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La parabola di Eataly: dalla geniale idea al flop finanziario?

Il gruppo di ristorazione e food retail fondato da Oscar Farinetti registra una perdita nel 2022 di 25,8 milioni. Sembra che, tolti i fasti iniziali, Eataly sia rimasto solo un semplice ristorante - mercato troppo costoso. Disastro anche per Fico Eataly World, la Disneyland del cibo a Bologna che Farinetti sta tentando disperatamente di rilanciare

29 giugno 2023 | 12:54
[La parabola di Eataly]: dalla geniale idea al flop finanziario?
[La parabola di Eataly]: dalla geniale idea al flop finanziario?

La parabola di Eataly: dalla geniale idea al flop finanziario?

Il gruppo di ristorazione e food retail fondato da Oscar Farinetti registra una perdita nel 2022 di 25,8 milioni. Sembra che, tolti i fasti iniziali, Eataly sia rimasto solo un semplice ristorante - mercato troppo costoso. Disastro anche per Fico Eataly World, la Disneyland del cibo a Bologna che Farinetti sta tentando disperatamente di rilanciare

29 giugno 2023 | 12:54
 

Doveva essere un successo annunciato, ma ora si sta trasformando in un vero e proprio flop. Questa, in sintesi, potrebbe essere l’amara parabola di Eataly, la catena di food e ristorazione fondata da Oscar Farinetti e comprata per il 52% dal finanziere Andrea Bonomi. Eataly, oggi presente nel mondo con 45 negozi, infatti, non sta dando i risultati sperati, registrando una perdita nel 2022 di 25,8 milioni. E questo fa abbastanza impressione visto che ricordiamo tutti nel 2007 le file di torinesi e di turisti gourmet in arrivo da tutta Italia che aspettava pazienti di entrare nell’ex storica fabbrica di liquori della Carpano, sede del primo Eataly, per comprare le specialità delle regioni italiane o per visitare la caverna del piano interrato dove scoprivano i salumi delle meraviglie. Poi le aperture in pompa magna in tutto il mondo: dagli Stati Uniti al Giappone, dalla Svezia alla Germania, dalla Turchia alla Francia, dalla Corea del Sud agli Emirati Arabi, dal Qatar all’Arabia Saudita… Senza contare i nuovi store italiani. Ma forse, per come stanno andando le cose, sembra proprio, che tolti i fasti iniziali, Eataly sia rimasto solo un semplice ristorante - mercato, ahimè, troppo costoso, soprattutto al giorno d’oggi.

[La parabola di Eataly]: dalla geniale idea al flop finanziario?

Eataly sprofonda nei debiti

Eataly continua accumulare debiti

Come dicevamo, infatti, qualcosa non ha funzionato: l’esercizio 2022 è stato chiuso nella parte civilistica con un rosso di 25,8 milioni di euro, peggiore di quello di 22,1 milioni del precedente bilancio. Il disavanzo è stato riportato a nuovo e così le perdite accumulate e finora non ripianate sono arrivate a 70 milioni, a fronte, però, di un patrimonio netto di 58,7 milioni.

Non bene nemmeno per i numeri del consolidato in quanto il rosso anno su anno diminuisce da 31,2 a 28,6 milioni e ciò anche se i ricavi sono saliti da 462 a 601 milioni e l’ebitda è stato di 25,5 milioni. Il gruppo, da dicembre guidato dal nuovo amministratore delegato Andrea Cipolloni, a maggio del 2022 è stato finanziato dai soci per 15 milioni.

Eataly, dall’idea geniale al flop?

Insomma, numeri che già da qualche anno fanno pensare che qualcosa non stia andando come tutti si sarebbero aspettati. E che un’idea geniale, bisogna riconoscerlo, di Farinetti, lo era più sulla carta che non nella realtà.

[La parabola di Eataly]: dalla geniale idea al flop finanziario?

Oscar Farinetti

Certo, forse, di errori di valutazione non sono mancati: pensiamo ad esempio a Eataly Bari, aperto nel 2013, credendo nel progetto di rilancio dell’area della Fiera del Levante, che ha poi, infatti, chiuso i battenti nel 2021. Il colpo di grazia di Eataly Bari (come per quello di Forlì) è stato certamente la decisione della zona rossa e le restrizioni della pandemia ma le criticità c’erano già prima del Covid. Più che altro, pensiamoci, al sud Italia, in particolare, un format come Eataly, ovvero un mercato dall’atmosfera familiare di prodotti del territorio, piccoli e raffinati, con prezzi da ristorante di lusso, non è un controsenso e di certo economicamente non sostenibile?

[La parabola di Eataly]: dalla geniale idea al flop finanziario?

Fico Eataly World, la Disneyland del cibo firmata Coop e Oscar Farinetti

Il disastro di Fico Eataly World e i dubbi su Green Pea

Stessa “sorte” per Fico Eataly World, la Disneyland del cibo firmata Coop e Oscar Farinetti, costruita in un’ex area industriale di Bologna con grandi obiettivi e aspettative per il territorio e il made in Italy, e mai decollato: ogni anno il bilancio di Fico si chiude con perdite che vanno dai 2 ai 3 milioni di euro. Ora Farinetti, che ne ha preso in mano la gestione al 100%, tenta il tutto per tutto pur rilanciare il luna park del cibo. Ma la domanda sorge spontanea: non è che anche Fico sia più un format più da città americana che in Italia?

E che dire di Green Pea, ultimo progetto imprenditoriale di Oscar Farinetti e primo centro commerciale al mondo dedicato al rispetto per il Pianeta, nato a Torino nel 2020: non un disastro come Fico e nemmeno come Eataly, ma a tre anni di distanza non sembra convincere a pieno. Al 31 dicembre 2020, con meno di un mese di attività, il Green Pea realizzava un fatturato di quasi 979mila euro, per una perdita di 41.577 euro. Il primo vero bilancio annuale riguarda il 2021, e riporta un giro d’affari di oltre 6,66 milioni di euro. Con un risultato ancora in perdita (-11.473 euro), ma in miglioramento.

[La parabola di Eataly]: dalla geniale idea al flop finanziario?

Green Pea, primo centro commerciale al mondo dedicato al rispetto per il Pianeta

Dopo l'estate cambierà assetto sociale e gestione di Eataly

Dopo l’estate, come detto,  l’azienda passerà di mano. Investindustrial, la società di investimenti di Andrea Bonomi, rileverà il 52% della catena di ristorazione e food retail. L’operazione prevede un aumento di capitale di 200 milioni e un concomitante acquisto (per una somma non resa nota) da parte di Investindustrial di una parte delle quote detenute dagli azionisti esistenti, per portare la società di private equity a detenere la maggioranza. Al closing, Investindustrial controllerà il 52% del capitale, mentre i soci storici Eatinvest (famiglia Farinetti), la famiglia Baffigo / Miroglio e Clubitaly (Tamburi Investment Partners) possiederanno complessivamente il restante 48% del capitale.

Quindi che dire, al di là dei progetti imprenditoriali o meno, di privati o statti (leggi liceo del Made in Italy), forse è il caso che si rifletta meglio su come promuovere e valorizzare il Made in Italy in Italia e all’estero (turismo compreso).

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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05/07/2023 16:00:17
4) Equità
Spiegatemi perché quello che vende Eataly anche se è costoso va bene ,e invece quello che vende Briatore non va bene?
Giorgio Ferrari

05/07/2023 15:58:55
3) 39031
Io ci ho pranzato una sola volta, a Genova, e non posso lamentarmi della qualità del cibo, Leggo qui sotto di "lusso alimentare" e non mi ritrovo, perchè appunto ho mangiato bene, ma non certo di lusso si può parlare... In un'altra città del nord non ci sono neppure entrato in quanto investiti da un "profumo di cibo" non molto gradevole!
UGO BELLO'

30/06/2023 15:20:07
2) PREZZI ALTI E QUALITA' SCADENTE
Tutto l'articolo punta sui prezzi alti, come se fossero stati l'unica causa del flop di FICO ed EATALY. Ma guardiamo anche la qualità! E mi chiedo se il giornalista ci abbia mai cenato. ( io sì, a Bologna) In tanti sono anche disposti a pagare un po' di più in un contesto trendy, ma, se non c'è qualità, non ci si ritorna neppure gratis. Inoltre, Fico, sì, carino per una passeggiatina, ma tutti quei negozietti sembrano l'angolo delle specialità che trovi in aeroporto. Nulla di particolarmente affascinante. Un mix tra ristorazione e supermercato con parcheggio a pagamento
anita sgobba

30/06/2023 10:46:35
1) Eataly
Sembra che il problema siano i prezzi alti, è evidente che il lusso alimentare non è una proposta popolare e quindi il target di clienti non esiste numericamente...i ricchi che si possono permettere spese fuori misura e dall'altra parte il resto della popolazione, e tutto questo fa si che i numeri non reggano, altrimenti come si spiegherebbe il boom degli outlet e supermercati?
Sergio Ferrari



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