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A Milano si butta il pane in pattumiera Oltre 5mila quintali ogni mese

Secondo i fornai del capoluogo lombardo nessuno lo vuole, neanche i proprietari dei canili. Distribuirlo o grattugiarlo non conviene. E così Milano butta via ogni giorno 180 quintali di pane. Nemmeno le associazioni di volontariato trovano conveniente raccoglierlo. Si producono troppe varietà

 
03 gennaio 2010 | 17:13

A Milano si butta il pane in pattumiera Oltre 5mila quintali ogni mese

Secondo i fornai del capoluogo lombardo nessuno lo vuole, neanche i proprietari dei canili. Distribuirlo o grattugiarlo non conviene. E così Milano butta via ogni giorno 180 quintali di pane. Nemmeno le associazioni di volontariato trovano conveniente raccoglierlo. Si producono troppe varietà

03 gennaio 2010 | 17:13
 

Milano potrebbe soffocare sotto una montagna di pane che nessuno mangia, tanto che stima in 5.250 i quintali il quantitativo di quello buttato ogni mese, poco meno di 180 quintali al giorno che finiscono in pattumiera: quattro etti di pane buttati ogni mese da ogni milanese. Ipotizzando livelli di spreco uguali nel resto del Paese, in Italia sarebbero 24.230 le tonnellate di pane che finiscono nella spazzatura. Secondo quanto racconta al Corriere della sera Stefano Fugazza, a capo dei panificatori dell'Unione artigiani di Milano, aderente alla Claai (Confederazione delle libere associazioni artigiane italiane), il problma è delle troppe varietà che si producono oggi. «Con questo modo di lavorare l'invenduto aumenta a dismisura», tira le somme Fugazza.

«In media resta sugli scaffali il dieci per cento del pane prodotto. Difficile scendere sotto questa percentuale », fa il punto Gaetano Pergamo, direttore del settore alimentare di Confesercenti. La Claai stima tra i tre e sette chili il pane invenduto ogni giorno in ciascuna delle 500 panetterie milanesi. Il che vuol dire che si arriva anche a 750 quintali di pane buttato al mese in città. Buttato? Ma non lo si potrebbe distribuire a famiglie in difficoltà o associazioni di volontariato? «Macché - risponde Fugazza -. Il nostro pane a fine serata non interessa più nessuno. Lo abbiamo proposto persino ai canili, ma andrebbe integrato con altri alimenti, e così la preparazione del cibo costerebbe troppo in termini di manodopera». Il pane avanzato non può nemmeno essere rivenduto grattugiato il giorno dopo perché ci sono regole rigide da rispettare: controllo del grado di umidità, confezioni, etichettature. Insomma, non ne vale la pena. Le grandi associazioni del volontariato spiegano così il paradosso del pane buttato.

«Attrezzarsi con un furgoncino per andare a raccogliere ogni sera quel che resta ai panettieri comporterebbe uno sforzo e un costo considerevoli», fa notare Pier Maria Ferrario, a capo di Pane quotidiano, associazione che a Milano garantisce pasti a 660mila persone l'anno. «I 2mila quintali di pane che abbiamo distribuito nel 2009 ci sono stati garantiti da Panem, un grande marchio della distribuzione industriale». Naturalmente il problema riguarda anche i supermercati.

La scena si ripete di frequente a ridosso della chiusura: grandi sacchi neri vengono riempiti con il pane avanzato. Interpellate, molte insegne tra le più note glissano. «Risolviamo il problema cercando di produrre esattamente quello che va consumato - assicurano alla Coop -. Un accurato monitoraggio dei consumi consente di ridurre gli sprechi». Altri grandi marchi (che, però, preferiscono non essere citati) puntano sulla cessione del pane a produttori di mangimi. Una strada, questa, per nulla scontata.

«Il fatto è che non si possono mescolare diversi tipi di pane perché i mangimi devono mantenere determinati valori nutrizionali - spiega Antonio Marinoni, presidente dei panificatori milanesi aderenti a Confcommercio -. E così, in teoria, prima del conferimento ai consorzi bisognerebbe dividere il pane comune da quello all'olio, e così via separando». Sempre Marinoni fa notare un secondo aspetto del problema: gli sprechi delle famiglie.

© Riproduzione riservata STAMPA

 
 
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