A distanza di appena un anno dalla denuncia della vendita di wine kit per produrre falso vino a danno dei vini italiani più prestigiosi, che ha provocato l’intervento dell’Interpol per fermare il commercio in Europa, i furbetti del “vino in polvere” si sono attrezzati per sfuggire alle leggi cambiando semplicemente e fantasiosamente i nomi e così il Barolo è diventato Barollo, il Brunello di Montalcino ora si chiama Montecino, il Valpolicella divenuto Vinoncella, mentre il nuovo nome del Chianti è Cantia che suona molto simile con la pronuncia inglese.
Lo ha denunciato la Coldiretti al Vinitaly di Verona dove nel proprio stand nel Centro Servizi Arena - nel corridoio tra i padiglioni 6 e 7 sono stati esposti gli esempi più eclatanti degli espedienti messi in atto per dribblare le normative vigenti a danno delle produzioni italiane che sono tuttora in vendita in Gran Bretagna.
L’annunciato blocco delle vendite in Gran Bretagna, lo scorso 17 luglio, dall’allora ministro delle Politiche agricole Nunzia De Girolamo, a seguito della positiva azione dell’Interpol, sollecitata dalle autorità nazionali, non ha avuto purtroppo il risultato sperato, secondo l’antico adagio popolare “fatta le legge trovato l’inganno”. In questo caso l’inganno è globale con le ditte produttrici che si trovano negli Usa ed in Canada, ma anche in Svezia dove i wine kit che dichiarano di ottenere in soli 5 giorni, in casa, Lambrusco, Gewurztraminer, Frascati, Sangiovese o Primitivo, sono stati venduti addirittura con i marchi Cantina e Doc’s.
La situazione non è migliorata neanche fuori dall’Unione Europea dove uno dei più grandi produttori di wine kit si trova in Canada e, con i marchi California Connoisseur, KenRidge, Cellar Craft, European Select, vende kit di Verdicchio, Chianti, Barolo, Amarone, Valpolicella ai quali - denuncia la Coldiretti - si è limitato ad aggiungere semplicemente l’aggettivo “style”. La società che produce wine kit fa capo al secondo produttore canadese di vino Andrew Peller Limited Errore, che in passato ha anche esposto i propri vini al Vinitaly.
È preoccupante notare che la falsificazione continui a prosperare in un Paese come il Canada con cui la Commissione europea ha recentemente raggiunto un accordo politico sugli elementi chiave dell’Accordo economico commerciale globale (noto anche con l’acronimo in inglese Ceta) per dirimere le controversie in corso sulla tutela delle denominazioni, dai salumi ai formaggi.
«L’Italia - ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo - non può tollerare che nell’Unione europea del rigore nei conti si permetta che almeno venti milioni di bottiglie di pseudo vino siano ottenuti da polveri miracolose contenute in wine-kit che promettono in pochi giorni di ottenere le etichette più prestigiose. È necessario stringere le maglie larghe di una legislazione per fermare uno scempio intollerabile che mette a rischio con l’inganno l’immagine e la credibilità dei nostri vini più prestigiosi conquistata nel tempo grazie agli sforzi fatti per la valorizzazione di un prodotto che esprime qualità, tradizione, cultura e territorio».
Il problema non è legato solo all’utilizzo delle pregiate denominazioni del Belpaese poiché in base alla normativa europea del vino, non è possibile aggiungere acqua nel vino o nei mosti. La definizione europea del vino non contempla l’aggiunta di acqua come peraltro consentito in altri stati del nuovo mondo (Sud Africa) che continuano a richiedere alla Ue di autorizzare tale pratica per favorire le loro esportazioni. Anche per questo il commercio dei wine kit su tutto il territorio europeo andrebbe vietato.
La cantina dell’orrore
Dal Bordolino nella versione bianco e rosso con tanto di bandiera tricolore al Meersecco, ma ci sono anche il Barbera bianco prodotto in Romania e il Chianti fatto in California, il Marsala sudamericano e quello statunitense e il Kressecco tedesco nella cantina dell'orrore allestita dalla Coldiretti nel proprio stand al Vinitaly, per denunciare nuovi e incredibili casi di contraffazioni e imitazioni dei nostri vini e liquori più prestigiosi che complessivamente provocano perdite stimabili in circa un miliardo di euro sui mercati mondiali alle produzioni Made in Italy.
La falsificazione colpisce anche i liquori nazionali più prestigiosi come dimostrano il Fernet Veneto e quello Capri rigorosamente made in Argentina esposti nell'occasione dalla Coldiretti.
«La stagnazione dei consumi interni - afferma Roberto Moncalvo - insieme alla crescita dei mercati esteri, rende più urgente l'intervento delle Istituzioni per tutelare le esportazioni di vino made in Italy di fronte ai numerosi tentativi di banalizzazione delle produzioni nazionali. Oltre alla perdita economica, a preoccupare è soprattutto il danno di immagine che provocano tra i consumatori emergenti dove non si è ancora affermata la cultura del vino».
Se l'Italia resta saldamente il maggior esportatore di vino nel mondo, dove quasi una bottiglia scambiata su cinque è made in Italy, crescono parallelamente i casi di contraffazione a conferma del fatto che il vino italiano è il più amato, ma anche il più imitato all'estero dove sono molte diffuse "copie" che mettono a rischio l'immagine del prodotto e le opportunità di penetrazione dei mercati.