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È meglio pesarsi sulla bilancia o misurare l’indice di massa corporea?

Secondo la rivista “Science” persone con un alto indice di massa corporea possono essere più sane di soggetti magri. Sotto accusa è lo stesso indice che non tiene conto della differenza tra massa muscolare e massa grassa

 
26 ottobre 2013 | 14:45

È meglio pesarsi sulla bilancia o misurare l’indice di massa corporea?

Secondo la rivista “Science” persone con un alto indice di massa corporea possono essere più sane di soggetti magri. Sotto accusa è lo stesso indice che non tiene conto della differenza tra massa muscolare e massa grassa

26 ottobre 2013 | 14:45
 

Una ricerca condotta dai Centers for Disease Control and Prevention su quasi 3 milioni di americani mette in luce come in media le persone sovrappeso vivano più a lungo di quelle in linea. Sembra paradossale, ma diventa più plausibile se si considera come si arriva ad affermare che un soggetto è in “sovrappeso”. L’obesità è comunque un fattore di rischio per la salute, ma ora si tende a puntare il dito contro il modo con cui questa obesità, o sovrappeso, viene calcolata: attraverso l’indice di massa corporea (Bmi).

A questo proposito, Valeria Leone su Humanitasalute.it ha intervistato Daniela Lucini, professore associato all’Università degli Studi di Milano e responsabile della sezione di Medicina dell’Esercizio e patologie funzionali in Humanitas. Da un punto di vista clinico, spiega la professoressa, il valore del Bmi era già stato messo in dubbio: ha senso nel valutare gruppi di popolazione per particolari studi, ma per il singolo individuo non è appropriato. L’indice di massa corporea si calcola dividendo peso per statura al quadrato, espressa in metri. Non tiene però conto dei fattori determinanti un dato peso che non necessariamente deriva da un aumento di massa grassa, ma che può anche provenire da un incremento di massa muscolare, in soggetti per esempio che si dedicano costantemente all’attività fisica.

L’importanza della circonferenza vita
Per determinare il rischio cardiovascolare o metabolico è meglio ricorrere alla circonferenza vita, i cui valori di riferimento sono diversi per uomini e donne. Negli uomini una circonferenza vita minore di 94 va bene, tra 94 e 102 merita attenzione, mentre oltre 102 evidenzia un rischio; nelle donne invece oltre 88 rappresenta un rischio cardio-metabolico, tra 80 e 88 accende un campanello d’allarme, al di sotto di 80 non crea problemi. Questo semplice valore si rivela molto importante e funzionale: un aumento della circonferenza vita è determinato prevalentemente da un aumento di massa grassa non solo a livello sottocutaneo, ma anche viscerale. Molti studi inoltre hanno dimostrato come questo si associ a un reale aumento del rischio per moltissime patologie (cardiovascolari, metaboliche, oncologiche, ecc).

Il peso non è tutto
Uno studio pubblicato su Science aggiunge un altro dettaglio molto interessante: persone con un BMI alto (quindi ritenute in sovrappeso, ma magari semplicemente con una massa muscolare maggiore) ma fisicamente attive erano più sane di soggetti grassi o magri ma sedentari. Inoltre diventa essenziale anche tenere presente il quadro metabolico (livelli di colesterolo, trigliceridi, glicemia, insulina, ecc). È il cosiddetto paradosso americano del “fat and fit”: non conta solo il peso, ma anche lo stile di vita e in particolare quanto ci si dedica all’attività fisica. Fare movimento, infatti riduce la massa grassa e aumenta quella magra, migliora il profilo metabolico, immunologico e neurovegetativo. Occorre comunque eseguire attività in modo adeguato a seconda delle proprie caratteristiche cliniche e obiettivi.

La valutazione dello stato fisico di una persona deve tenere conto molto di più che non solo del peso e statura, bensì di diversi parametri: sicuramente la circonferenza vita e alcuni parametri metabolici (bastano semplici esami del sangue), utili poi anche altri parametri più specialistici come la percentuale di massa grassa e quella di massa muscolare (per farlo è sufficiente sottoporre il paziente a un test impedenziometrico che, pur avendo limiti, è in grado di fornire utili informazioni) e la quantificazione dello stato di allenamento fisico (calcolando con appositi test il consumo di ossigeno durante l’esecuzione di un esercizio fisico massimale).

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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