C’era una volta... Potrebbe iniziare così la storia di ogni vitigno autoctono del nostro Paese, perché sono unici ed irripetibili, perché la loro origine è antica, perché il loro cuore è legato a miti e leggende e perché parlano il dialetto del territorio. Siamo nella pianura ravennate, terra del trebbiano e degli alberi da frutto sparsi tra le vigne, precisamente a Boncellino, frazione di Bagnacavallo, dove nacque quel brigante cortese, Stefano Pelloni detto il Passatore, e proprio qui abita la famiglia Longanesi che conserva l’antico vitigno autoctono, l’uva Bursona.
Questo vitigno è stato scoperto in tempi relativamente recenti attorno agli anni ’20 nel podere acquistato dalla famiglia Longanesi. La vite era abbarbicata ad una quercia vicino ad un capanno da caccia e fungeva da richiamo per gli uccelli da passo. Storicamente potrebbe essere uno dei vitigni coltivati tra i fiumi Senio e Lamone, citati da autori classici latini, che si è mantenuto attraverso i secoli grazie alla sua rusticità e alla conformazione dei grappoli composti da piccoli acini dalla buccia spessa resistenti alle malattie fungine.
Questa vite sconosciuta incuriosì Angelo Longanesi per la dolcezza e la capacità di rimanere sana fino a tardo autunno, così verso gli anni ‘50 iniziò a fare alcuni innesti e attese la prima uva. Già dalle prime vinificazioni la gradazione alcolica del vino ottenuto raggiungeva risultati eccezionali difficili da ottnere nella pianura romagnola. La nascita del Bursôn come vino, il cui nome deriva dal patronimico dialettale che identifica la famiglia Longanesi, risale al 1998 quando alcuni produttori decidono di vinificare un grande rosso in pianura. Oggi se ne producono circa 80mila bottiglie nelle province di Ravenna, Forli-Cesena e Bologna ed è il fiore all’occhiello del Consorzio Il Bagnacavallo che dal 1999 valorizza i prodotti del territorio.
L’uva Longanesi è stata iscritta al registro nazionale delle varietà di vite dal 2000, inizialmente era ritenuta un biotipo di Negretto (o Negrettino) uno tra i vitigni autoctoni meno conosciuti dell’Emilia-Romagna, oggi è una varietà originale, non riconducibile a nessuna altra uva presente in catalogo e non assimilabile al Sangiovese, risultato confermato dalle analisi del dna eseguite nel 2002 dall’Istituto Agrario di S. Michele all’Adige.
Il vino ottenuto, Bursôn, dalla vendemmia del 2007 è un Igt ed è regolamentato da un disciplinare che ne prevede due tipologie: etichetta blu che caratterizza un prodotto di pronta beva di un bel colore rosso-violaceo con sentori di viola e frutti a bacca rossa; etichetta nera, più strutturato, prodotto con un 50% di uve appassite in fruttaio con un periodo di invecchiamento maggiore che si arricchisce di aromi di vaniglia e spezie. Un vino che ha bisogno di tempo per essere apprezzato al meglio.