Nel 2013 sono aumentati del 26% gli allarmi alimentari in Italia dove quello del cibo low cost è l’unico settore a registrare un aumento delle vendite per effetto della crisi. È quanto emerge dal primo dossier sui “Rischi dei cibi low cost” presentato dalla Coldiretti a Bruxelles, dal quale si evidenzia nel primo trimestre dell’anno un balzo record nel numero di notifiche nazionali al sistema di allerta comunitario per la prevenzione dei rischi alimentari, rispetto allo stesso periodo di 5 anni fa, prima dell’inizio della crisi. A differenza di quanto è accaduto per tutti gli altri settori dall’abbigliamento alle automobili, in cui gli italiani hanno rinunciato agli acquisti, per l’alimentare, che va in tavola tutti i giorni, questo non è possibile, almeno oltre un certo limite, ma si è verificato un sensibile spostamento verso i prodotti a basso costo per cercare comunque di risparmiare.
Nel primo trimestre del 2013 le vendite sono aumentate solo nei discount alimentari che hanno fatto segnare un incremento del 2% mentre sono risultate in calo tutte le altre forme distributive fisse al dettaglio. Una tendenza frutto del cambiamento dei consumi delle famiglie italiane che per gli alimentari e bevande nel 2012 sono scesi a 117 miliardi, con un calo del 6,3% dal 2008. Una storica inversione di tendenza provocata dall’aumento degli acquisti di “cibo low cost” con oltre sei famiglie italiane su dieci (62,3%) che hanno tagliato quantità e qualità degli alimenti privilegiando nell’acquisto prodotti offerti spesso a prezzi troppo bassi per essere sinceri, che rischiano di avere un impatto sulla salute.
«Dietro questi prodotti spesso si nascondono infatti ricette modificate, l’uso di ingredienti di minore qualità o metodi di produzione alternativi», ha affermato il presidente della Coldiretti, Sergio Marini, nel sottolineare che «verificare sempre gli ingredienti e la provenienza in etichetta, preferire l’acquisto di prodotti freschi o comunque poco elaborati e che non devono aver subito lunghi trasporti, diffidare dei prodotti che costano troppo poco come certi extravergini che non coprono neanche il costo della raccolta, sono alcuni dei consigli da seguire».
In Ue 8 allarmi su 10 da cibi extracomunitari
L’80% degli allarmi alimentari è stato provocato da prodotti a basso costo provenienti da Paesi fuori dall’Unione europea. Nel 2012, in base al sistema di allerta comunitario per la prevenzione dei rischi alimentari, a salire sul podio sono stati nell’ordine la Cina, l’India e la Turchia. Nazioni dalle quali provengono ingredienti e alimenti che possono essere offerti a basso prezzo anche per le diverse regole sanitarie e ambientali in vigore, oltre che per lo sfruttamento della manodopera. La relazione sul sistema di allerta rapido sui rischi alimentari nell’Unione europa ha registrato allarmi sull’importazione di nocciole e pistacchi dalla Turchia, contaminati per la presenza di muffe e aflatossine e spesso utilizzati per snack low cost.
Ma nel 2012 sono anche aumentate del 38% le importazioni in Italia di miele naturale dalla Cina per un totale di 1,7 milioni di chili, a fronte di una produzione nazionale stimata in 8 milioni di chili. Dopo che la scoperta di antibiotici nella produzione cinese aveva di fatto azzerato gli arrivi in Europa adesso un nuovo allarme riguarda il rischio della contaminazione da organismi geneticamente modificati (Ogm) che non sono autorizzati nel Vecchio Continente. Un problema che riguarda pure il riso importato dalla Cina, ma anche dagli Usa che ha aumentato l’export verso l’Italia del 12% nel 2012, dopo che nel passato era scoppiato lo scandalo dell’importazione illegale in tutto il mondo di riso geneticamente modificato non autorizzato.
Se si vanno poi ad analizzare i singoli paesi, l’ultimo Rapporto annuale sui residui dei pesticidi negli alimenti elaborato dall’Efsa (Agenzia europea per la sicurezza alimentare) evidenzia risultati particolarmente negativi per il pepe indiano (irregolare il 59% dei casi), per il pomodoro cinese (irregolare il 41%), per le arance egiziane (irregolare il 26%), per l’aglio argentino (irregolare il 25%) e per le pere slovene (irregolare il 25%). La maggioranza del succo di arancia consumato in Europa poi proviene dal Brasile sotto forma di concentrato al quale viene aggiunta acqua una volta arrivato nello stabilimento di produzione, a differenza di quanto avviene per la spremuta. Nel 2012 gli Stati Uniti hanno bloccato le importazioni di succo di arancia concentrato proveniente dal Brasile, a causa di residui sugli agrumi di un antiparassitario, il carbendazim, vietato negli Stati Uniti, ma anche in Europa.
«Se l’Europa vuole difendere la salute dei propri cittadini, e tutelare l’ambiente e il territorio comunitario deve investire sulla propria agricoltura», ha affermato Sergio Marini nel sottolineare che «la politica agricola è l’unica politica veramente integrata dell’Unione Europea e occorre far si che con la riforma si premi chi lavora e vive di agricoltura, chi produce in modo sostenibile, chi produce cibo. Una esigenza per l’Italia dove occorre un piano strategico nazionale per aumentare del 10%, entro 5 anni, la copertura del fabbisogno alimentare nazionale, anche con politiche di salvaguardia del suolo agricolo e delle risorse naturali».
Dieta mediterranea a rischio
Secondo l’ultimo Rapporto annuale sui residui dei pesticidi negli alimenti elaborato dall’ Efsa, l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare, nei prodotti alimentari provenienti da Paesi extracomunitari sono stati individuati residui chimici sopra il limite nel 7,9% dei campioni, una percentuale di oltre cinque volte superiore a quella dei prodotti dell’Unione Europea, dove gli “irregolari” sono l’1,5%, e ben 26 volte superiore a quelli italiani dove appena lo 0,3% dei campioni è risultato contaminato oltre i limiti di legge. La produzione alimentare Made in Italy è la più sicura a livello planetario per quello che riguarda la presenza di residui chimici irregolari. Tuttavia l’Italia importa dall’estero circa il 25% del proprio fabbisogno alimentare e il flusso riguarda anche prodotti fuori stagione per le quali la produzione nazionale sarebbe sufficiente.
Sono infatti quasi 227 milioni i chili di frutta e verdura giunti nel 2012 in Italia dall’Africa: dai fagiolini del Marocco (irregolari nel 15% dei casi) alle fragole etiopi (irregolari nel 16% dei casi), ai piselli del Kenya (irregolari nel 38% dei casi) o ancora i peperoni dell’Uganda (irregolari addirittura nel 48% dei casi). In quattro bottiglie di olio extravergine su cinque in vendita in Italia è praticamente illeggibile la provenienza delle olive impiegate, nonostante sia obbligatorio indicarla per legge in etichetta dal primo luglio 2009, in base al Regolamento comunitario N.182 del 6 marzo 2009. Il rischio è che olio importato dalla Tunisia, con un minor contenuto di antiossidanti, venga spacciato per italiano.
Sulle confezioni è praticamente impossibile, nella stragrande maggioranza dei casi, leggere le scritte “miscele di oli di oliva comunitari”, “miscele di oli di oliva non comunitari” o “miscele di oli di oliva comunitari e non comunitari” obbligatorie per legge nelle etichette dell’olio di oliva. Inoltre spesso bottiglie con extravergine ottenuto da olive straniere sono vendute con marchi italiani e riportano con grande evidenza immagini, frasi o nomi fortemente ingannevoli che richiamano all’italianità. In alcuni biscotti e merendine low cost ingredienti di qualità come l’olio extravergine di oliva e il burro, sono spesso sostituiti da grassi di bassa qualità e di basso prezzo come l’olio di palma e l’olio di cocco, spesso utilizzati in forma idrogenata. Accanto al pane artigianale venduto nei forni in Italia si assiste all’arrivo di milioni di chilogrammi di impasti semicotti, surgelati, con una durata di 24 mesi, grazie ad additivi e conservanti, provenienti dall’est europeo, destinati ad essere poi cotti e diventare pane nelle strutture commerciali a basso costo. Peraltro oltre la metà del grano duro utilizzato nella produzione di pasta in Italia è importato da Paesi dove si registrano spesso problemi di aflatossine che hanno anche portato a sequestri di importanti partite di prodotto.
La crisi porta a cercare di contenere i costi risparmiando sull’ingrediente base la cui origine non è purtroppo obbligatorio indicare in etichetta. Nell’Unione Europea è possibile acquistare pseudo vino ottenuto da polveri miracolose contenute in wine-kit che promettono in pochi giorni di ottenere le etichette più prestigiose come Chianti, Valpolicella, Frascati, Primitivo, Gewurztraminer, Barolo, Verdicchio, Lambrusco o Montepulciano. È sconvolgente che anche in Europa siano stati addirittura aperti degli stabilimenti di lavorazione come in Svezia dove opera una fabbrica a Lindome, vicino a Goteborg, che produce e distribuisce in tutto il continente, e del tutto indisturbata, oltre 140mila wine kit all’anno dai quali si ottengono circa 4,2 milioni di bottiglie. I wine kit della società Vinland vengono venduti con i marchi Cantina e Doc’s che fanno esplicito riferimento alla produzione italiana, ma anche ad un marchio di qualità tutelato dall’Unione Europea, e promettono in soli 5 giorni di ottenere in casa imitazioni dei vini italiani più noti per i quali vengono addirittura fornite le etichette da apporre sulle bottiglie.
Raddoppia import falsi prodotti tipici low cost
I rischi del low cost riguardano anche le imitazioni dei nostri prodotti più tipici come il parmigiano Reggiano e il Grana Padano che soffrono la concorrenza sleale dei similgrana le cui importazioni in Italia sono raddoppiate negli ultimi 10 anni. Le importazioni italiane di formaggi duri di latte bovino non Dop hanno raggiunto i 27,3 milioni di chili nel 2012, con un aumento dell’88% in dieci anni. I similgrana sono arrivati in Italia soprattutto dall’Europa a partire dalla Germania (8,3 milioni di chili) e dalla Repubblica Ceca (8,1 milioni di chili) anche se in forte crescita risulta essere l’Ungheria dalla quale sono giunti ben 2,7 milioni di chili, pari al 10% del totale delle importazioni. Ma volumi addirittura superiori di questi formaggi, che spesso hanno anche una assonanza fonetica con quelli nazionali, sono purtroppo destinati a Paesi diversi dall’Italia, in Europa e fuori, togliendo spazio di mercato al Parmigiano e al Grana.
Si tratta di formaggi di diversa origine e qualità che non devono rispettare i rigidi disciplinari di produzione approvati dall’Unione Europea. Il rischio è che vengano scambiati dai consumatori come prodotti Made in Italy perché vengono spesso utilizzati nomi, immagini e forme che richiamano all’italianità, ma anche perché appare il bollo Ce con la “IT” di Italia se il formaggio viene semplicemente confezionato in Italia. Un problema analogo riguarda i prosciutti che in quattro casi su cinque tra quelli venduti in Italia provengono da maiali allevati in Olanda, Danimarca, Francia, Germania, Spagna senza che questo venga chiaramente indicato in etichetta e con l’uso di indicazioni fuorvianti come “nostrano” che ingannano il consumatore sulla reale origine. Il problema riguarda sia il prosciutto crudo che quello cotto, per il quale si stima la provenienza straniera del coscio in una percentuale superiore al 90%.
Le caratteristiche di questi prodotti sono profondamente diverse da quelli a denominazione di origine come il Parma e il San Daniele che sono ottenuti da allevamenti italiani regolamentati sulla base di rigidi disciplinari di produzione approvati dall’Unione Europea. Almeno una mozzarella su quattro tra quelle in commercio non è stata realizzata a partire direttamente dal latte, ma da cagliate straniere, anche se non è obbligatorio indicarlo in etichetta. Ogni anno decine di milioni di chili di cagliate provenienti soprattutto da Lituania, Ungheria, Polonia e Germania diventano mozzarelle Made in Italy, dietro il nome di marchi con nomi italiani, ma nessuno lo sa perché non è obbligatorio riportarlo in etichetta. Oltre ad ingannare i consumatori, si tratta di una concorrenza sleale nei confronti dei produttori che utilizzano esclusivamente latte fresco, perché rispetto alla mozzarella genuina fatta dal latte quella “tarocca” costa attorno alla metà e può essere venduta sullo scaffale a prezzi molto bassi.
«Per questo occorre recuperare al più presto i ritardi accumulati nel rendere applicativo un sistema di etichettatura trasparente che consenta di far riconoscere la reale origine degli alimenti», ha affermato il presidente della Coldiretti nel sottolineare che «purtroppo dobbiamo constatare che spesso in Europa i gruppi di pressione vincono nei confronti degli interessi dei cittadini».
Da 9 italiani su 10 sì ai dazi “salva Made in Italy”
Più di nove italiani su dieci (91%) si dicono favorevoli all’introduzione dei dazi alle importazioni per difendere le produzioni italiane e salvare i posti di lavoro. È quanto emerge da un sondaggio online condotto dalla Coldiretti e divulgato in occasione della presentazione a Bruxelles del dossier sui “Rischi dei cibi low cost”. Oltre un terzo degli italiani (34%) è favorevole ai dazi per tutti i prodotti provenienti da fuori dell’Italia mentre il 29% solo per le merci che provengono da paesi che non rispettano norme sul lavoro, sull’ambiente e sulla salute simili a quelle nazionali. Inoltre il 15% li chiede solo sui prodotti “spacciati” per Made in Italy, ma fatti all’estero e il 13% per tutti i prodotti provenienti da Paesi extracomunitari.
«Se quella dei dazi è una proposta provocatoria è anche vero che esprime un “sentiment” diffuso nei confronti della difesa dell’identità territoriale delle produzioni e della necessità di investire sui valori distintivi del territorio», ha affermato il presidente Marini. «Nell’agroalimentare occorre intervenire subito per garantire la trasparenza delle informazioni con l’obbligo di indicare la provenienza in etichetta per dare la possibilità ai consumatori di fare scelte di acquisto consapevoli». La crescente attenzione alla difesa del tessuto produttivo legato al territorio nazionale è confermata dal crescente numero di italiani che acquista prodotti locali anche per favorire l’economia e l’occupazione in un difficile momento di crisi.
Le trappole del cibo low cost
Mozzarella
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Una mozzarella su quattro non è realizzata con il latte ma partendo da cagliate straniere spesso provenienti dall’Est europeo
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Limoni
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Proviene dall’Argentina quasi la metà dell’import sul quale sono stati riscontrati problemi di trattamenti chimici
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Similgrana
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Raddoppiate le importazioni in Italia di imitazioni del Parmigiano reggiano e il Grana Padano Dop che non rispettano però i rigidi disciplinari
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Wine kit
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Promettono prestigiosi vini italiani ottenuti da polveri miracolose. 140.000 confezioni vengono addirittura realizzate in una fabbrica svedese
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Pomodori
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Nel 2012 sono stati importati in Italia 85 milioni di chili di pomodori “irregolari” per presenza di residui chimici, conservati in fusti che vengono rilavorati e diventano concentrato o sughi miracolosamente italiani.
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Aglio
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Nel 25% dei casi quello argentino che giunge in Italia è irregolare per la presenza di residui chimici
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Extravergine d’oliva
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In quattro bottiglie di olio extravergine su cinque in vendita in Italia è praticamente illeggibile la provenienza delle olive impiegate
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Nocciole
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Vi sono allarmi per l’importazione in Italia di nocciole e pistacchi dalla Turchia contaminati per la presenza di muffe e aflatossine
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Miele
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Nel 2012 sono aumentate del 38% le importazioni di miele naturale dalla Cina. L’Ue ha lanciato un allarme sul rischio di contaminazione da organismi geneticamente modificati
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Prosciutto cotto
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Il 90% dei cosci venduti in Italia provengono da animali provenienti da Olanda, Danimarca, Francia, Germania e Spagna senza che questo venga indicato in etichetta
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Riso
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In Italia nel 2012 sono aumentate del 12% le importazioni di riso dagli Stati Uniti: rischio Ogm
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Pane
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In Italia arriva un flusso di milioni di chilogrammi di impasti semicotti, surgelati, con una durata di 24 mesi, grazie ad additivi e conservanti, provenienti dall’Est europeo
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Pasta
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Oltre la metà del grano duro utilizzato nella produzione di pasta è di importazione, con problemi di aflatossine
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Succo d’arancia
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Nel corso del 2012 sono stati importati in Italia quasi un milione di chili di succo d’arancia dal Brasile. Problemi per la presenza dell’antiparassitario carbendazim
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Fonte: Dossier Coldiretti su “I rischi del cibo low cost”