La mattanza è la fase finale della pesca del tonno che si pratica con le tonnare, un complesso di reti che si cala in mare verso i primi di maggio e vi resta fino al mese di giugno. è suddivisa in camere che sono disposte in fila e comunicano tra di loro per mezzo di porte, costituite anch'esse da pezzi di rete. Il tonno ripetendo di anno in anno sempre lo stesso percorso finisce per trovarsi dentro le camere. Quando il rais ( il capo della tonnara ) ritiene che il numero di tonni presente sia sufficiente, e se le condizioni meteorologiche sono favorevoli, da le istruzioni necessarie perché i tonni vengano "indotti" ad entrare nella camera della morte dove restano intrappolati.
I tonnarotti, che stanno sulle barche disposte lungo i quattro lati della camera, al comando del rais tirano su la rete. I tonni man mano che gli viene a mancare l'acqua si dibattono, urtano violentemente tra loro, si feriscono. Quando sono ormai sfiniti li aspettano i "crocchi", i micidiali uncini dei tonnarotti montati su degli argani che servono per agganciare i pesci e issarli sulle barche.
La mattanza è uno spettacolo sanguinoso e crudele, il mare si tinge di rosso, sembra un campo di battaglia e richiama una tradizione antica di secoli che fa parte della cultura e della vita di Carloforte. è' al tempo stesso emozionante, ed è per questo che gli spettatori non mancano, anzi di anno in anno si fanno sempre più numerosi, arrivando da quei luoghi dove la lotta per la sopravvivenza sembra essere un ricordo di tempi lontani.
Dopo la parte in mare si svolge poi quella, non meno pesante e cruenta, del trasporto a terra (sul vascello), della pesatura e poi della macellazione perché ogni parte del tonno, opportunamente selezionata, non venga sprecata e venga destinata al consumo fresco,a quello dopo inscatolamento od essicazione (per le varie parti più prelibate, dal cuore alle uova (con cui si fa la bottarga).
La preghiera dei tonnarotti
Quando il sole cominciava ad apparire all'orizzonte, liberando gli uomini dal freddo dovuto alla forzata immobilità, il rais si alzava in piedi invitando la ciurma alla preghiera, mentre le bastarde erano già allineate davanti alla porta del canepo.
Era affascinante vedere quegli uomini, le spalle possenti, le mani indurite dal lavoro, lo sguardo avido e attento, alzarsi impacciati, cavarsi i berretti, pronti a ripetere le invocazioni che erano la testimonianza di una storia antica, più antica della vita stessa del paese. Figure oggi sostituite da giovani che di dedicano a questa attività per un mese e mezzo al massimo l'anno.
La preghiera iniziava con un "Ave" alla Madonna e un "Credo" allo Spirito Santo. Seguivano poi sette "Pater" dedicati a:
S. Antoniu- Cu ne desbarasse u camin e cu n'asciste in te nostre operasuin (S. Antonio che ci liberi il cammino e che ci assista nelle nostre operazioni).
S. Giorgiu- Cu ne libere dai pesci cattii ( S. Giorgio che ci liberi dai pesci cattivi).
S. Gaitan- Cu ne mande da Pruvvidensa (S. Gaetano che ci mandi della Provvidenza).
Il coro rispondeva <> (no che ha i pidocchi. Il riferimento era per due poveracci del paese di nome Gaetano e questa risposta era considerata un amuleto).
S. Pe'- Cu ne mande na bugna pesca (S. Pietro che ci mandi una buona pesca).
La preghiera terminava con un "Pater" per le anime del Purgatorio e uno per i Santi protettori.
Ultimata la preghiera il rais pronunciava il rituale "in nome de Diu molla!" e si calavano le "leve" (porta delle camere).