Vietato adagiarsi sugli allori. Dovrebbe essere questo il mantra per l’Italia del vino che sul mercato statunitense si ritrova a ruota i cugini francesi: 1.099 miliardi a 1.091 miliardi di euro nei primi 8 mesi di 2017. Ad evidenziarlo sono dati dell’Osservatorio paesi terzi analizzati poi da Business Strategies.
«Gli Stati Uniti non sono assolutamente un mercato maturo per il vino - ha detto il ceo
Silvana Ballotta - e la Francia lo sta dimostrando mentre l'Italia purtroppo no. Mentre i nostri strumenti di promozione vanno a rilento affossati da burocrazie e incertezze, quelli transalpini, che sulla carta sarebbero gli stessi, funzionano benissimo e il risultato è che dopo 16 anni i francesi ci hanno agganciato nel primo mercato al mondo, recuperando in 8 mesi oltre 130 milioni di euro».
Il dato - evidenzia l’Osservatorio - è il risultato di un boom di vendite transalpine nel periodo considerato (+18,9%) e allo stesso tempo di un incremento debole rispetto al mercato del prodotto made in Italy (+4%), che equivale alla metà della crescita media delle importazioni di vino negli Usa (+8,6%) e a 1/4 rispetto al risultato francese. E se in volume la domanda di vino italiano si conferma quasi doppia, il principale competitor risponde con la stessa proporzione sul fronte del valore, con prezzo medio fissato a 9,7 euro al litro, contro i 4,9 euro dei vini italiani. Un percorso parallelo che secondo l’analisi è caratterizzato da molti distinguo: sugli imbottigliati fermi, ad esempio, il primato italiano è più evidente e al contempo più in sofferenza, con 881 milioni di euro di merce importata contro 706 milioni di euro ma con un incremento notevolmente più debole rispetto a Parigi (2,2% contro 20,6%). Diverso il discorso sugli spumanti, dove il Belpaese si difende meglio dalla supremazia transalpina (377 milioni contro 201 milioni di euro) e limita parzialmente il gap con una crescita dell’11,8%, a fronte di un +15,3 dello champagne.
«Quest’anno la domanda di vino è in grande crescita - ha aggiunto Silvana Ballotta - ma noi ne approfittiamo meno di tutti i principali paesi produttori. L’export italiano nel mondo infatti aumenta in valore del 7,1%, ma c’è poco da festeggiare se si osservano le performance dei competitor, a partire da Francia, Australia e Nuova Zelanda che registrano incrementi delle vendite in doppia cifra. Serve perciò un cambio di marcia sui tempi e sulle modalità di gestione degli strumenti promozionali a nostra disposizione, perché le quote perdute sono difficili da recuperare».