoratori e clienti e misure di sicurezza all’avanguardia. Sono stati fatti sacrifici importanti, con senso di responsabilità e attenzione al bene comune, siglando protocolli e rispettando le regole. Questo mondo chiede con forza con forza la possibilità di sopravvivere. In assenza di aiuti economici purtroppo queste imprese soccomberanno. Sicuramente a fine anno chiuderanno 50mila imprese, con oltre 350mila addetti che perderanno il posto di lavoro». E aspetto, da non dimenticare, non si segnalano focolai nei pubblici esercizi.
SENZA RISTORANTI SI SPENGONO ANCHE LUCI, INSEGNE E SOCIALITÀ
Infine una richiesta: e cioè «scelte più mirate, di sostegno ai settori maggiormente in crisi come quello della ristorazione e dell’intrattenimento, non si può lasciare gli imprenditori e i lavoratori da soli di fronte a questo momento drammatico per la categoria. Così facendo si chiuderanno anche le città con meno luci, meno insegne, meno socialità e meno qualità della vita. Dobbiamo fare presto, servono risposte concrete e servono subito». E per ricordarlo questa volta si scende in piazza.
NON E’ QUESTA LA RISPOSTA RESPONSABILE ALLA VOGLIA DI STARE INSIEME’
«Le nuove regole ancora più restrittive del Dpcm 18 ottobre mettono in ginocchio tante aziende. Non riusciamo davvero a capire perché il governo si ostini a considerarci un problema quando invece potremmo essere una risposta responsabile alla voglia di socialità – così conclude il vicepresidente della Fipe, Aldo Cursano - Eppure, consapevoli della gravità della pandemia, con tanti sacrifici abbiamo investito tempo e denaro nella messa in sicurezza dei nostri locali e nella formazione degli addetti. Tutto pur di riaprire e garantire ai clienti la massima tranquillità. È impensabile che l’unica ricetta proposta per contrastare la pandemia sia quella di chiudere tutto o di generare una psicosi di massa. Coniugare sicurezza e lavoro è possibile e deve essere l’obiettivo principale del governo e della politica tutta. La cosa più drammatica è che così facendo si chiuderanno anche le città con meno luci, meno insegne, meno socialità e meno qualità della vita. Dobbiamo fare presto, servono risposte concrete e servono subito».