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Da un acino verde fino alla maturazione nasce il vino Burson, rosso e granato

Il vino Burson, nelle varianti Etichetta Blu ed Etichetta Nera del consorzio di Bagnacavallo, nasce grazie alla felice intuizione di Antonio Longanesi, che raccolse un'uva dall'acino verde e la vinificò. Fu un successo

di Mariella Morosi
 
26 settembre 2013 | 14:52

Da un acino verde fino alla maturazione nasce il vino Burson, rosso e granato

Il vino Burson, nelle varianti Etichetta Blu ed Etichetta Nera del consorzio di Bagnacavallo, nasce grazie alla felice intuizione di Antonio Longanesi, che raccolse un'uva dall'acino verde e la vinificò. Fu un successo

di Mariella Morosi
26 settembre 2013 | 14:52
 

Antonio LonganesiIntuire le potenzialità di un grappolo nato chissà come da una vite sconosciuta allacciata al tronco di una quercia e creare un grande vino. Lo ha fatto Antonio Longanesi (nella foto) detto Toni, protagonista di questa storia romagnola cominciata più di mezzo secolo fa. Vivacissimo 94enne, dopo una vita nei campi non si nega la partitina all’osteria con gli amici.

E ci va in bicicletta senza dimenticare un boccione del suo Burson. Siamo a Bagnacavallo (Ra), nella frazione di Boncellino, proprio dove nacque quel brigante Pelloni passato alla storia come il Passator Cortese. Un giorno il Toni notò, al limitare del suo campo, un'unica vite, nata per caso, che dava grappoli lunghi e compatti che attiravano gli uccelli: una pacchia per i cacciatori.

Non gli sfuggì il particolare che quell’uva affrontava integra l'avanzare del freddo senza marcire, subendo al massimo un leggero appassimento. Un acino poi restava verde fino alla completa maturazione. All'assaggio poi non era male, gradevole e dolcissima. Contro il parere di tutti la raccolse e la vinificò, con risultati stupefacenti. Di fronte ai soliti vini di 8-9 gradi, il suo ne segnava 14, tanto che ritenne rotto il glucometro, facendosene prestare un altro dai vicini.

Fu solo l'inizio: da allora innestò ostinatamente le marze di quell’unico esemplare, donandole anche a parenti e amici. Il nuovo vitigno, battezzato dalla gente “uva Bursona” dal soprannome della famiglia Longanesi che era Burson (tutti da queste parti ne hanno uno). Non è cosa da poco legare il proprio nome a un vino che si è poi dimostrato di successo, ma in Romagna, a gente semplice e tenace, anche una storia come questa sembra normale.

Il successo tuttavia ha i suoi tempi, e per 30 anni il frutto della Bursona fu utilizzato da tutti per alzare la gradazione di altri vini. Solo Toni Longanesi ostinatamente continuava a vinificarlo in purezza e farlo assaggiare in giro, forte delle sue convinzioni e del suo vigneto, ormai esteso a mezz’ettaro. Essenziale fu la collaborazione con l’enologo Sergio Ragazzini, anima dell’attuale consorzio, Il Bagnacavallo, nato nel 1999 con appena 5 produttori e 78 bottiglie.

Oggi i produttori sono 31 e le bottiglie 70mila. Gli aspetti tecnici di questo robusto rosso di pianura sono strettamente legati a quelli storici e culturali. Il vino Burson oltre che buono era illegale, perché nato da un’uva non riconosciuta. Un passaggio obbligato fu l’escamotage di farla passare per Negretto o Nerina, presente in zona dalla notte dei tempi anche se in estinzione, fino a quando arrivò il riconoscimento ufficiale con l’iscrizione al registro delle varietà dopo il controllo effettuato dall'istituto di San Michele all’Adige.

Oggi, pur eccellenza di nicchia per i numeri contenuti, è un vitigno tutelato. Viene allevato in limitati appezzamenti ma l’interesse perso questo prodotto in due versioni, Etichetta Blu ed Etichetta Nera, è cresciuto ben al di là di Bagnacavallo. La Blu, di pronta beva, prevede acciaio e botte grande per 7-8 mesi poi 6 mesi di affinamento in bottiglia, mentre per la Nera la raccolta avviene in due tempi perché si lasciano appassire le uve in pianta.

Poi acciaio, 12 mesi in botte di rovere e altri 12 in botti grandi da 30 quintali. Ma quest’uva Longanesi o Bursona custodisce anche un altro segreto, comportandosi in modo singolare. Segnala infatti lo stato della sua maturazione con un acino verde brillante, uno solo, che spicca sul bruno intenso degli altri. Solo quando scurisce l’uva è veramente matura. Mario Fregoni, che ha studiato a lungo questa bizzarra uva, ne ha dato una spiegazione scientifica puntando sulla maturità dei vinaccioli.

Resta però il mistero - e in fondo ci piace mantenerlo- di quell’unico acino-sentinella che dialoga col vignaiolo. Il convegno “Alla ricerca dell’acino verde” svoltosi a Bagnacavallo in collaborazione con la Regione Emilia Romagna, il comune e la testata Olio, Vino e Peperoncino, ha messo a fuoco tutti gli aspetti e le prospettive di questa storia enologica con la partecipazione, oltre che di Mario Fregoni, degli enologi Sergio Ragazzini e Marisa Fontana, del maestro sommelier Alessandro Scorzone e del giornalista Giuseppe Sangiorgi.

«In Italia - ha detto Fregoni - abbiamo il più alto numero di varietà autoctone, più di qualsiasi altro Paese del mondo. Dobbiamo salvarle dall’estinzione, studiare i loro geni perché resistano alle malattie e alle difficoltà come i cambiamenti climatici. Ma per esaltare il legame del vino con il territorio dove ha avuto origine si deve cambiare strategia e puntare ai cru, come fanno da tempo i francesi. Mentre nel mondo il nome della varietà non è protetta, lo è invece la denominazione. Per far capire al consumatore dove ci troviamo in etichetta andrebbe indicata prima la denominazione e poi la varietà».

Un appassionato elogio alla diversità e la condanna all’omologazione del gusto sono venuti anche da Alessandro Scorzone, mentre l’enologa Marisa Fontana ha scavato nella storia per rintracciare gli antenati del Burson, fino ad arrivare a Carlo Morbio che nel 1837 definiva la città di Bagnacavallo “abbondante di vino”. L’impegno del consorzio per tutelare e promuovere questa eccellenza è stato raccontato da Sergio Ragazzini e, come sempre, sono stati chiamati in causa i ristoratori che dovrebbero proporlo con le specialità romagnole, perché qui bere un calice è anche fare un viaggio tra tradizioni e buon cibo.

Il consorzio nato anche per la valorizzazioni delle tipicità, è anche punto di riferimento per l’economia e la cultura locale e strumento di integrazione tra attività produttive e turismo. Attivissimo anche nella comunicazione, ha indetto tra le iniziative promozionali il concorso “A che punto siamo”, proprio per sottolineare la continua evoluzione del Burson nella produzione, nel gusto e nel mercato. Quest’anno è stato vinto dalla Tenuta L’Uccellina.

Con l’uva Longanesi si fanno anche lo Spumante Rosè Brut, il Passito Rosso e la Grappa, con o senza barricatura. Quale futuro per questo vino rosso granato, dai profumi intensi, fragranze floreali e fruttate con tannini importanti ma equilibrati? Ha ben affrontato importanti degustazioni con blasonati come Amarone, Brunello o Aglianico, ma non si affermerà con grandi numeri. Che senso avrebbe esportarlo in altri territori? E poi è meglio restare piccoli in un mondo tappezzato di vigneti dove è proprio l’unicità a vincere.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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