La denominazione “birra” secondo la giurisdizione italiana è riservata al prodotto ottenuto dalla fermentazione alcolica con ceppi di Saccharomyces Carlsbergenis o di Saccharomyces Cerevisae di un mosto preparato con malto, anche torrefatto, di orzo o di frumento o di loro miscele e d’acqua amaricato con luppolo o suo derivato o con entrambi. Il malto d’orzo o di frumento può essere sostituito con altri cereali, anche rotti o macinati o sotto forma di fiocchi, nonché con materie prime amidacee e zuccherine nella misura massima del 40% calcolato sull’estratto secco del mosto.
In Italia è possibile quindi classificare la birra considerando solo il grado saccarometrico e non altri aspetti legati alla produzione. Nel dettaglio, esistono solo cinque modi per classificare le birre prodotte e/o commercializzate in Italia:
Denominazione
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Grado saccarometrico
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% alcol
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Birra analcolica
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da 3 a 8
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< 1,2%
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Birra light
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da 5 a 10,5
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da 1,2 a 3,5%
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Birra
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> 10,5
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da 3,6 a 5,4%
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Birra speciale
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> 12,5
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da 5,5 a 5,9%
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Birra doppio malto
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> 14,5
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> 6%
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Si specifica che non esiste un rapporto diretto tra il grado saccarometrico e la percentuale di alcol in volume. Una regola empirica, non scritta, definisce tale equazione in questo modo: la percentuale di alcol in volume è da 1/2 a 1/3 del grado saccarometrico.
La classificazione commerciale avviene invece seguendo altri parametri e si basa sull’immagine con cui il prodotto si immette sul mercato. Abbiamo quindi birre da “
Prezzo” (birra di bassa immagine), birre “
Standard” (l’immagine è consolidata), birre “
Premium” (sono marchi trasversali, ossia prodotti presenti dagli scaffali alla Super Horeca), birre “
Super Premium” (birre ad altissima immagine con presenza quasi esclusiva nel medio-alto Horeca e Super Horeca) e le “
Specialità” (birre che si differenziano dalle altre categorie commerciali per un’intrinseca diversità e qualità di produzione).